Geopolitica, una delle parole per comprendere la guerra

Geopolitica, una delle parole per comprendere la guerra

(Geopolitica) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

Una parola che sentiamo spesso di questi tempi è Geopolitica (o nello specifico Geopolitica Internazionale).

SOMMARIO

Qual è il significato della parola Geopolitica e i suoi campi d’applicazione?

Il termine viene sempre usato un modo proprio?

Sopratutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina scatenata dall’ingiustificata invasione russa al paese vicino, si sente sempre più parlare di Geopolitica.

Ma davvero sappiamo cosa significa questa parola?

Geopolitica. Definizione

In realtà la definizione esatta del termine Geopolitica non è condivisa da tutti in modo univoco.

Si tratta infatti di una disciplina ancora abbastanza recente e dai campi di applicazione piuttosto allargati e flessibili.

Si potrebbe definire Geopolitica quella scienza che studia le interazioni delle Azioni Politiche con la Geografia Fisica e con la Geografia Umana.

Pertanto l’utilizzo di tutte le informazioni geografiche sui territori e sulle popolazioni servono a determinare le scelte politiche dei decisori, nazionali e internazionali.

Di contro tutte le decisioni politiche influenzano a loro volto la geografia fisica del territorio ma soprattutto quella umana.

Si pensi banalmente a cosa comporta lo scoppio di una guerra su un dato territorio.

Come ne modifica la geografia fisica e ancor di più la vita delle popolazioni, le relazioni sociali, economiche, culturali e politiche.

La Geopolitica studia tutto ciò.

Geopolitica

Geopolitica. Internazionale

Se poi parliamo di Geopolitica Internazionale ecco che mettiamo in relazione tutti i dati di cui abbiamo trattato sopra a un livello sovrannazionale.

Dunque le azioni politiche non sono più quelle di un singolo decisore politico statale ma riguardano la comunità internazionale nel suo complesso.

O almeno in una sua parte.

Pertanto quando si parla di Geopolitica Internazionale spesso si fa riferimento a una sorta di “gioco” delle parti fra i vari governi.

I quali attraverso azioni dichiarate e altre sottintese, grazie a moral persuasionaccordi commerciali, condizionamenti diretti o indiretti, stabiliscono linee di condotta su questioni specifiche che coinvolgono più stati nazionali.

In pratica qualsiasi relazione internazionale fra due o più stati è di fatto un’azione di Geopolitica Internazionale e come tale andrebbe studiata e analizzata.

Foto di David Sánchez-Medina Calderón da Pixabay

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Invasione russa in Ucraina, un instant book da riscoprire

(Invasione russa in Ucraina) Articolo scritto per Libri e Pillole di Cultura

A due anni dal quel fatidico 24 febbraio 2022 utile ritornare su un instant book uscito a poche settimane da quella data: Invasione russa in Ucraina di E.T.A. Egeskov

SOMMARIO

Normalmente gli istant book, come suggerisce il nome, sono libri da consumarsi subito, appena usciti.

Spesso a distanza anche di poco tempo invecchiano e perdono di significato.

Non tutti però.

Invasione russa in Ucraina scritto a poche settimane dal 24 febbraio 2022 a opera di E.T.A. Egeskov offre ancora oggi spunti di riflessioni interessanti.

Dopo due anni di guerra rileggere quelle pagine può essere utile per comprendere anche molte cose accadute.

E forse per aiutarci a ipotizzare quelle che potrebbero accadere nelle prossime settimane o mesi.

Invasione russa in Ucraina. Il tema del libro

Scritto a caldo, a poche settimane da quel fatidico 24 febbraio 2022, il volume aveva l’ambizione di fare un po’ il punto della situazione.

E di provare ad andare oltre la stretta attualità di cronaca di guerra ipotizzando scenari futuri.

In pratica l’autore aveva voluto fare luce su ciò che era accaduto, inquadrando il tutto nel contesto del diritto internazionale.

Ma anche provando a ipotizzare eventuali scenari futuribili, che nel frattempo sono ormai diventati passato e storia vissuta.

Invasione russa in Ucraina. Il capitolo dedicato alle sanzioni

In un capitolo del volume l’autore si dedica in modo approfondito ad analizzare le sanzioni poste in essere in quel 2022.

Ragionando anche su quelle che sarebbero potute seguire di lì a poco.

Interessante il ragionamento svolto riguardo all’Unione Europea e al ruolo che avrebbe dovuto/potuto giocare nello scenario politico dell’Ucraina invasa.

A partire proprio dalle sanzioni comminate dalla stessa Unione Europea.

Fa riflettere poi l’accostamento con la Cecoslovacchia degli anni ’30 e la remissiva passità degli stati europei di fronte alla sfrontatezza di Hitler e quanto accaduto in Ucraina per opera della Russia di Putin.

Invasione russa in Ucraina. Il diritto internazionale

Invasione russa in Ucraina

Assolutamente da rileggere il capitolo dedicato al diritto internazionale.

Capitolo all’interno del quale l’autore esplora tutti i protagonisti della scena mondiale e come essi interagiscono con il diritto internazionale.

Particolare attenzione viene prestata al ruolo dell’O.N.U., evidenziandone in modo specifico i limiti e le fragilità.

Il capitolo si chiude con la domanda cruciale di quelle prime settimane.

Ovvero la Russia aveva violato il diritto internazionale invadendo l’Ucraina?

Invasione russa in Ucraina. Russia. vs. Europa

Reduce dal positivo riscontro ottenuto dal volume Invasione russa in Ucraina pochi mesi più tardi E.T.A. Egeskov si cimentato con un altro volume sul tema.

Russia vs. Europa è un libro che affronta in modo più ampio e organico il tema dello scontro anche culturale fra Russia ed Europa.

In questo volume l’autore analizza nel dettaglio singole situazione, come ad esempio quella dei paesi baltici.

O la particolare condizione della Moldavia e della Georgia, oggi forse un po’ dimenticate ma da non sottovalutare per il prossimo futuro.

Interessante in questo volume l’analisi fatta dall’autore sui principali attori protagonisti nella scena internazionale.

Particolarmente attenta e rilevante la disamina dell’Unione Europa, del suo ruolo e delle sue prospettive future.

Invasione russa in Ucraina. Un anno dopo

A un anno esatto di distanza dalla data dell’invasione russa in Ucraina E.T.A. Egeskov ha rilasciato un terzo volume sul tema.

Invasione russa in Ucraina un anno dopo dice praticamente già tutto dal titolo sul suo contenuto.

Scritto dopo dodici mesi di guerra analizza quanto accaduto, cercando di comprendere le ragione di tutti gli attori in campo.

Ma anche e sopratutto gettando lo sguardo nel futuro, per cogliere possibili scenare.

Quello del guardare avanti è un po’ un chiodo fisso dell’autore il quale esprime spesso la sua preoccupazione sulle scelte di geopolitica.

Infatti sottolinea spesso E.T.A. Egeskov, anche nei suoi articoli pubblicati su queste pagine, che le azioni di oggi porteranno conseguenze anche domani.

E persino non agire è un modo di agire, dunque se si scegliere quella strada lo si deve fare consapevolmente e conoscendone gli esiti futuri.

Minoranze Etniche (parole per capire la Guerra in Ucraina)

(Minoranze Etniche) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

La guerra in Ucraina ha riportato alla luce l’annoso problema delle minoranze etniche che spesso sono state usate a pretesto per scatenare crisi internazionali se non vere e proprie guerre.

SOMMARIO

A causa di una scellerata politica di spostamenti di intere popolazioni dai territori di origine ad altre zone dell’allora URSS gli ex stati della disciolta Unione Sovietica devono quasi tutti fare i conti con l’ingombrante problema delle minoranze etniche.

Specialmente quelle di lingua e cultura russa che aspirano sempre a ricongiungersi alla madrepatria, la Grande Russia di Mosca.

Minoranze Etniche. Il precedente della ex Jugoslavia

Chi ha già passato gli “anta” ricorderà senza dubbio la terribile guerra dei Balcani che sconvolse l’Europa nel pieno degli anni ’90.

Guerra scaturita dallo scioglimento della Federazione Jugoslava e la contemporanea nascita degli stati nazionali, primi fra tutti Serbia e Croazia.

E fu proprio per questioni etnico religiose che Serbia e Croazia si trovarono in conflitto.

Con l’aggiunta di quel crogiuolo di etnie e religioni che è la Bosnia-Erzegovina con la città martire di Sarajevo prima fra tutte.

Frutto della storia, del crocevia di conquiste e di dominazioni stratificatesi nei secoli.

Ma anche frutto, il mescolarsi di popoli ed etnie, di precise scelte politiche dell’allora dittatore della ex-Jugoslavia, Tito.

Minoranze Etniche. Divide et Impera

Divide et Impera è sempre stato un buon adagio per chi comanda.

Spostare gruppi di popolazioni in territori occupati da altri popoli è stato ritenuto dalla dirigenza jugoslava un buon sistema per tenere insieme un paese che non era una nazione.

Minoranze Etniche

Almeno finché non è crollato tutto, finché il regime comunista non si è sfaldato e ha lasciato il posto alle istanze nazionalistiche-religiose che hanno portato inevitabilmente al conflitto.

Anche nell’ex Unione Sovietica Stalin, dittatore de facto se non di nome, utilizzò lo stesso sistema.

“Deportò” milioni di persone da un territorio all’altro con le stesse modalità che Tito aveva operato in Jugoslavia.

Oppure spostando i confini delle Repubbliche Socialiste che componevano l’URSS inglobando porzioni di territorio che storicamente erano appartenute ad altri popoli.

Ecco dunque che la Crimea, da sempre legata alla Russia, diventa parte dell’Ucraina.

Mentre la Transnistria, sconosciuta regione orientale della Moldavia, viene popolata da genti russi.

Finché resse il regime sovietico cambiava poco, tanto tutto il potere era centralizzato a Mosca e nell’Organo del Partito Comunista.

Ma dopo la dissoluzione dell’URSS e la nascita degli stati nazionali ecco che le questioni etniche hanno cominciato a esplodere.

In Ucraina la questione più spinosa è sempre stata il Donbass.

Territorio all’estremo orientale dell’Ucraina, abitato da popolazioni russofone e russofile in gran parte, e dunque fonte di contesa fra Russia e Ucraina per questioni etniche.

Minoranze Etniche. Le vere ragioni dei russi

Anche se a dire il vero le ragioni ultime della contesa sono soprattutto economiche, ovvero le miniere di cui il Donbass è ricco.

Tanto che nella città di Mariupol, ormai completamente distrutta dai russi, esisteva la più grande acciaieria d’Europa.

L’Azovstal è divenuta tristemente famosa per l’eroica resistenza del Battaglione Azov.

Là asserragliatosi per settimane nel vano tentativo di difendere quel presidio ucraino accerchiato da soverchianti forze armate russe.

La difesa delle popolazioni russe in ucraina ha dato modo a Putin di trovare una scusante, almeno per la sua opinione pubblica interna, per invadere l’Ucraina.

Quando si arriverà a trattare la pace occorrerà tener presente la tutela delle minoranze etniche.

In Ucraina ma non solo, il tema dovrà essere posto in cima alla lista per evitare nuove guerre future.

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Pacifismo ipocrita sulla pelle degli ucraini

(Pacifismo) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

La guerra in Ucraina ha riportato alla luce un annoso dibattito fra i pacifisti senza se e senza ma e chi invece sostiene che la pace la si garantisce anche attraverso un’adeguata preparazione militare (si vis pacem para bellum).

SOMMARIO

Se i primi, i pacifisti, rifiutano l’uso delle armi e nello specifico caso dell’Ucraina rifiutano la possibilità di inviare anche armamenti difensivi al governo di Kiev, i secondi vorrebbero aumentare le spese militari e investire in armamenti almeno il 2% del PIL nazionale.

Vista da questa prospettiva sembrerebbe una battaglia ideologica senza alcuna possibilità di trovare un punto d’incontro, una soluzione reale.

Pacifismo, possibilità o utopia?

Vi è però un altro modo di guardare le cose, magari slegandosi dall’emotività del momento e ragionando con il metro della storia più che della cronaca.

Partiamo con il dire che siamo tutti d’accordo nell’affermare che l’uso delle armi dovrebbe essere escluso a priori, che nessuno dovrebbe trovarsi nella condizione di doversi difendere perché nessuno dovrebbe poter attaccare, aggredire militarmente altri paesi o territori o popolazioni.

Detto questo, che come aspirazione è senz’altro molto alta e condivisibile, c’è la realtà dei fatti.
Allo stato attuale delle cose nel mondo non è pensabile che ciò possa capitare e dunque occorre accettare il fatto che qualcuno, stato o gruppo terroristico che dir si voglia, sta usando le armi o ha intenzione di usarle o minaccia l’uso della forza.

Preso atto di questa realtà la questione è come ci si comporta con tali stati o gruppi terroristici?

Si segue l’idea del pacifismo a tutti i costi e si resta inermi?

Nel caso dell’Ucraina vuol dire restare a guardare mentre i russi massacrano anche i civili senza alzare un dito.

È giusto, è eticamente giusto?

Pacifismo. Il vero senso della non violenza

Fin da piccolo ho sempre ammirato la figura del mahatma Gandhi e ne ho fatte mie le idee di non violenza anche nelle battaglie per la giustizia e la verità.

Ma ricordo anche che Gandhi non ha mai detto che non violenza significa subire la violenza altrui senza far nulla.

Non violenza è rifiutare l’uso della forza come mezzo di risoluzione dei problemi, ma se è qualcun altro ad aggredirti tu hai tutto il diritto di difenderti, né più né meno di quanto dicono la maggior parte dei codici penali di quasi tutto il mondo, stando attenti alla proporzionalità della risposta rispetto all’offesa ricevuta.

Nel caso di un’aggressione personale se uno mi minaccia con una pistola e gli tiro un cazzotto è senz’altro legittima difesa per la legge, ma lo è anche moralmente.

Non è più legittima difesa se uno mi da uno spintone e io gli sparo un un fucile mitragliatore.

Se poi uno mi minaccia di farmi del male non sono mai autorizzato a “farmi giustizia” da solo.

Ancor meno se sono io a pensare che lui mi stia minacciando ma in realtà l’altro non ha fatto nulla in tal senso (il riferimento alla Russia di Putin è voluto!).

Pacifismo

Chiarito questo e tornando al problema ucraino che cosa dovrebbero fare gli stati democratici di fronte a un’ingiusta aggressione russa nei confronti dell’Ucraina?

Lasciare che i missili russi devastino le città e uccidano non solo i soldati ma anche i civili indifesi?

Non commento le affermazioni di chi, anche in ambito politico-istituzionale, afferma che gli ucraini dovrebbero arrendersi altrimenti il prezzo della benzina arriverà alle stelle.

Come se la liberà di un popolo fosse sacrificabile per una tanica di carburante in più!

Essere pacifisti non significa essere rinunciatari e lasciare al più forte campo libero.

Perché non agire, non intervenire, anche militarmente, questo significa: lasciare campo libero a chi invece non ha remore a usare la forza, a chi se ne infischia del pacifismo e usa le armi per i suoi scopi, legittimi o meno che possano apparirgli.

Al contrario, essere pacifisti, veri pacifisti, significa costruire le condizioni perché un domani nessuno possa più usare la forza e, per esempio, invadere uno stato vicino con qualsivoglia scusante.

Come?

Pacifismo. Il mondo unificato

Io un’idea ce l’ho ed è forse un po’ prematura rispetto alle condizioni storiche ma sono sicuro che con il tempo sempre più persone concorderanno con me.

Che cosa ha impedito ai paesi europei di farsi la guerra per quasi ottant’anni e possibilmente per non scendere mai in conflitto fra di loro nemmeno nel futuro?

L’unione, che noi adesso chiamiamo Unione Europea, che prima l’abbiamo conosciuto come CEE e prima ancora come MEC.

Se vi è vera integrazione allora il rischio del conflitto si riduce drasticamente, non dico annullato del tutto, ma reso talmente improbabile da essere prossimo allo zero.

Perché gli interessi comuni scoraggerebbero comunque colpi di testa, perché ci sarebbero deterrenze interne, e non tanto militari quanto economiche, culturali, di interesse nelle più varie accezioni.

Pacifisimo

La soluzione sarebbe dunque un mondo unificato sotto un governo universale tipo film di fantascienza?

Sì, ritengo che questa è, e non dico sarebbe ma uso apposta il presente indicativo “è”, l’unica strada perché la pace possa regnare ovunque e sempre.

Qualunque altra soluzione non potrà che essere nella migliore delle ipotesi transitoria, parziale, fallace se non addirittura controproducente come nel caso dell’Ucraina.

Non fornire armamenti a chi si sta difendendo è un crimine, perché sarebbe un voltarsi dall’altra parte e dire in nome di un presunto pacifismo che non possiamo macchiarci di vite umane fornendo armi senza tener conto che ci stiamo macchiando di vite umane lasciando che la Russia uccida indiscriminatamente cittadini ucraini, militari e civili, che non non hanno chiesto di essere in conflitto, che non sono scesi in guerra ma che sono stati aggrediti.

Se mentre sto camminando per strada vedo qualcuno che picchia o violenta una persona e non intervengo, magari anche solo chiamando le forze dell’ordine, sono moralmente (e legalmente) responsabile di quella violenza.

Inviare armi agli ucraini che difendono la loro terra, le loro città, il loro popolo, la loro libertà non è solo giusto, ma è anche un dovere morale che abbiamo noi occidentali se vogliamo continuare a chiamarci democratici e civili.

Pacifismo. Non quando è sulla pelle degli altri

Non stupisce che a essere contrario all’invio di armi e a nuove spese militari sia il Vaticano e Papa Francesco in particolare.

Il Sommo Pontefice è una guida spirituale e tenta fino all’ultimo di riportare all’uso della ragione i potenti (purtroppo con ben poche possibilità di successo).

Quello che stupisce è che a pensare che non si debbano inviare armi siano molti rappresentanti politici ai quali verrebbe da chiedere loro: e se fossimo noi al posto degli ucraini?

E fosse stata invasa l’Italia e paesi come Francia e Germania si voltassero dall’altra parte invocando il pacifismo?

Personalmente sono rimasto colpito dalla posizione degli ex partigiani, contrari all’invio di armi. Trovo quantomeno strana la loro posizione, visto quanto hanno fatto i partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale per tentare di scacciare l’occupante nazista.

Tra l’altro c’è appena stata la ricorrenza delle Fosse Ardeatine, reazione assurda dei nazisti all’attentato di via Rasella del 1943 dove persero la vita trentatré soldati tedeschi.

A quei partigiani che oggi dicono no all’invio di armi in Ucraina verrebbe da chiedere perché allora fecero quell’attentato, e molti altri peraltro, che si sapeva avrebbero portato a ripercussioni anche sui civili da parte dei nazisti?

Pacifismo. Aumentare la spesa militare per avere più pace?

Tornando al tema di partenza, la dicotomia fra pacifismo e aumento delle spese militari in realtà non esiste.

Oggi, in questo frangente storico, l’aumento delle spese militari non è solo legittimo ma anche doveroso per preservare gli spazi di libertà e democrazia che troppe guerre e troppi morti nel secolo scorso ci hanno lasciato in eredità.

Come impone il Trattato Atlantico la forza militare deve avere solo scopo difensivo e mai offensivo e contemporaneamente occorre che attraverso la diplomazia ma anche tutto il soft power possibile si riducano nel mondo gli spazi per le autocrazie o le dittature vere e proprie e nel contempo si creino sempre più legami e vincoli reciproci fra gli stati in modo da rendere sempre meno conveniente, e dunque sempre più improbabile, la nascita di nuovi conflitti.

Un giorno, che purtroppo so già di non poterci essere per vederlo, l’umanità si renderà conto che solo unendosi potrà salvarsi e allora sì che le spese militari potranno essere ridotte se non addirittura annullate perché non ci sarà più nessuno contro cui combattere.

Ma sino ad allora non parliamo di pacifismo senza se e senza ma, piuttosto chiamiamolo con il vero nome: o martirio se ci tocca in prima persona e siamo disposti a pagarne il prezzo, o ipocrisia se a pagarne le conseguenze sono solo altri lontani da noi!

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