Democrazia, il 2024 sarà l’ultima spiaggia?

Democrazia, il 2024 sarà l’ultima spiaggia?

(democrazia) Articolo scritto per Libri e Pillole di Cultura

Il 2024 è stato definito l’anno elettorale per eccellenza. Prendendo spunto da ciò E.T.A. Egeskov prova a fare alcune riflessioni sul tema della democrazia e sulla necessità di proteggerla e salvaguardarla.

SOMMARIO

Come spiega in modo chiaro e sintetico lo stesso autore, E.T.A. Egeskov, nell’introduzione del libro l’idea di scrivere questo volume gli è stata suggerita da alcuni fatti di cronaca.

O meglio, la spinta e l’urgenza di volerlo scrivere sono state dettate da episodi che hanno toccato la sensibilità dell’autore.

L’idea del volume invece fermentava nell’animo di E.T.A. Egeskov già da molto tempo, come ha lui stesso confessato.

democrazia. La crisi delle democrazie

Non è certo un segreto che il momento storico che stiamo vivendo sta mettendo a dura prova il concetto stesso di democrazia.

Gli avvenimenti degli ultimi anni, guerra in Ucraina, crisi di Gaza, situazione di Taiwan, hanno dato una forte spinta a un processo che era già in atto da tempo.

Nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale almeno nel mondo occidentale l’illusione che la democrazia come forma di governo fosse ineludibile.

Oggi tale convinzione non è più così salda e ferma.

Il volume prende in esame alcune situazioni nel mondo per usarle come metro di paragone e come spunto di riflessione.

democrazia. Il consenso elettorale

In uno dei capitoli l’autore pone un focus particolare sul tema del consenso elettorale.

In particolare E.T.A. Egeskov mette in rilievo come l’obiettivo primario di qualsiasi politico eletto sia di fatto essere rieletto alla successiva elezione.

Questo comporta l’impossibilità da parte di chi governa di poter fare scelte difficili e controcorrente (spesso però necessarie) proprio perché controproducenti in termini elettorali.

Di fatto questo aspetto potrebbe essere uno degli elementi di crisi delle democrazie, specie di quelle occidentali.

Ed è un tema sul quale l’autore invita a riflettere con alcune importanti osservazioni.

democrazia. I decreti legge

In uno degli ultimi capitoli del libro l’autore si sofferma su una specificità tutta italiana, ovvero quella dei decreti legge.

La tesi dell’autore è provocatoria, o forse molto di più (al lettore l’ardua sentenza) ma di sicuro fa riflettere per la profondità dell’argomento toccato.

Il tema dell’abuso dei decreti legge è stato sollevato più volte nel corso di questi ultimi decenni anche da illustri giuristi.

Che poi questo possa in qualche modo minare le fondamenta democratiche del nostro paese… occorre leggere il volume per scoprirlo!

Di sicuro è un aspetto sul quale vale la pena riflettere.

democrazia. I volumi sull’invasione russa in Ucraina

E.T.A. Egeskov non è nuovo agli instant book, avendone già proposti altri tre negli anni precedenti.

Partendo dal volume Invasione Russa in Ucraina del 2022, scritto poche settimane dopo il 24 febbraio 2022 quando ancora la situazione sul terreno sembrava disperata per il paese invaso.

Di pochi mesi successivo Russia vs. Europa, una riflessione a più largo spettro sul tema della Russia e del suo “zar” Valdimir Putin.

Un volume da rileggere anche oggi per le riflessioni in esso contenute che, nonostante siano passati quasi due anni, restano in gran parte ancora di grande attualità.

All’inizio del 2023 è uscito poi Invasione russa in Ucraina un anno dopo, una sorta di aggiornamento/prosecuzione del primo volume stante gli sviluppi bellici e geopolitici occorsi durante il primo anno di guerra.

democrazia. Gli altri volumi dell’autore

E.T.A. Egeskov non è però un autore classificicabile in un genere, nonostante il grande impegno profuso nel campo della geopolitica e della politica in generale.

Del 2022 il volume Tour de France 2022, un agile raccolta di momenti indimenticabili del Tour de France di quell’anno, raccontati quasi come in una radiocronaca messa per iscritto.

Da menzionare anche il volume Ho fatto 13, una raccolta di suggerimenti letterari un po’ fuori dal comune.

Di genere fantastico invece Tempesta di notte sulle falesie, un racconto ambientato nella cittadina normanna di Etretat che ha il sapore di altri tempi.

democrazia

Geopolitica, una delle parole per comprendere la guerra

(Geopolitica) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

Una parola che sentiamo spesso di questi tempi è Geopolitica (o nello specifico Geopolitica Internazionale).

SOMMARIO

Qual è il significato della parola Geopolitica e i suoi campi d’applicazione?

Il termine viene sempre usato un modo proprio?

Sopratutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina scatenata dall’ingiustificata invasione russa al paese vicino, si sente sempre più parlare di Geopolitica.

Ma davvero sappiamo cosa significa questa parola?

Geopolitica. Definizione

In realtà la definizione esatta del termine Geopolitica non è condivisa da tutti in modo univoco.

Si tratta infatti di una disciplina ancora abbastanza recente e dai campi di applicazione piuttosto allargati e flessibili.

Si potrebbe definire Geopolitica quella scienza che studia le interazioni delle Azioni Politiche con la Geografia Fisica e con la Geografia Umana.

Pertanto l’utilizzo di tutte le informazioni geografiche sui territori e sulle popolazioni servono a determinare le scelte politiche dei decisori, nazionali e internazionali.

Di contro tutte le decisioni politiche influenzano a loro volto la geografia fisica del territorio ma soprattutto quella umana.

Si pensi banalmente a cosa comporta lo scoppio di una guerra su un dato territorio.

Come ne modifica la geografia fisica e ancor di più la vita delle popolazioni, le relazioni sociali, economiche, culturali e politiche.

La Geopolitica studia tutto ciò.

Geopolitica

Geopolitica. Internazionale

Se poi parliamo di Geopolitica Internazionale ecco che mettiamo in relazione tutti i dati di cui abbiamo trattato sopra a un livello sovrannazionale.

Dunque le azioni politiche non sono più quelle di un singolo decisore politico statale ma riguardano la comunità internazionale nel suo complesso.

O almeno in una sua parte.

Pertanto quando si parla di Geopolitica Internazionale spesso si fa riferimento a una sorta di “gioco” delle parti fra i vari governi.

I quali attraverso azioni dichiarate e altre sottintese, grazie a moral persuasionaccordi commerciali, condizionamenti diretti o indiretti, stabiliscono linee di condotta su questioni specifiche che coinvolgono più stati nazionali.

In pratica qualsiasi relazione internazionale fra due o più stati è di fatto un’azione di Geopolitica Internazionale e come tale andrebbe studiata e analizzata.

Foto di David Sánchez-Medina Calderón da Pixabay

Leggi tutti gli articoli di E.T.A. Egeskov QUI

Scopri il profilo di E.T.A. Egeskov QUI

If you want to discover the books I’ve written click below

Ethnic Minorities (words to understand the War in Ukraine)

(Ethnic Minorities) Article written by E.T.A. Egeskov for Politics and geopolitics

The war in Ukraine has brought to light the long-standing problem of ethnic minorities, which have often been used as a pretext to trigger international crises if not outright wars.

SUMMARY

Due to a wicked policy of displacement of entire populations from their territories of origin to other parts of the former USSR, the former states of the dissolved Soviet Union almost all had to deal with the cumbersome problem of ethnic minorities.

Especially those of Russian language and culture who always aspire to reunite with the motherland, the Great Russia of Moscow.

Ethnic minorities. The precedent of the former Yugoslavia

Those who are no longer very young will undoubtedly remember the terrible Balkans wars that shook Europe in the middle of the 90s.

The war arose from the dissolution of the Yugoslav Federation and the simultaneous birth of nation states, first and foremost Serbia and Croatia.

And it was precisely for ethnic-religious reasons that Serbia and Croatia found themselves in conflict.

With the addition of that melting pot of ethnicities and religions that is Bosnia and Herzegovina with the martyred city of Sarajevo first of all.

A corner of Europe that is the result of history, a crossroads of conquests and dominations stratified over the centuries.

The mixing of peoples and ethnic groups was also the result of precise political choices made by the then dictator of the former Yugoslavia, Tito.

Ethnic minorities. Divide et Impera

Divide et Impera” (divide and rule) has always been a good adage for those in power and in charge.

Moving groups of populations to territories occupied by other peoples was considered by the Yugoslav leadership to be a good way to hold together a country that was not a nation.

Ethnic Minorities
Ethnic Minorities

At least until everything collapsed, until the communist regime fell apart and gave way to the nationalistic-religious demands that inevitably led to conflict.

In the former Soviet Union, Stalin, a de facto dictator if not in name, also used the same system..

He “deported” millions of people from one territory to another in the same way that Tito had operated in Yugoslavia.

Or by moving the borders of the Socialist Republics that made up the USSR, incorporating portions of territory that historically had belonged to other peoples.

This is why Crimea, which has always been linked to Russia, becomes part of Ukraine.

While Transnistria, an unknown eastern region of Moldova, is populated by Russian peoples.

As long as the Soviet regime lasted, little changed, so much so that all power was centralized in Moscow and in the organ of the Communist Party.

But after the dissolution of the USSR and the birth of nation states, ethnic issues began to explode.

In Ukraine, the thorniest issue has always been the Donbass.

Territory in the far east of Ukraine, inhabited by Russian-speaking and Russophile populations for the most part, and therefore a source of contention between Russia and Ukraine over ethnic issues.

Ethnic minorities. The Real Reasons of the Russians

Although to tell the truth, the ultimate reasons for the dispute are mainly economic, namely the mines of which the Donbass is rich.

So much so that in the city of Mariupol, now completely destroyed by the Russians, there was the largest steel mill in Europe.

Azovstal became infamous for the heroic resistance of the Azov Brigade.

There he barricaded himself for weeks in a vain attempt to defend that Ukrainian garrison surrounded by overwhelming Russian armed forces.

The defense of Russian populations in Ukraine has given Putin a way to find an excuse, at least for his domestic public opinion, to invade Ukraine.

When the time comes to negotiate peace, the protection of ethnic minorities must be borne in mind.

In Ukraine but not only, the issue will have to be placed at the top of the list to avoid new future wars.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Read all articles by E.T.A. Egeskov HERE

Discover the profile of E.T.A. Egeskov HERE

If you want to discover the books I’ve written click below

Presidenziali USA, un rebus elettorale difficile da capire

(Presidenziali USA) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

Ascolta “Politica e Geopolitica. Puntata 1 – Presidenziali USA, un rebus elettorale difficile da capire” su Spreaker.

Sono iniziate in questo mese di gennaio le primarie per la scelta dei candidati per l’elezione del presidente degli Stati Uniti d’America che fra poco meno di un anno si insedierà alla Casa Bianca.

SOMMARIO

Prima di cercare di dipanare la complessa matassa di come si svolgono le elezioni americane è doveroso precisare chi ha diritto al voto.

Contrariamente a quanto accade nella maggior parte degli stati democratici, Italia compresa, non è lo stato americano a inviare le tessere elettorali.

Sono invece i singoli cittadini che devono prendersi la briga di registrarsi nelle liste elettorali.

Pena l’impossibilità di votare a novembre per l’elezione del presidente degli USA.

Presidenziali USA. Democratici o Repubblicani?

Una delle caratteristiche peculiari del sistema politico americano è quello, di fatto, di essere diviso fra due soli partiti.

Il partito Democratico (che noi chiameremmo progressista) e quello Repubblicano (per noi conservatore).

Presidenziali USA

Diversamente da quanto accade in Italia i partiti americani non hanno un grande peso nella vita politica quotidiana.

Diventano però determinanti in vista delle elezioni presidenziali soprattutto per determinarne i candidati.

Presidenziali USA. Le primarie

Le primarie sono una caratteristica tipica del sistema elettorale americano.

Riguardano ciascuno dei due partiti e sono regolamentate in modo differente stato per stato.

Occorre ricordare che gli USA si compongono di 50 stati federati fra loro ma che mantengono ampie autonomie interne.

Compreso tutto ciò che riguarda il sistema elettorale.

Ogni stato designa suoi rapprentanti alle due convention nationali, quella democratica e quella repubblicana.

In ognuna delle due sedi i rappresentanti voteranno il candidato che dovrà gareggiare per la presidenza.

Sebbene la scelta non sia vincolante in modo assoluto è prassi che il candidato che vince nello stato sia quello che sarà votato dai rappresentanti di quello stato.

Il candidato democratico che otterrà più voti alla convention nazionale dei democratici sarà il candidato presidente per i democratici.

La stessa cosa avviene per i repubblicani che scelgono in modo analogo il loro candidato

Presidenziali USA. I Grandi Elettori

Pur essendo una democrazia presidenziale quella americana ha la peculiarità che il presidente non è scelto direttamente grazie al voto popolare.

Infatti gli elettori, stato per stato, votano per il candidato scelto.

Il candidato che ottiene il maggior numero dei voti ottiene il corrispettivo di Grandi Elettori spettanti a quello stato.

Almeno nella gran parte dei casi, salvo alcune piccole eccezioni.

Ma chi sono i Grandi Elettori?

In pratica è lo stesso principio delle primarie.

Ogni stato ha a disposizione un numero di Grandi Elettori proporzionale alla sua popolazione.

Se in uno stato vince il candidato democratico tutti i Grandi Elettori andranno al candidato democratico.

Inversamente se a vincere è il candidato repubblicano si prende tutti i Grandi Elettori di quello stato.

Presidenziali USA. Rosso o Blu?

Tradizionalmente i due partiti vengono identificati con un colore.

Rosso per i repubblicani, blu per i democratici.

Prima o poi a chiunque sarà capitato di vedere la mappa degli USA colorata di rosso e di blu, stato per stato.

Quella mappa indica la prevalenza di un partito o dell’altro in ogni singolo stato.

Dunque il vincitore della contesa elettore presidenziale non è detto che sia il candidato che ha ottenuto più voti ai seggi.

Infatti può capitare che un candidato ottenga meno voti popolari ma che sia eletto presidente degli USA.

Questo perché magari ha ottenuto la vittoria in alcuni stati molto popolosi che garantiscono un numero di Grandi Elettori maggiori.

E magari quelle vittorie a livello statale le ha ottenute per poche migliaia di voti.

Ma visto il sistema elettorale maggioritario assoluto chi vince si prende tutto.

Presidenziali USA. Solo per chi è nato cittadino americano

Per potersi candidare alla presidenza degli USA occorre aver compiuto 35 anni e risiedere negli Stati Uniti da almeno 14 anni.

Ma soprattutto occorre essere nati cittadini americani.

Chiunque non sia nato cittadino americano ma lo sia diventato in seguito è escluso dalla corsa alla presidenza.

Clamorosa fu l’accusa rivolta a Barak Obama di non essere nato cittadino americano.

Allora fu Donald Trump a fomentare i dubbi in proposito, dubbi che sono peraltro stati ampiamente fugati.

Sebbene molti sostenitori del partito conservatore ancora oggi dubitino che Obama fosse eleggibile.

D’altro canto proprio in giorni giorni lo stesso Donald Trump ha sollevato dubbi sulla cittadinanza americana dalla nascita di Nikki Haley, sua rivale alle primarie repubblicane.

Presidenziali USA. Elezioni che interessano il mondo intero

Va da sé che le elezioni in un paese importante come gli Stati Uniti d’America interessino un po’ tutto il mondo.

Varrebbe lo stesso per Russia e Cina se già non si conoscessero i vincitori a priori!

Quelle di quest’anno negli USA sono però elezioni particolarmente sentite.

Perché i due probabili contendenti dovrebbero essere, salvo soprese, Joe Biden e Donald Trump.

Se quattro anni fa Biden a sopresa battè il favorito Trump (allora presidente uscente) oggi i sondaggi sono a favore del repubblicano.

E vista la situazione politica internazionale con la crisi ucraina, quella di Gaza e la situazione a Taiwan le elezioni USA sono attese con trepidazione da molti.

La riconferma di Joe Biden alla Casa Bianca lascerebbe tutto più o meno com’è ora.

Mentre il ritorno di Donald Trump alla presidenza lascia aperti interrogativi ed incognite su cosa faranno gli USA in politica internazionale.

A partire dall’Ucraina che potrebbe anche essere “abbandonata” al suo destino.

Per non parlare della crisi di Gaza dove Trump non ha mai nascosto le sue simpatie per l’estrema destra israeliana.

C’è poi l’incognita Cina, contro la quale Trump ha sempre tuonato a parole ma con la quale ha intessuto rapporti finanziari anche personali piuttosto discutibili.

Presidenziali USA. Una lunga corsa, forse non priva di sorprese

Siamo solamente all’inizio di questa lunga corsa e solo dal mese di marzo, con il Super Tuesday, forse si potrà cominciare a capire qualcosa di più sulle forze in campo, su un fronte come sull’altro.

Ci sono poi le inchieste giudiziarie a pesare come macigni.

Donald Trump è già stato escluso dalla corsa elettorale in Colorado a seguito delle vicende del 6 gennaio 2021 (assalto a Capitol Hill).

Si attende il ricorso alla Corte Suprema e nel frattempo altri stati stanno decidendo in merito.

Vi sono poi processi per reati finanziari che vedono imputato l’ex presidente americano.

Il quale però dovrà temere più di tutto il processo proprio sull’assalto a Capitol Hill.

Se tale processo dovesse giungere a termine prima delle elezioni e lo vedesse condannato perderebbe il diritto a concorrere alla presidenza.

Non ci vuole un genio per prevedere cosa potrebbe accadere nelle piazze americane con una simile risultanza.

Sul fronte democratico Joe Biden rischia un impeachment (poco probabile) che potrebbe nuocergli sul piano elettorale.

Ma soprattutto sono i guai giudiziari del figlio ad avergli fatto perdere il favore di parte del suo stesso elettorato.

Per non parlare delle gaffe che spesso compie in pubblico e dell’età che non gioca a suo favore.

Quello dell’età è un problema anche di Donald Trump, così come delle gaffe e di certi spaesamenti che non lasciano ben sperare.

Pensare che il futuro del mondo e dell’arsenale atomico più agguerrito sia nelle mani di due “vecchietti” confusi non ci lascia tanto tranquilli.

E la democrazia a stelle e strisce non ne esce granché bene, comunque andrà a finire!

Foto di Larisa da Pixabay

Leggi tutti gli articoli di E.T.A. Egeskov QUI

Scopri il profilo di E.T.A. Egeskov QUI

Se vuoi scoprire i libri che ho scritto clicca qui sotto

Guerra Ibrida (le parole per comprendere la guerra)

(Guerra Ibrida) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

Da quanto è scoppiata la guerra in Ucraina si sente sempre più parlare di Guerra Ibrida, ma cosa si intende con questo termine in verità?

SOMMARIO

La risposta al quesito iniziale è abbastanza semplice.

Ovvero un mix fra guerra convenzionale, guerra cybernetica, campagne di disinformazione, false flags e ogni altra possibile strategia volta a destabilizzare la parte avversaria, a catturare consensi internazionali e a screditare il nemico.

In particolar modo negli ultimi anni il termine di Guerra Ibrida viene molto utilizzato in relazione alla Russia che ne ha fatto una vera e propria dottrina militare.

Guerra Ibrida. Russia campione mondiale

Non è che gli altri stati non ne abbiano mai fatto uso, tutt’altro.

Ma la Federazione Russa ha ultimamente sviluppato vere e proprie tecniche avanzatissime per portare avanti la sua versione di Guerra Ibrida.

La qualeprevede sopratutto l’utilizzo massiccio di hacker informatici per destabilizzare il mondo occidentale.

Colpendolo nel suo punto più vitale e vulnerabile: la rete delle telecomunicazioni.

Da anni ormai assistiamo a rivendicazione da parte di hackers russi di riusciti o tentati attacchi ai sistemi informatici occidentali, ai sistemi di comunicazione, ai siti istituzionali.

Per quanto ne possiamo sapere noi gli effetti di questi attacchi sono sempre stati marginali, temporanei e non fatali.

Grazie anche alle cyber-difese messe in atto dai paesi occidentali.

Ma di sicuro anche solo la possibilità che possano andare a segno fa di questi potenziali attacchi una minaccia di cui occuparsi.

E dunque un elemento di disturbo per chi, come gli alleati dell’Ucraina, devono concentrarsi sulla fornitura di armi al paese aggredito.

Guerra Ibrida. Confondere l’opinione pubblica

Non solo, la Guerra Ibrida prevede anche la disinformazione dell’opinione pubblica, sia quella interna, sia quella internazionale.

E in questi i russi sono maestri avendo ereditato tale capacità dall’ex apparato sovietico.

Apparato che primeggiava nel fornire false narrazioni dei fatti reali, volgendo a proprio favore ogni situazione.

Anche quelle che palesemente porterebbero a un giudizio negativo nei loro confronti.

Basti pensare a come il presidente Putin abbia descritto l’invasione russa dell’Ucaina.

Non come una guerra ma come un’operazione speciale volta a preservare l’integrità russa dall’aggressione ucraina!

Guerra Ibrida. Diplomazia commerciale

Infine la Guerra Ibrida prevede anche l’utilizzo della diplomazia commerciale per avvantaggiarsi sugli avversari e penalizzare i nemici con accordi specifici con paesi terzi.

Ad esempio, per ovviare alle sanzioni internazionali o per impedire ai contendenti l’accesso a risorse importanti per l’economia o lo sviluppo tecnologico e/o militare.

Nel concreto si tratta di condizionare paesi terzi con accordi commerciali che in qualche modo li vincolano alle posizioni politiche della propria nazione.

Insomma, si tratta dell’allargamento del conflitto a tutti i campi della vita umana, spesso senza nemmeno che le persone coinvolte se ne rendano conto!

Guerra Ibrida
Guerra Ibrida

Leggi tutti gli articoli di E.T.A. Egeskov QUI

Scopri il profilo di E.T.A. Egeskov QUI

Se vuoi scoprire i libri che ho scritto clicca qui sotto

Disinformatia (words to understand war)

(Disinformatia) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

La guerra in Ucraina ha riportato alla luce l’annoso problema delle minoranze etniche che spesso sono state usate a pretesto per scatenare crisi internazionali se non vere e proprie guerre.

SOMMARIO

Nonostante sia una parola tipicamente russa il suo significato non ci coglie impreparati: Disinformatia, ovvero l’arte della disinformazione come strumento di guerra.

Disinformatia. Arma senza scrupoli

Stando a quanto è accaduto con l’invasione russa in Ucraina sembrerebbe proprio di dover rispondere in modo affermativo e senza esitazione alla domanda.

La disinformazione è la miglior arma a disposizione di un governo senza scrupoli.

Per onestà di cronaca occorre ricordare che da sempre i governi usano l’arma della disinformazione.

Lo fanno per manipolare le folle e renderle più servili ai propri scopi.

Sia che si tratti dei propri cittadini, sia che si faccia riferimento alle persone che vivono in altri stati.

Fin dai tempi dell’Unione Sovietica l’allora governo comunista investiva notevoli quantità di denaro e di risorse per creare disinformazione nel mondo occidentale.

Il tutto affinché l’URSS fosse vista con occhi positivi dagli europei e dagli americani.

Ma soprattutto per mettere in luce le pecche dei sistemi democratici occidentali, logori e corrotti, secondo la propaganda del tempo.

Disinformatia. I limiti delle democrazie liberali

Occorre tener presente che mentre le democrazie liberali devono soggiacere al controllo della stampa indipendente.

Dunque hanno in effetti un limite per le loro azioni “scorrette”.

Le dittature e le autocrazie hanno margini di manovra ben più ampi, sopratutto al loro interno.

Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, a partire dalla Russia, passando per la Cina e la Corea del Nord.

Ma anche in altri angoli del mondo il controllo delle informazioni è così pressante da limitare la libertà di stampa.

Disinformatia. Come alterare la percezione della realtà

Sarebbe bello poter fare un sondaggio fra tutti i cittadini russi, specialmente quelli meno istruiti e quelli più lontani dai centri cittadini di Mosca o San Pietroburgo.

Probabilmente scopriremmo che gran parte degli intervistati sarebbero davvero convinti che l’intervento russo in Ucraina è stato fatto per evitare che l’Ucraina stessa invadesse la Russia.

Di conseguenza giustificherebbero le azioni di Putin senza grossi problemi.

Va da sé che pensare all’Ucraina che invade la Russia farebbe ridere anche i polli, come si suol dire.

Ma se le informazioni che arrivano ai cittadini sono a senso unico, filtrate e addomesticate allo scopo.

E se questo avviene da anni in un grande progetto di disinformazione come accade in Russia.

Ecco che allora l’impensabile diventa possibile se non addirittura probabile.

E anche le ipotesi più improbabili diventano possibili ed anzi credibili e dunque agli occhi del popolo veritiere.

Disinformatia. Anche nel mondo occidentale

Persino nel mondo occidentale abbiamo avuto casi eclatanti.

Prresunti intelletturali, politici, esperti militari o aspiranti tuttologi della geopolitica che sciorinavano tesi improbabili per giustificare l’intervento russo in Ucraina.

E hanno raccolto non poche adesioni.

Specialmente, ancora una volta, fra le fasce di popolazione meno pronte a un’analisi critica delle tesi fornite senza alcun supporto a riprova.

Disinformatia

Ovviamente, parlando del conflitto ucraino, anche i difensori, gli ucraini stessi, hanno operato almeno in parte disinformazione.

Celando numeri e dati sensibili sull’esercito, sulle perdite, sugli obiettivi, sui reali movimenti di truppe.

Oltre a dipingere il nemico come il male assoluto.

Ma almeno a loro parziale discolpa vi è il fatto che sono stati invasi e che devono difendere il suolo patrio.

Gli altri, i russi invece, devono ancora spiegarci le vere motivazioni della loro brutale aggressione!

Leggi tutti gli articoli di E.T.A. Egeskov QUI

Scopri il profilo di E.T.A. Egeskov QUI

Se vuoi scoprire i libri che ho scritto clicca qui sotto

Minoranze Etniche (parole per capire la Guerra in Ucraina)

(Minoranze Etniche) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

La guerra in Ucraina ha riportato alla luce l’annoso problema delle minoranze etniche che spesso sono state usate a pretesto per scatenare crisi internazionali se non vere e proprie guerre.

SOMMARIO

A causa di una scellerata politica di spostamenti di intere popolazioni dai territori di origine ad altre zone dell’allora URSS gli ex stati della disciolta Unione Sovietica devono quasi tutti fare i conti con l’ingombrante problema delle minoranze etniche.

Specialmente quelle di lingua e cultura russa che aspirano sempre a ricongiungersi alla madrepatria, la Grande Russia di Mosca.

Minoranze Etniche. Il precedente della ex Jugoslavia

Chi ha già passato gli “anta” ricorderà senza dubbio la terribile guerra dei Balcani che sconvolse l’Europa nel pieno degli anni ’90.

Guerra scaturita dallo scioglimento della Federazione Jugoslava e la contemporanea nascita degli stati nazionali, primi fra tutti Serbia e Croazia.

E fu proprio per questioni etnico religiose che Serbia e Croazia si trovarono in conflitto.

Con l’aggiunta di quel crogiuolo di etnie e religioni che è la Bosnia-Erzegovina con la città martire di Sarajevo prima fra tutte.

Frutto della storia, del crocevia di conquiste e di dominazioni stratificatesi nei secoli.

Ma anche frutto, il mescolarsi di popoli ed etnie, di precise scelte politiche dell’allora dittatore della ex-Jugoslavia, Tito.

Minoranze Etniche. Divide et Impera

Divide et Impera è sempre stato un buon adagio per chi comanda.

Spostare gruppi di popolazioni in territori occupati da altri popoli è stato ritenuto dalla dirigenza jugoslava un buon sistema per tenere insieme un paese che non era una nazione.

Minoranze Etniche

Almeno finché non è crollato tutto, finché il regime comunista non si è sfaldato e ha lasciato il posto alle istanze nazionalistiche-religiose che hanno portato inevitabilmente al conflitto.

Anche nell’ex Unione Sovietica Stalin, dittatore de facto se non di nome, utilizzò lo stesso sistema.

“Deportò” milioni di persone da un territorio all’altro con le stesse modalità che Tito aveva operato in Jugoslavia.

Oppure spostando i confini delle Repubbliche Socialiste che componevano l’URSS inglobando porzioni di territorio che storicamente erano appartenute ad altri popoli.

Ecco dunque che la Crimea, da sempre legata alla Russia, diventa parte dell’Ucraina.

Mentre la Transnistria, sconosciuta regione orientale della Moldavia, viene popolata da genti russi.

Finché resse il regime sovietico cambiava poco, tanto tutto il potere era centralizzato a Mosca e nell’Organo del Partito Comunista.

Ma dopo la dissoluzione dell’URSS e la nascita degli stati nazionali ecco che le questioni etniche hanno cominciato a esplodere.

In Ucraina la questione più spinosa è sempre stata il Donbass.

Territorio all’estremo orientale dell’Ucraina, abitato da popolazioni russofone e russofile in gran parte, e dunque fonte di contesa fra Russia e Ucraina per questioni etniche.

Minoranze Etniche. Le vere ragioni dei russi

Anche se a dire il vero le ragioni ultime della contesa sono soprattutto economiche, ovvero le miniere di cui il Donbass è ricco.

Tanto che nella città di Mariupol, ormai completamente distrutta dai russi, esisteva la più grande acciaieria d’Europa.

L’Azovstal è divenuta tristemente famosa per l’eroica resistenza del Battaglione Azov.

Là asserragliatosi per settimane nel vano tentativo di difendere quel presidio ucraino accerchiato da soverchianti forze armate russe.

La difesa delle popolazioni russe in ucraina ha dato modo a Putin di trovare una scusante, almeno per la sua opinione pubblica interna, per invadere l’Ucraina.

Quando si arriverà a trattare la pace occorrerà tener presente la tutela delle minoranze etniche.

In Ucraina ma non solo, il tema dovrà essere posto in cima alla lista per evitare nuove guerre future.

Leggi tutti gli articoli di E.T.A. Egeskov QUI

Scopri il profilo di E.T.A. Egeskov QUI

Se vuoi scoprire i libri che ho scritto clicca qui sotto

Pacifismo ipocrita sulla pelle degli ucraini

(Pacifismo) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

La guerra in Ucraina ha riportato alla luce un annoso dibattito fra i pacifisti senza se e senza ma e chi invece sostiene che la pace la si garantisce anche attraverso un’adeguata preparazione militare (si vis pacem para bellum).

SOMMARIO

Se i primi, i pacifisti, rifiutano l’uso delle armi e nello specifico caso dell’Ucraina rifiutano la possibilità di inviare anche armamenti difensivi al governo di Kiev, i secondi vorrebbero aumentare le spese militari e investire in armamenti almeno il 2% del PIL nazionale.

Vista da questa prospettiva sembrerebbe una battaglia ideologica senza alcuna possibilità di trovare un punto d’incontro, una soluzione reale.

Pacifismo, possibilità o utopia?

Vi è però un altro modo di guardare le cose, magari slegandosi dall’emotività del momento e ragionando con il metro della storia più che della cronaca.

Partiamo con il dire che siamo tutti d’accordo nell’affermare che l’uso delle armi dovrebbe essere escluso a priori, che nessuno dovrebbe trovarsi nella condizione di doversi difendere perché nessuno dovrebbe poter attaccare, aggredire militarmente altri paesi o territori o popolazioni.

Detto questo, che come aspirazione è senz’altro molto alta e condivisibile, c’è la realtà dei fatti.
Allo stato attuale delle cose nel mondo non è pensabile che ciò possa capitare e dunque occorre accettare il fatto che qualcuno, stato o gruppo terroristico che dir si voglia, sta usando le armi o ha intenzione di usarle o minaccia l’uso della forza.

Preso atto di questa realtà la questione è come ci si comporta con tali stati o gruppi terroristici?

Si segue l’idea del pacifismo a tutti i costi e si resta inermi?

Nel caso dell’Ucraina vuol dire restare a guardare mentre i russi massacrano anche i civili senza alzare un dito.

È giusto, è eticamente giusto?

Pacifismo. Il vero senso della non violenza

Fin da piccolo ho sempre ammirato la figura del mahatma Gandhi e ne ho fatte mie le idee di non violenza anche nelle battaglie per la giustizia e la verità.

Ma ricordo anche che Gandhi non ha mai detto che non violenza significa subire la violenza altrui senza far nulla.

Non violenza è rifiutare l’uso della forza come mezzo di risoluzione dei problemi, ma se è qualcun altro ad aggredirti tu hai tutto il diritto di difenderti, né più né meno di quanto dicono la maggior parte dei codici penali di quasi tutto il mondo, stando attenti alla proporzionalità della risposta rispetto all’offesa ricevuta.

Nel caso di un’aggressione personale se uno mi minaccia con una pistola e gli tiro un cazzotto è senz’altro legittima difesa per la legge, ma lo è anche moralmente.

Non è più legittima difesa se uno mi da uno spintone e io gli sparo un un fucile mitragliatore.

Se poi uno mi minaccia di farmi del male non sono mai autorizzato a “farmi giustizia” da solo.

Ancor meno se sono io a pensare che lui mi stia minacciando ma in realtà l’altro non ha fatto nulla in tal senso (il riferimento alla Russia di Putin è voluto!).

Pacifismo

Chiarito questo e tornando al problema ucraino che cosa dovrebbero fare gli stati democratici di fronte a un’ingiusta aggressione russa nei confronti dell’Ucraina?

Lasciare che i missili russi devastino le città e uccidano non solo i soldati ma anche i civili indifesi?

Non commento le affermazioni di chi, anche in ambito politico-istituzionale, afferma che gli ucraini dovrebbero arrendersi altrimenti il prezzo della benzina arriverà alle stelle.

Come se la liberà di un popolo fosse sacrificabile per una tanica di carburante in più!

Essere pacifisti non significa essere rinunciatari e lasciare al più forte campo libero.

Perché non agire, non intervenire, anche militarmente, questo significa: lasciare campo libero a chi invece non ha remore a usare la forza, a chi se ne infischia del pacifismo e usa le armi per i suoi scopi, legittimi o meno che possano apparirgli.

Al contrario, essere pacifisti, veri pacifisti, significa costruire le condizioni perché un domani nessuno possa più usare la forza e, per esempio, invadere uno stato vicino con qualsivoglia scusante.

Come?

Pacifismo. Il mondo unificato

Io un’idea ce l’ho ed è forse un po’ prematura rispetto alle condizioni storiche ma sono sicuro che con il tempo sempre più persone concorderanno con me.

Che cosa ha impedito ai paesi europei di farsi la guerra per quasi ottant’anni e possibilmente per non scendere mai in conflitto fra di loro nemmeno nel futuro?

L’unione, che noi adesso chiamiamo Unione Europea, che prima l’abbiamo conosciuto come CEE e prima ancora come MEC.

Se vi è vera integrazione allora il rischio del conflitto si riduce drasticamente, non dico annullato del tutto, ma reso talmente improbabile da essere prossimo allo zero.

Perché gli interessi comuni scoraggerebbero comunque colpi di testa, perché ci sarebbero deterrenze interne, e non tanto militari quanto economiche, culturali, di interesse nelle più varie accezioni.

Pacifisimo

La soluzione sarebbe dunque un mondo unificato sotto un governo universale tipo film di fantascienza?

Sì, ritengo che questa è, e non dico sarebbe ma uso apposta il presente indicativo “è”, l’unica strada perché la pace possa regnare ovunque e sempre.

Qualunque altra soluzione non potrà che essere nella migliore delle ipotesi transitoria, parziale, fallace se non addirittura controproducente come nel caso dell’Ucraina.

Non fornire armamenti a chi si sta difendendo è un crimine, perché sarebbe un voltarsi dall’altra parte e dire in nome di un presunto pacifismo che non possiamo macchiarci di vite umane fornendo armi senza tener conto che ci stiamo macchiando di vite umane lasciando che la Russia uccida indiscriminatamente cittadini ucraini, militari e civili, che non non hanno chiesto di essere in conflitto, che non sono scesi in guerra ma che sono stati aggrediti.

Se mentre sto camminando per strada vedo qualcuno che picchia o violenta una persona e non intervengo, magari anche solo chiamando le forze dell’ordine, sono moralmente (e legalmente) responsabile di quella violenza.

Inviare armi agli ucraini che difendono la loro terra, le loro città, il loro popolo, la loro libertà non è solo giusto, ma è anche un dovere morale che abbiamo noi occidentali se vogliamo continuare a chiamarci democratici e civili.

Pacifismo. Non quando è sulla pelle degli altri

Non stupisce che a essere contrario all’invio di armi e a nuove spese militari sia il Vaticano e Papa Francesco in particolare.

Il Sommo Pontefice è una guida spirituale e tenta fino all’ultimo di riportare all’uso della ragione i potenti (purtroppo con ben poche possibilità di successo).

Quello che stupisce è che a pensare che non si debbano inviare armi siano molti rappresentanti politici ai quali verrebbe da chiedere loro: e se fossimo noi al posto degli ucraini?

E fosse stata invasa l’Italia e paesi come Francia e Germania si voltassero dall’altra parte invocando il pacifismo?

Personalmente sono rimasto colpito dalla posizione degli ex partigiani, contrari all’invio di armi. Trovo quantomeno strana la loro posizione, visto quanto hanno fatto i partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale per tentare di scacciare l’occupante nazista.

Tra l’altro c’è appena stata la ricorrenza delle Fosse Ardeatine, reazione assurda dei nazisti all’attentato di via Rasella del 1943 dove persero la vita trentatré soldati tedeschi.

A quei partigiani che oggi dicono no all’invio di armi in Ucraina verrebbe da chiedere perché allora fecero quell’attentato, e molti altri peraltro, che si sapeva avrebbero portato a ripercussioni anche sui civili da parte dei nazisti?

Pacifismo. Aumentare la spesa militare per avere più pace?

Tornando al tema di partenza, la dicotomia fra pacifismo e aumento delle spese militari in realtà non esiste.

Oggi, in questo frangente storico, l’aumento delle spese militari non è solo legittimo ma anche doveroso per preservare gli spazi di libertà e democrazia che troppe guerre e troppi morti nel secolo scorso ci hanno lasciato in eredità.

Come impone il Trattato Atlantico la forza militare deve avere solo scopo difensivo e mai offensivo e contemporaneamente occorre che attraverso la diplomazia ma anche tutto il soft power possibile si riducano nel mondo gli spazi per le autocrazie o le dittature vere e proprie e nel contempo si creino sempre più legami e vincoli reciproci fra gli stati in modo da rendere sempre meno conveniente, e dunque sempre più improbabile, la nascita di nuovi conflitti.

Un giorno, che purtroppo so già di non poterci essere per vederlo, l’umanità si renderà conto che solo unendosi potrà salvarsi e allora sì che le spese militari potranno essere ridotte se non addirittura annullate perché non ci sarà più nessuno contro cui combattere.

Ma sino ad allora non parliamo di pacifismo senza se e senza ma, piuttosto chiamiamolo con il vero nome: o martirio se ci tocca in prima persona e siamo disposti a pagarne il prezzo, o ipocrisia se a pagarne le conseguenze sono solo altri lontani da noi!

Leggi tutti gli articoli di E.T.A. Egeskov QUI

Scopri il profilo di E.T.A. Egeskov QUI

Se vuoi scoprire i libri che ho scritto clicca qui sotto

This website uses cookies. By continuing to use this site, you accept our use of cookies.