Cecil Hotel ha ispirato “The American Horror Story”

Cecil Hotel ha ispirato “The American Horror Story”

(Cecil Hotel) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 3 – Cecil Hotel” su Spreaker.

Cecil Hotel, l’inquietante albergo che ha ispirato la serie TV “The American Horror Story”

SOMMARIO

640 S Main St, Los Angeles, CA 90014, Stati Uniti: risponde a questo indirizzo il tristemente famoso Cecil Hotel.

Uno dei luoghi più ambigui ed inquietanti che siano noti.

Teatro di omicidi irrisolti, suicidi, brutali incidenti e l’infelice primato di aver ospitato almeno due feroci serial Killer tra le sue stanze.

Cecil Hotel. Costruito negli anni ’20

Una fama che conferma la maledizione del suo nome, tanto d’aver ispirato la famosa serie tv americana “The American Horror Story” .

Da qualche anno è stato classificato come edificio d’interesse storico culturale.

Ma per gli abitanti della città degli Angeli e per il resto del mondo, rimane uno degli alberghi più misteriosi e agghiaccianti della storia.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire

il telefono del vento

Costruito nel 1920 soprattutto per appagare le necessità degli imprenditori che erano di passaggio a L.A., l’hotel vanta ben 19 piani e 600 stanze.

Sin dalla sua progettazione il Cecil Hotel doveva essere un esempio dell’industria edile americana, per il quale venne spesa una cifra stratosferica: un milione di dollari.

Ma ben presto s’innescano più fattori che gli fanno perdere prestigio e lustro:

  • la grave e profonda crisi economica iniziata nel 1929
  • l’ubicazione nelle vicinanze di Skid Row, quartiere di pessima fama.

Skid Row ufficialmente conosciuto come Central City East – sin dalla Grande Depressione a oggi – è un sobborgo abitato prevalentemente da senzatetto, emarginati, tossicodipendenti e prostitute.

Ben presto infatti, il Cecil Hotel si convertì da albergo ad affittare camere.

I prezzi modici e la possibilità di soggiornarci a lungo termine, attirarono di fatto una vasta e variegata gamma di clienti.

Cecil Hotel. La maledizione

La maledizione del Cecil Hotel lo rende tristemente famoso negli anni ’50 – ’60 e ’70 come luogo prediletto per i suicidi.

Tanto da venire soprannominato “The Suicide”.

Cecil Hotel

Una lista di nomi (e di vite) che si allunga col passare degli anni:

  • nel 1931 viene registrato il suicidio di W.K. Norton, che decide di togliersi la vita ingerendo delle capsule piene di veleno.
  • nel 1934, il sergente L.D. Borden, si recide la gola con un rasoio.
  • nel Marzo del 1937, Grace E. Magro, cade dal nono piano dello stabile. Non si chiariranno mai le dimaniche dell’incidente per poter stabilire se fosse stato omicidio, o suicidio.
  • nel giugno del 1964, la pensionata soprannominata “Pidgeon Goldie”, viene trovata nella sua stanza: selvaggiamente picchiata, stuprata e accoltellata. Nessun colpevole pagherà per questo efferato crimine.
  • nel 1975, una donna sotto falso nome prenota la stanza 327. Ci rimane chiusa per quattro giorni, salvo poi decidere di suicidarsi buttandosi dal dodicesimo piano. La sua vera identità non verrà mai scoperta.

Non li ho volutamente citati tutti, ma non posso dimenticare uno dei cold case americani più famosi, che ha definitivamente etichettato il Cecil Hotel come “infestato e nefasto”.

Cecil Hotel. La tragedia

La tragedia avvenuta il 31 Gennaio del 2013 ha come protagonista una studentessa canadese di origine asiatiche di nome Elisa Lam.

Della giovane sono stati registrati gli ultimi angoscianti istanti di vita.

Elisa viene ripresa dalla telecamera di sicurezza posta nell’ascensore su cui sale.

Nel filmato è ben visibile la sua inquietudine che si manifesta in atteggiamenti davvero poco chiari o consoni al momento.

È agitata – come se qualcuno la seguisse – muove le mani in modo concitato e quasi innaturale.

Cecil Hotel

Nel video di circa quattro minuti, si evince chiaramente il profondo disagio in cui Elisa versa negli ultimi istanti di vita.

La ragazza lascia l’ascensore che subito dopo riprende la sua corsa, sparendo dall’occhio della telecamera.

Morirà di lì a poco.

Circa due settimane dopo, gli ospiti dell’albergo si lamentano alla reception perché l’acqua che fuoriesce dai rubinetti ha un odore nauseabondo e un colore stranissimo.

Vengono inviati i manutentori a controllare le cisterne sopra il terrazzo dell’hotel.

In una delle cisterne ispezionate, l’agghiacciante scoperta: viene rinvenuto il corpo nudo e in avanzato stato di decomposizione di Elisa Lam.

Cecil Hotel

Mille dubbi e supposizioni si fanno strada tra gli inquirenti.

Soprattutto perché risulta difficile capire come la ragazza sia arrivata ad aprire (e a richiudere) la cisterna e come abbia fatto ad eludere il sistema d’allarme per arrivare sin lassù.

Quello che dichiara l’autopsia è chiaro.

Elisa era sobria e non aveva assunto droghe al momento della morte.

Pur essendo affetta da un disturbo bipolare, il video pubblicato dalla polizia, come il suo tragico decesso lanciano molti dubbi e poche concrete verità.

Inoltre, la polizia ha presto chiuso le indagini, archiviando il caso come: “annegamento accidentale”.

Cecil Hotel. Oggi Stay on Main

Ancora oggi il Cecil Hotel – che è stato rinominato Stay on Main – è un albergo a tre stelle , aperto a tutti.

Conserva immutato nel tempo – tra i chiari scuri delle sue stanze e i lunghi corridoi – verità mai accertate e vite spezzate.


Fonti:

  • La Repubblica: L’albergo degli orrori diventa un monumento. Storia dell’Hotel Cecil e dei suoi misteri
  • Le foto che hanno segnato un’epoca: L’agghiacciante storia del Cecil Hotel, denominato l’Hotel dei suicidi
  • Metropolitan Magazine: Il caso di Elisa Lam: la 15ª morte “sospetta” al Cecil Hotel
AMELIA SETTELE

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Caligo legend: the fog that comes from the sea

(Caligo) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

La nebbia arriva dal mare, sfiorando le onde e accarezzando la sabbia.

SOMMARIO

La sua leggenda accompagna i racconti dei marinai che lusingati dalle onde del mare, hanno tramandato il fascino suggestivo di questa storia.

Una storia che narra di anime perdute e inconsolabili che aspettano proprio questa nebbia per trovare la pace.

Caligo. La nebbia del mare

Scientificamente il fenomeno è definito come “la nebbia del mare”, anche conosciuto come “nebbia da avvezione”. 

Fenomeno che si forma quando l’aria umida passa per avvezione, movimento orizzontale dei flussi d’aria sopra il terreno freddo e viene così raffreddata.

Questo fenomeno è frequente sul mare quando l’aria tropicale incontra ad alte latitudini acqua più fredda.

È comune quando c’è molta differenza tra le temperature diurne e notturne, si dissolve non appena il sole, al mattino, comincia a scaldare l’aria.

Caligo. Dove si manifesta in Italia

Nel nostro Paese, le zone dove è facile che il fenomeno si manifesti (soprattutto a cavallo tra l’inverno e la primavera) sono le coste Apuane e quelle Liguri.

Se si osserva l’evento atmosferico sembra quasi che le acque lo sospingano verso l’entroterra, permettendogli di arrivare ad “abbracciare” la costa.

Caligo

Creando uno scenario gotico e surreale, complice anche la leggenda ad esso legata.

La nebbia del mare affascina e inquieta allo stesso tempo.

Fitti banchi di vapore acqueo sfiorano la superficie marina, mentre il profluvio continua il suo incessante ondeggiare e la sua costante magnificenza.

Caligo. Gli spiriti del mare

La fola popolare, che accompagna i sussurri della gente del mare ci permette di conoscere la “Leggenda del Caligo”.

Leggenda che narra che gli “Spiriti del mare” risalgano dagli abissi – avviluppati dalla nebbia – per trovare e liberare le anime afflitte, intrappolate tra la vita e l’aldilà.

Gli “Spiriti del mare” “raccoglierebbero” le anime perdute accompagnandole tra le onde.

Lasciando poi che il mare le culli e le quieti, permettendo loro di affrontare l’ultimo viaggio verso la pace e l’eternità.

Solo quando tutte le anime angosciate sono state ritrovate, la nebbia del mare scompare dalla costa lasciando di nuovo spazio al sole e al paesaggio marino che siamo da sempre abituati ad ammirare.

Suggestiva la leggenda, affascinante la nebbia che viene dal mare

Caligo. Insolite coincidenze

Ultimamente la Nebbia del Mare è stata avvistata in Liguria nei giorni della commemorazione delle vittime del Covid-19 e pochi giorni dopo il crollo del cimitero di Camogli.

Senza ombra di dubbio sono insolite coincidenze che rendono questi eventi straordinari segnali a cui la natura (o il fato, chissà?!) ha deciso di assistere generando il fenomeno. A testimonianza che ogni leggenda ha sempre una piccola fonte di verità… Difficile da credere, ma impossibile da spiegare.

Fonti:

  • Genova Today: La leggenda del Caligo
  • Il mio mondo libero: Caligo, la nebbia del mare. Curiosità e leggenda
  • Wikipedia: la nebbia da avvezione
AMELIA SETTELE

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Fumone, ghost and legend in the castle

(Fumone) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Famoso è il suo Castello che ha tutti gli ingredienti per definirsi “magico”, non solo per bellezza strutturale ma anche perché intriso di storia, leggende e… fantasmi!

SOMMARIO

Fumone è un piccolo paese in provincia di Frosinone.

Il centro storico è situato su un colle rialzato e ben visibile anche da notevoli distanze.

Tanto che nelle giornate di cielo terso e limpido si possa ammirare un panorama spettacolare.

Si riesce a scorgere Roma e (addirittura) il profilo del Vesuvio. 

È “incastrato” tra Fiuggi e Alatri e le sue origini sono antichissime.

Fonti attendibili narrano che la sua fondazione risalga a Tarquinio Il Superbo (V secolo a.C.) il quale vi trovò rifugio, dopo essere stato bandito da Roma.

Fumone. Castello in posizione strategica

La sua posizione rialzata (e privilegiata) permise ai suoi abitanti di avere un ruolo fondamentale nella difesa del territorio circostante.

Tanto da venir forgiato un antico detto popolare che racconta l’importanza strategica che nei secoli, ha avuto questo luogo:

«Se Fumone fuma, tutta la Campagna trema!»

A voler significare che all’avvistare del fumo – messaggero esiziale di devastazione e pericolo – dalle alte torri del paese, le città vicine dovevano prepararsi a difendersi.

Fumone

Per Campagna – in latino: Campaniæ Maritimæque provincia – invece, s’intende una divisione amministrativa dello Stato Pontificio.

Famoso è il suo Castello che ha tutti gli ingredienti per definirsi “magico”.

Non solo per bellezza strutturale ma anche perché intriso di storia, leggende e… fantasmi!

Il Castello Longhi è infatti il luogo più noto del paese e attira da anni molti turisti e curiosi.

Visitatori che s’inoltrano tra le stanze della fortezza accompagnati da guide preparate e competenti in grado di portare il visitatore tra i luoghi della roccaforte come se fossero a spasso nel tempo”.

Fumone. Le origini

Le origini del Castello sono avvolte nel mistero e cavalcano la storia.

Nel X secolo d.C. attraverso la donazione dell’Imperatore di Germania – Ottone I – la Santa Sede, nella persona dell’allora Pontefice Giovanni XII, divenne proprietaria della Rocca.

Per oltre 500 anni, il Castello fu adibito e usato come prigione Pontificia per prigionieri politici e avamposto militare di controllo. 

Tra i molti (sfortunati) reclusi ci furono: Maurizio Bordino – antipapa noto con il nome di Gregorio VIII – giustiziato e sepolto nel Castello, il cui suo corpo non fu mai ritrovato.

Il più celebre prigioniero fu Papa Celestino V (conosciuto anche come Pietro l’eremita da Morrone) che venne fatto prigioniero nel 1295.

Fumone

L’anziano Pontefice – eletto alla veneranda età di 86 anni – per un puro gioco di potere tra le famiglie cardinalizie dei Colonna e gli Orsini, si arrese presto alla pressante vita da vicario di Cristo e decise di abdicare.

Non era mai accaduto prima nella storia della Chiesa.

Al suo posto venne eletto Papa Bonifacio VIII, il quale presto si rese conto che la sua elezione era illegittima e pertanto trovò come unica soluzione l’arresto dell’anziano Pontefice.

Celestino V visse in una cella angusta, quasi murato vivo e perì il 12 Maggio 1296. Da allora il Castello non venne identificato solo come fortezza militare, ma anche come luogo spirituale vista la presenza della tomba di Celestino.

Fumone. La famiglia Longhi

Col tempo la roccaforte perse prestigio e la trascuratezza iniziò ad essere visibile su tutta la struttura.

Solo nel 1584, Papa Sisto V decise di affidare il Castello ai Marchesi Longhi, famiglia aristocratica romana.

Fumone

I nuovi proprietari decisero di apportare migliorie al Castello.

Crearono un bellissimo e grandissimo giardino pensile (secondo per estensione e primo in altezza, in Europa).

Il bellissimo “giardino sospeso” ha al suo centro una pietra che se calpestata si narra, porti fortuna.

Il Castello Longhi custodisce ed espone anche un bozzetto della statua di Paolina Bonaparte, lavorato dal Canova.

Fumone. La leggenda del marchesino e di sua madre

Se visita il Maniero si passeggia nella storia e nelle leggende, come quella del Marchesino Francesco Longhi e della madre Emilia.

Nel 1851, i Marchesi Giovanni Longhi ed Emilia Caetani subirono la perdita del loro amatissimo ultimogenito, Francesco.

Il piccolo – di appena 3 anni – perì nel suo letto dopo atroci sofferenze senza nessuna diagnosi certa.

La madre, folle di dolore, impedì la classica sepoltura perché impensabile per lei allontanarsi da quel corpicino esanime.

Lo fece imbalsamare e il dolore la lacerò fino alla morte.

Fumone

Tutt’oggi il corpo del piccolo riposa in una teca, ben conservato, insieme ai suoi giocattoli preferiti.

Solo successivamente si scoprì che a uccidere il Marchesino non fu nessuna malattia, ma la cattiveria e l’invidia delle sorelle più grandi.

Per questioni d’eredità decisero di avvelenarlo, contagiando il cibo del fratellino con piccole dosi di veleno e frammenti di vetro finemente sminuzzato.

Una morte inspiegabile e atroce accompagna la leggenda del suo fantasma che si manifesterebbe ancora all’interno del castello.

Alla perenne ricerca dell’amata mamma Emilia.

Testimonianze raccontano che anche il fantasma di quest’ultima si aggiri ogni notte tra le mura del maniero per far visita al corpo del figlio.

Per accudirlo e proteggerlo.

Avendo avuto il privilegio di visitarlo posso scrivere con certezza che tra quelle mura il mistero come l’austerità della storia, non lasciano indifferenti nessun visitatore che entra cosciente di fare un salto nel tempo tra magia e spiritualità.

AMELIA SETTELE

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Il telefono del vento. The phone online with Death!

(telefono del vento) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

In Giappone – nel giardino privato di Bell Gardia – c’è una cabina telefonica per “parlare” con i morti.

Esistono molti luoghi nel mondo dove commemorare i defunti.

Uno dei posti più inconsueti e originali si trova in Giappone, nella città di Ōtsuchi.

Un centro abitato a Nord Est dell’isola, nella prefettura di Iwate e più precisamente in un giardino privato chiamato Bell Gardia.

Il monumento si chiama 風の電話 kaze no denwa, il cui significato è Telefono del Vento.

SOMMARIO

È una cabina telefonica che spicca tra la bellezza naturalistica del giardino.

Cabina al cui interno è installato un vecchio modello di telefono in bachelite, privo di linea, attraverso il quale si può “dialogare” con i morti.

Il visitatore che decide di entrare nella cabina, può intrattenere una chiacchierata onirica o rimanere nel più assoluto silenzio.

Cullato dall’abbraccio del vento che sferza e rafforza l’atmosfera preziosa e unica dell’opera.

La cabina è di legno bianco e pannelli di vetro, mentre il telefono è sistemato sopra una mensola.

Accanto vi è un quaderno, dove gli ospiti possono lasciare un segno del loro passaggio: una firma, un pensiero.

Il telefono del vento. Ma chi ha ideato il Kaze no Denwa e perché?

Il Telefono del Vento è stato progettato nel 2010 da Itaru Sasaki, progettista di giardini che ha creato l’opera dopo la scomparsa di suo cugino.

La cabina telefonica è diventata, col tempo, una sorte di portale immaginario.

Dove poter parlare con i defunti, in un dialogo chimerico e profondamente commovente.

Alzando la cornetta si può immaginare di colloquiare con chiunque si desideri, anche con sé stessi, come e soprattutto con chi non è più con noi.

Sognare di dialogare attraverso quel telefono privo di linea è come pregare e sperare.

Ponendosi dinnanzi a uno dei sentimenti più profondi e laceranti che caratterizzano l’essere umano: il dolore del lutto.

Il Telefono del Vento permette di credere almeno per un istante di poter essere in contatto con chi non ci è più accanto.

il telefono del vento

Il telefono del vento. La storia del Telefono del Vento è intensa, importante e nasce perché

Itaru Sasaki dopo il grave lutto che colpì lui e i suoi parenti, immaginò un luogo dove poter continuare a “parlare” col suo familiare deceduto.

E per farlo pensò a due elementi soltanto: il telefono e il vento.

Poiché i miei pensieri non potevano essere trasmessi su una normale linea telefonica, volli che fossero portati dal vento.” (I. Sasaki)

Il Signor Sasaki era sicuro che la sua opera l’avrebbe aiutato a metabolizzare il dolore.

Ma quello che non poteva minimamente immaginare, accadde appena un anno dopo.

Un evento di tali proporzioni da cambiare le venture – e le vite – di migliaia di persone come della storia stessa del Telefono del Vento.

Tanto da trasformandolo in un vero e proprio luogo di pellegrinaggio, ancora più toccante e mistico.

L’evento che modifica per sempre la storia che vi sto narrando avviene l’11 Marzo 2011, quando un potentissimo terremoto colpisce il Giappone.

Il telefono del vento. Il terremoto e maremoto di Tōhoku

Nord del Giappone – Isola di Honshū – 11 Marzo 2011, ore 14:46 (le 6:46 in Italia).

La terra inizia a tremare.

Un terremoto di magnitudo 9.1 matura e deflagra a largo delle coste dell’isola più grande della nazione nipponica.

Dopo pochi minuti sopraggiunge un mostruoso tsunami che colpisce e devasta soprattutto le coste della regione di Tōhoku

Il sisma avvertito, risulta essere da subito violentissimo e viene catalogato come uno dei cinque più potenti mai registrati nella storia del mondo dal 1900.

Oltre a essere, ancora oggi, quello più forte mai rilevato in Giappone.

La scossa è intensa ma lontana dalla terra ferma pertanto, l’elemento che porta distruzione e morte è il maremoto generatosi pochi istanti dopo.

Onde alte più di 10 metri si abbattono sulla costa con una tale violenza da spazzare via ogni cosa.

Oltre 15.000 vittime

Solo a Tōhoku le vittime sono più di 15.000… trasportati via da un’onda irrefrenabile che ha lacerato vite, sogni e realtà.

La centrale nucleare di Fukushima esplode.

L’enorme onda creatasi a seguito del terremoto, arriva a danneggiare la struttura in modo irreparabile.

La tragedia verrà ricordata proprio con il nome della regione più colpita, Tōhoku.

La conta delle vittime lascia il mondo attonito, dinnanzi agli occhi dei sopravvissuti si palesa la potenza di una natura devastante e distruttrice.

Un terremoto che scuote letteralmente il mondo e ferisce pesantemente il Giappone.

Morte, disastro e dolore restano le conseguenze più tangibili di questa catastrofe.

È proprio a seguito di questo evento che Itaru Sasaki decide di aprire il suo giardino privato ai familiari e agli amici delle vittime dello tsunami.

telefono del vento

Dialogare con i cari scomparsi

Mette a loro disposizione la cabina e lascia che utilizzino il Telefono del Vento per cercare un dialogo non solo con i propri cari scomparsi.

Ma anche con quel dolore sordido e martellante che li stringe ormai in una morsa senza fine e che lui conosce bene.

Da quel momento, grazie anche al passaparola, il Telefono del Vento diventa una vera e propria meta.

In più di 12 anni, le persone che hanno visitato il luogo sono state davvero molte, le stime ne dichiarano circa 30.000!

Il telefono del vento. Silenzioso cordone umano a Bell Gardia

Un rispettoso e silenzioso cordone umano ha continuato ad andare a Bell Gardia, oramai ribattezzata “la collina del telefono del vento”.

Per potersi immergere in quell’atmosfera profondamente toccante che si annida tra le sferzate di vento e il bianco candore della cabina.

Chi ha visitato l’opera di Sasaki ha intrapreso un viaggio personale intenso e significativo.

L’opera del garden designer è stata ripresa in altre parti del mondo.

Con lo stesso significato e lo stesso rispetto verso il dolore di chi deve convivere con la pesante assenza di una persona cara che non c’è più.

Cercando rifugio e sollievo tra i fili di un telefono privo di linea e l’ascendente della natura.

Non posso chiudere quest’articolo senza citare il bellissimo romanzo di Laura Imai Messina: “Quel che affidiamo al vento” (edito da Piemme).

Romanzo grazie al quale ho conosciuto questa storia e che vi suggerisco di leggere almeno una volta nella vita.

In fondo era quanto ci si augurava per tutti, che un posto dove curare il dolore e rimarginarsi la vita, ognuno se lo fabbricasse da sé, in un luogo che ognuno individuava diverso.” Laura Imai Messina

Ricordatevi sempre che il tempo batte ritmi incessanti e non arresta mai il suo scorrere.

Mentre il Telefono del Vento continua a custodire migliaia di parole, lacrime e ricordi, cullato e protetto da una natura maestosa. E da sentimenti che non muoiono mai.


Fonti:

  • Sempre dire Banzai: “Il telefono del vento: in Giappone esiste una cabina per “parlare” con i morti
  • Internazionale: “Il telefono del vento per parlare con le vittime dello tsunami”
  • IO Donna: “In Giappone c’è una cabina telefonica per parlare con i defunti”
  • Wikipedia: “Telefono del vento”
  • Studio Bellesi: “Il giardino di Bell Gardia e il telefono del vento”
AMELIA SETTELE

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Hei Zhy Gou, la foresta del non ritorno

(Hei Zhy Gou) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

In Cina, nella regione del Sichuan, si trova uno dei luoghi più misteriosi e inquietanti del pianeta. È la foresta di Hei Zhy Gou, soprannominata anche: “Foresta del non ritorno”.

SOMMARIO

Gli abitanti delle zone limitrofe la chiamano “La terrificante valle della morte”.

Se tradotto, il suo significato dovrebbe essere: “La gola del Bambù nero”.

Hei Zhy Gou. La foresta del non ritorno

Immersa in una gola profonda, avvolta quasi perennemente da fitti banchi di nebbia la foresta del non ritorno”, è affascinante ma nefasta.

Sembra sospesa nel tempo, lontana dalla realtà e sprofondata in un mondo parallelo.

Da anni si narra che nessun essere umano sia capace di esplorarla e … di tornare indietro sano e salvo!

Numerose sparizioni infatti, accompagnano la storia di questo labirinto di bambù.

Si ritiene che la “foresta del non ritorno” sia letteralmente in grado d’inghiottire uomini e veicoli.

Coraggiosi esploratori e persino alcuni aerei che sorvolavano la zona sono svaniti nel nulla, appena entrati in contatto con la foresta.

Sembra proprio che sia maledetta e non permetta a niente e nessuno di trovare la via del ritorno e di poter quindi, raccontare cosa (o chi) si celi al suo interno.

Hei Zhy Gou. La foresta non restituisce neppure i cadaveri

Quando il fitto fogliame viene inondato dal calore del sole, la foresta appare nei suoi ancestrali colori vivi ed intensi.

I profumi della natura rendono l’area un vero e proprio polmone verde, fulcro e culla di pace, spennellato di bruma e sinistro incanto.

Ma di notte tutto cambia.

Hei Zhy Gou

Il buio padroneggia nelle sue tinte più cupe e impenetrabili, donando al luogo un’aurea spaventosa.

Antiche leggende e angoscianti storie hanno come protagonista proprio la foresta.

Hei Zhy Gou si trasforma infatti in un antro intricato e pericoloso.

Da anni, chi si addentra tra i suoi sentieri non fa più ritorno.

Hei Zhy Gou. Abitata da un enorme drago a due teste

La sua impenetrabilità non ha mai reso concrete e sicure le notizie inerenti la sua formazione e storia.

Alcune leggende locali giustificano i misteri che aleggiano sulla foresta raccontando che, sia abitata dal Grande Uccello”.

Uno spaventoso mostro mitologico descritto come un enorme drago a due teste.

Certo è che – essendo il Drago un importante simbolo della cultura cinese, protagonista da millenni di storie e miti – nessuno ha mai cercato di scoprire cosa dominerebbe davvero “la foresta del non ritorno”, anteponendo a qualsiasi spiegazione logica, il rispetto della forza della natura e delle antiche tradizioni che hanno reso questo lembo di terra, uno dei luoghi più sventurati e maledetti che l’uomo conosca.

Fonti:
  • Travelglobe: La foresta di Hei Zhy Gou, tra bambù e misteri
  • Urban Post: Cina: Foresta di Hei Zhy Gou, la valle dei bambù dalla quale nessuno torna
  • Curiosando708090.altervista: Luoghi misteriosi: Foresta di Hei Zhy Gou (Cina)
AMELIA SETTELE

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Mangia Peccati, una figura storica tra leggenda e oblio

(Mangia Peccati) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Chi tra di voi è senza peccato scagli la pietra per primo.” Vangelo secondo Giovanni: 8.3

Tra il XVIII e il XIX secolo si concretizzò la figura simil-religiosa del Mangia Peccati – Sin Eater – che aveva il compito di assorbire le colpe del defunto, attraverso l’assunzione di cibo sul letto del moribondo.

SOMMARIO

Irrimediabilmente quando si narra del Mangia Peccati si è costretti a pensare agli ultimi istanti di vita di una persona.

Perché per chi crede, i peccati commessi devono essere redenti prima di esalare l’ultimo respiro, così da permettere alla propria anima un sicuro viaggio per l’aldilà. 

Mangia Peccati. Le origini

Per molto tempo, in alcune parti del mondo il Mangia Peccati ne ha rappresentato un valido aiuto.

Figura emblematica e ormai dai contorni poco nitidi, ha preso principalmente piede nell’entroterra Inglese e in alcune zone del Galles e della Scozia.

Soprattutto nei luoghi più isolati e remoti.

Sulle origini del Mangia Peccati ci sono poche notizie, ma quelle più concrete datano la sua nascita nel periodo del basso medioevo.

Anche se alcune fonti sono portate a dichiarare che nasca insieme al Cristianesimo stesso.

Certo è che se la storia lo ha oramai relegato solo nelle nicchie dei ricordi.

In alcune zone del pianeta (come l’Alabama) rappresenta ancora oggi il protagonista di cupe storie folkloristiche.

Mangia Peccati. Chi era?

Il Mangia Peccati – o Sin Eater, in Inglese – la maggior parte delle volte, era un uomo che veniva chiamato dalla famiglia del moribondo sul letto di morte per praticare questo rito.

Rito nel quale le pietanze offerte al Sin Eater rappresentavano i peccati commessi dal defunto.

Mangia Peccati

Il Mangia Peccati assumeva quelle pietanze e l’anima del defunto si alleggeriva, permettendo un trapasso sereno.

Un rito e una figura quella del Sin Eater che incarnano in modo chiaro e tangibile l’importanza per gli uomini, di affrancarsi l’anima dai peccati, restando altresì coscienti di gravare su quella di un altro.

Sicuramente non era un lavoro ambito da molti. 

Nella maggior parte dei casi, erano uomini poveri ai margini della società che – davvero per fame – intraprendevano questo mestiere.

Mangia Peccati. Se non era possibile la confessione o l’estrema unzione

Quando l’estrema unzione o l’ultima confessione non erano possibili, ci si rivolgeva al Sin Eater.

Sicuramente nelle zone rurali era più facile usufruire dei servigi di un Mangia Peccati, rispetto alle grandi città dove, invece, era più facile reperire un sacerdote per una “classica” estrema unzione o ultima confessione.

La maggior parte delle volte il Sin Eater – veniva contattato dalla famiglia del morente – e sotto un minimo compenso raggiungeva l’uomo in fin di vita al suo capezzale, per ascoltare le ultime confessioni.

In quel lasso di tempo veniva anche preparato il pasto frugale, che il Mangia Peccati ingeriva o sul letto del defunto o addirittura sul suo petto. 

Ascoltando e mangiando, permetteva all’anima del morente di lasciare le spoglie terrene, alleggerita dalle colpe commesse e dichiarate e di trovare pace in eterno.

Il defunto aveva l’anima redenta, ma il Mangia peccati allo stesso tempo appesantiva la sua, aggravandola di oscure e impenetrabili memorie.

Qualora fosse arrivato troppo tardi, ad accoglierlo sul letto ci sarebbe stato solo il pasto simbolico e il silenzio.

Nella maggior parte dei casi, il pasto era composto dal pane in quanto simbolicamente associato all’anima dei defunti.

Anche se al Sin Eater si poteva offrire anche del sale e un piatto di stufato o minestra.

Mangia Peccati. Un reietto con l’anima pesante

La confessione come il parco convivio erano fasi di un vero e proprio rituale, intervallato da preghiere sussurrate e arcaiche formule:

The ease and rest of the soul are gone” (La facilità e il riposo dell’anima se ne sono andati) Brand’s popular Antiquities of Great Britain

Un cerimoniale che ha i toni ancestrali, che si perdono nella notte dei tempi…

Intorno alla figura del Mangia Peccati, aleggia la costante comprensione di quanto sia stata dura ricoprire questo ruolo.

Solitamente era un uomo senza famiglia che per pochi penny (di solito non più di 4) e un tozzo di pagnotta, non esitava a venire a patti con i peccati degli altri, per poter avere lo stomaco pieno.

Era considerato un vero professionista, ma allo stesso tempo messo agli angoli dalla società del tempo. 

Un reietto con l’anima pesante e la solitudine come compagna.

Infatti il tempo e le superstizioni, avvicinarono la figura del Sin Eater alla stregoneria e al satanismo.

Un alone di mistero e maledizione aggravato anche dalla convinzione popolare che il Sin Eater fosse l’unico in grado d’impedire ai morti viventi di risorgere!!

Una figura storica e religiosa che è stata presente sino agli inizi del XX secolo.

Mangia Peccati. Richard Munslow l’ultimo

L’ultimo Mangia Peccati che la storia ci riporti è Richard Munslow (1838 – 1906) che onorò il suo compito nella Contea di Shropshire sino agli inizi del ‘900.

Il suo menù, contrariamente alla tradizione, prevedeva: torta alla ricotta, fondi di carciofi e trippa… senza mai dimenticare i sei pence previsti per la prestazione.

Al contrario di molti suoi colleghi e predecessori, ad avvicinare Munslow alla professione di Mangia Peccati, non fu l’indigenza o la fame, ma il lutto per la perdita di quattro suoi figli.

Di cui tre, nella stessa settimana.

Profondamente turbato da questa drammatica esperienza, scelse di diventare un Sin Eater per vivere questa professione, come forma di lutto.

Della figura enigmatica del Mangia Peccati restano poche concrete testimonianze.

Il silenzio e la solitudine che ne hanno rappresentato gli elementi più concreti, ci permettono di immaginarlo come un triste compagno che segue la Morte nelle sue peregrinazioni, tra un’anima e l’altra.

Capace ancora di accogliere il mistero degli ultimi istanti di vita dell’essere umano, tra sussurri e briciole di pane.

Fonti:

  • Blog. Necrologi: “Sin Eater: colui che mangia i peccati”
  • Altroevo: “Il Mangia Peccati, la storia e la leggenda del mangiatore di peccati”
  • The Weird Side: “Il Mangia Peccati e l’Accabador”
AMELIA SETTELE

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Roopkund, il lago degli scheletri

(Roopkund) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Per narrarvi i misteri di questa storia dovete accompagnarmi sull’Himalaya e più precisamente nello Stato Indiano di Uttarakhand. Qui si trova il Lago Roopkund, denominato anche il lago degli scheletri e dei misteri.

SOMMARIO

Situato nel ventre del massiccio di Trishul, è di origini glaciale e si trova a circa 5020 metri di altitudine.

Pur essendo stato classificato come lago, per la capienza e la profondità (che non supera i 3 metri) ha le caratteristiche più vicine a quelle di uno stagno. 

La zona è completamente disabitata e impervia, la natura domina il sito tra ghiaccio, rocce e … scheletri.

La particolarità del Lago è nell’essere custode di centinaia di ossa umane e arcani enigmi.

Quando il ghiaccio si scioglie, il Lago riporta alla luce centinaia di ossa.

È in questa capsula di ghiaccio, quasi perennemente abbracciata dalla neve, che riposano decine e decine di antichi resti umani.

Roopkund. La scoperta

Sebbene si abbiano notizie sullo Skeleton Lake – il lago degli scheletri – già dal IX secolo, l’ufficialità della scoperta viene datata nel 1942 quando il ranger Hari Kishan Madhwal scoprì i resti ossei che fluttuavano sul pelo dell’acqua.

Con il passar dei giorni e con il maggiore scioglimento del ghiaccio, il lago continuò a restituire altri resti umani, insieme a schegge di lance, manufatti in legno e anelli, brandelli di tessuto umano e capelli, vestiti e pantofole di cuoio.

Le autorità Britanniche – visto il periodo storico – inizialmente ipotizzarono che fossero cadaveri di soldati Giapponesi morti durante il tentativo di valicare i confini Indiani, per cercare di attuare una vera e propria invasione.

Terrorizzato da tale supposizione, il Governo Inglese avviò un’indagine inviando degli esperti sul luogo della scoperta.

Quest’ultimi decretarono che le ossa erano molto antiche e non potevano appartenere ai soldati nipponici.

Da quel momento il lago divenne il fulcro di misteriose storie, scarse prove concrete e la certezza della sua unicità.

Un cimitero tra i ghiacci che per circa 300 persone – senza un motivo apparentemente sensato – fu luogo di morte tra gelo e pietre.

Roopkund

Perché si erano recate in questo posto così proibitivo e pericoloso?

Come erano decedute?

Dal 1950 ai giorni nostri sono state diverse le spedizioni organizzate da team di studiosi sul lago Roopkund.

Esplorazioni volte ad analizzare i resti, per trovare risposte realistiche così da poter dissipare l’alone di mistero e folklore che aleggia su questo sito, così unico e particolare.

Roopkund. Le diverse supposizioni

All’inizio si ipotizzò che tutti i cadaveri rinvenuti fossero morti nello stesso momento e per la stessa causa. 

Poi si suppose che il lago Roopkund era stato per millenni una fossa comune, che aveva dato eterno riposo alle vittime di un’ipotetica epidemia, o di un suicidio collettivo.

Altri invece sostenevano che il Lago fosse un luogo sacro, utilizzato per sacrifici religiosi.

Le vittime di tali riti venivano condotte sin lassù per immolarsi durante le cerimonie.

Altre tesi spingono a credere che il Lago sia invece solo un luogo di passaggio per arrivare a compiere il pellegrinaggio al Nanda Devi – considerata una delle montagne più sacre dell’India.

Sin dalla notte dei tempi, a questa montagna sono legate storie demologiche e potenti energie, in grado di richiamare molti pellegrini per visitarla. 

L’atmosfera che aleggia sul Nanda Devi (in italiano: Dea dispensatrice di Beatitudine- Dea della Gioia) sembrerebbe donare concentrazione e vigore utili per la meditazione.

Il Governo Indiano non ha mai rilasciato facilmente autorizzazioni per scalarla e/o per compiere il pellegrinaggio alla montagna, a causa dei rapporti tesi con la Cina.

È necessario ricordare che questa barriera Himalayana è considerata un territorio molto delicato, perché confina a Nord con l’altopiano del Tibet e a Sud con la pianura del Gange.

Roopkund. Cosa scoprirono gli studiosi

Certo è che per i circa 300 resti umani ritrovati, poche erano le certezze e troppe le supposizioni. Utili e concreti sarebbero stati solo e soltanto gli studi e le ricerche sui reperti.

Purtroppo c’è da dire che oltre i ricercatori- in tutti questi anni – spesso si sono succeduti anche curiosi poco attenti che, per toccare i resti che l’acqua ha restituito alla storia, hanno alterato di fatto la zona dei ritrovamenti. 

Inoltre diversi scheletri sono stati utilizzati per creare delle inquietanti composizioni ossee (ancora visibili accanto alle sponde del lago) e altri, depredati. 

Queste alterazioni portate avanti da mani inesperte non solo hanno concretamente influenzato lo scenario originale del lago, ma anche influenzato negativamente il risultato su alcuni esami effettuati.

Roopkund

Analisi che sono emerse alterate proprio a causa di queste manipolazioni avvenute sulle spoglie.

Tanto da compromettere la conservazione naturale del sito stesso.

Dopo questa doverosa precisazione posso tornare a rivelarvi cosa gli studiosi sono riusciti a scoprire sugli scheletri.

Si è rinvenuto che in realtà nel lago riposavano due gruppi etnici distinti. Separati non solo per razza, ma anche per periodo storico, infatti:

  • sul primo gruppo di scheletri analizzati, gli studi hanno affermato che provenivano dall’Asia Meridionale (India, Bangladesh, Nepal) e incontrarono la morte nei pressi del Roopkund tra il VII e il X secolo. (Solo uno scheletro venne identificato come appartenente alla zona più Orientale dell’Asia – Giappone, Cina, Indonesia)
  • Mentre il secondo gruppo proveniente dal Mediterraneo (Grecia, Iran e Creta) sopraggiunse nei pressi del lago per incontrare il proprio triste destino, tra il XVI e il XIX secolo.

In entrambe le compagnie erano presenti sia donne che uomini.

Sono tutti morti nello stesso luogo, ma con uno “scarto temporale” di circa 1000 anni gli uni dagli altri.

Le analisi hanno rilevato anche l’assenza di agenti patogeni utili per confermare un’epidemia.

Quello che invece è sopraggiunto all’attenzione dei ricercatori sul “gruppo Asiatico” sono state delle lesioni riportate solo sul cranio e sulle spalle degli scheletri.

Compatibili con dei colpi “tondeggianti” sferrati dall’alto.

Una tesi che si è andata concretizzando nel tempo e ipotizza che la causa del decesso sia attribuibile a una violenta grandinata.

In pratica sulle teste di questi uomini, sarebbero letteralmente piovute dal cielo delle schegge di ghiaccio. 

Un profluvio di proporzioni impressionanti tanto fulmineo e veloce, da riuscire a ferirli fino a ucciderli.

Una tempesta di grandine che li avrebbe investiti e portati a una morte lenta e dolorosa.

Anche perché impossibilitati a trovare un rifugio utile per aver salva la vita.

Roopkund. La leggenda himalayana

A impreziosire questa teoria c’è un’antica leggenda tramandata tra le donne dell’Himalaya.

Leggenda che narra della furia di una Dea (Nanda Devi) che decise di castigare alcuni estranei che stavano profanando il suo Santuario.

Sussurrò l’anatema maledetto: “Farò piovere la morte su di loro”.

Scatenando così un temporale funesto con chicchi di pioggia duri come frammenti di ferro.

Casualità o strane coincidenze?

Quello che accomuna la leggenda con la tesi dichiarata dagli scienziati, non fa che rendere questo luogo ancora più enigmatico e oscuro.

Luogo dove il ghiaccio, il silenzio e il mistero custodiscono gli scheletri e le loro verità…


Fonti:

  • Storie Notturne Insieme: “Roopkund, il lago degli scheletri”
  • Fatti strani: “Il Lago Roopkund, l’inquietante specchio d’acqua colmo di scheletri…”
  • Focus: “I misteri di Roopkund”
  • Krishnadas: “Il Santuario del Nanda Devi”
  • Montagna.tv:” Roopkund. Il misterioso lago degli scheletri che non…”
AMELIA SETTELE

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Centralia: la vera Silent Hill brucia da 60 anni

(Centralia) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 4 – Centralia: la vera Silent Hill brucia da 60 anni” su Spreaker.

Tra gli amanti dei videogiochi a tema horror survival, Silent Hill rappresenta uno delle serie videoludiche più apprezzate di sempre.

Il prodotto immesso sul mercato nel 1999 è riconosciuto come un vero e proprio Cult e viene ritenuto anche il perfetto antagonista di un altro classico del genere: Resident Evil, un ulteriore successo nel settore dei videogiochi.

Nel corso degli anni entrambi i titoli, hanno avuto trasposizioni cinematografiche di successo, l’ultima in ordine di tempo è il reboot di “Resident Evil” uscito al cinema nel 2021.

Mentre dal videogioco di Silent Hill sono stati prodotti e commercializzati oltre ai film anche: fumetti, libri e romanzi. Insomma, un vero e proprio multimedia franchise.

Centralia. Ma cosa ha decretato il successo di Silent Hill?

Prodotto da Konami, è una delle poche serie in cui il protagonista è una “persona qualunque”.

Il giocatore ne prende il dominio, facendolo muovere tra le strade, le morti e le maledizioni della nefasta cittadina di Silent Hill.

Il gameplay di Silent Hill è molto semplice.

Si deve cercare di sopravvivere in questa ambientazione profondamente horror-gotica, provando a risolvere enigmi mentre si lotta per non farsi uccidere dalle forze del male che albergano tra gli edifici di questo lugubre centro urbano.

Uno degli elementi fondamentali che hanno decretato il successo della serie è, senza ombra di dubbio, la scenografia.

Centralia

L’ambientazione infatti regala al giocatore (come allo spettatore del lungometraggio) uno scenario degno dei peggiori incubi.

Una tipica cittadina americana abbandonata e costantemente avviluppata nella nebbia più fitta che cela mistero, morte, segreti ed esecrazioni.

Centralia. E se Silent Hill esistesse davvero?

Ebbene sì cari lettori, Silent Hill non è solo frutto della fantasia degli ideatori del videogame! Si trova nello stato della Pennsylvania – più precisamente nella Contea di Columbia – e porta il nome di Centralia.

Ha una particolarità che l’ha resa spettrale e unica allo stesso tempo, Centralia è avviluppata nelle spire di un incendio che divampa e la consuma da 60 anni.

Centralia. La storia di Centralia

Centralia venne fondata intorno al 1750 da un gruppo di coloni, con il nome di Centerville. Essendo già presente nella zona un villaggio omonimo si decise – anche per ovviare a problemi di natura burocratica – di modificare il nome della cittadina in Centralia.

Durante la sua costruzione, i giacimenti minerari furono subito rilevati, ma le miniere iniziarono a essere aperte e sfruttate solo intorno al 1850.

È in questo periodo, infatti, che Centralia inizia a crescere e a fiorire a livello economico e demografico.

La capienza dei giacimenti minerari è molto estesa e importante tanto da autorizzare la costruzione di ben due linee ferroviarie per il trasporto del carbone estratto.

Nel corso dei decenni la città cresce, sino ad arrivare al 1960 con un conteggio demografico di circa 2000 abitanti.

Si poteva usufruire di un servizio postale, almeno due istituti bancari avevano le rispettive sedi in città.

Molti anche i negozi e gli Enti scolastici utili per la crescita e la formazione dei giovani -ad eccezione dell’Università.

Tre cimiteri, Chiese di culti diversi e ben due teatri.

Si sviluppa un centro cittadino di tutto rispetto che – grazie alle miniere – garantisce lavoro e prosperità.

Centralia

Di pari passo all’accrescimento sociale e urbano di Centralia, si estende anche il suo sottosuolo. Epicentro del vero tesoro che la contraddistingue.

Si fa sempre più consolidata e ben collegata la rete di tunnel in grado di unire i diversi giacimenti aperti, per l’estrazione del carbone.

Centralia rappresenta la tipica cittadina americana degli anni 60 che assicura occupazione, servizi e tranquillità.

Sino al 1962, quando divampa un incendio in una delle miniere ormai in disuso che comprometterà per sempre la storia di questo luogo.

Centralia. L’incendio

Dell’incidente che modificò e compromise ineluttabilmente le sorti di questa cittadina, si conosce solo la datazione: 1962.

La storia narra che, su autorizzazione del comitato cittadino, un gruppo di volontari dei vigili del fuoco gettò dell’immondizia all’interno di una miniera chiusa e desueta, appiccando un incendio per poter smaltire il materiale.

Quello che non venne valutato fu che la portata delle fiamme all’interno di una miniera in disuso sì – ma comunque collegata alle altre – poteva alimentare senza sforzo un imponente incendio nel sottosuolo, adibito all’estrazione del carbone e ai tunnel di collegamento per il trasporto in superficie del minerale.

Una combustione che inizialmente sembrò essere domata dai pompieri cittadini, ma che in realtà continuò a fiammeggiare, arrivando anche nelle altre gallerie e nelle altre miniere.

Tutto il sottosuolo di Centralia fu investito dal calore alimentato dal suo stesso tesoro minerario.

Il terreno inizialmente coinvolto dalle fiamme raggiunse le zone adiacenti, ricche di antracite.

L’antracite è un carbone puro, con una presenza minima di acqua, zolfo, ossigeno e azoto.

Ha un elevato stadio di carbonizzazione, con una cospicua presenza di carbonio al suo interno).

                          …Una conflagrazione che aprirà voragini alle fiamme dell’Averno

Le strade iniziarono ad aprirsi con crepe e baratri, eruttando fumo e calore.

Vennero inghiottite nel sottosuolo case private, edifici pubblici e auto. La vegetazione iniziò a seccarsi e morire, rendendo il paesaggio della cittadina sempre più tetro.

Molti abitanti fuggirono da quello che sembrava essere uno scenario spettrale. Centralia ardeva dalle sue fondamenta, modificando per sempre il suo aspetto e la sua storia.

Centralia. Due tentativi per spegnare l’incendio

Tentarono in diversi modi e in molte occasioni di spegnere l’incendio, ma non ci riuscirono in nessun modo. 

Non tutti i cittadini decisero di lasciare subito le proprie abitazioni.

Alcuni resistettero fino a quando anche i fumi esalati dalla terra violata e sconquassata dall’incendio sottostante, non divennero tossici e pericolosi per i pochi abitanti rimasti. 

Ma due vicende distinte e separate portarono alla fuga degli ultimi abitanti rimasti:

  • La prima, nel 1979 quando: il proprietario di una pompa di benzina, avvertì un significativo aumento del calore del carburante dentro una delle cisterne di conservazione sotterranee. Misurandolo, arrivò a costatare che la temperatura del liquido sfiorava i 77°!!!
  • La seconda, nel 1981 quando: il dodicenne Todd Tomboski, residente a Centralia, sprofondò dentro una voragine apertasi proprio sotto i suoi piedi. Fortunatamente le sue grida vennero ascoltate da un passante che riuscì a tirarlo fuori, giusto in tempo. Se Todd fosse rimasto ancora per pochi minuti incastrato in quel gorgo, sarebbe sicuramente deceduto per le esalazioni tossiche e l’estremo calore sprigionato dal terreno.

Queste due particolari cronache riportate nella storia della città, ci annunciano che di lì a poco, la cittadina rimase praticamente deserta.

Le autorità imposero l’evacuazione rendendo a tutti gli effetti Centralia inesistente. 

Gli ultimi abitanti rimasti non superano la decina e nel corso degli anni, hanno avuto un permesso speciale per continuare a vivere lì; con l’obbligo di non poter lasciare in eredità a niente e nessuno, né la propria abitazione né la propria terra.

Centralia. La morte della città

Centralia è destinata a morire, ammantata tra i fumi densi e nocivi. Le voragini sul terreno hanno continuato a proliferare come ferite aperte in un paesaggio che è sempre più desolato e spaventoso. 

Gli studi effettuati hanno dichiarato che l’incendio si protrae su 1600 mq di terreno e potrebbe continuare a rimanere vivo per oltre 250 anni!

Centralia

C’è un’unica strada accessibile – che funge da entrata e uscita- la “Graffiti Highway” (denominata così per i disegni e le incisioni colorate lasciate dai turisti a ricordo del loro passaggio) che continua a condurre avventurieri e curiosi a visitare una delle città fantasma più famose d’America.

Tutte le altre vie di comunicazioni sono state chiuse e gli altri percorsi serrati con cumoli di terra.

Oltre alle poche abitazioni ancora in piedi, sopravvive alla tempra del calore una Chiesa, utilizzata tutt’oggi per le funzioni religiose. 

Dal 2002 Centralia non ha più un proprio codice d’assegnazione postale, in pratica NON ESISTE!

Centralia. Misteriose presenze

Aleggiano su Centralia non solo i fumi di un incendio perennemente vivo, ma anche molte storie che la vedono protagonista di inquietanti vicende come quella narrata nel 1998 da Ruth Edderson, il quale dichiarò di aver visitato la città insieme ad alcuni suoi amici e di aver avvistato due bizzarri individui vestiti da minatori, apparire e svanire dinnanzi ai loro occhi, avvolti in un fumo denso e pesante.

Altri ancora affermano con sicurezza di aver avvertito presenze inquietanti durante il loro passaggio a Centralia, riportando sensazioni di turbamento e smarrimento.

Quel che è certo, è che la storia di questa cittadina opprime e ammalia nello stesso tempo. E mentre risuona l’eco del fuoco che brucia e del silenzio che aleggia, posso solo sussurrare:

Benvenuti a Centralia…Benvenuti a Silent Hill…

Fonti:

  • Paesi Fantasma: Centralia, la vera Silent Hill
  • GreenMe: Centralia, la città di Silent Hill esiste davvero
  • Travel 365: L’incendio perenne di Centralia: la vera Silent Hill
  • Orgoglio Nerd: La città di Silent Hill esiste davvero in Pennsylvania
  • La scimmia pensa: La vera Silent Hill che brucia perennemente da 60 anni
  • Wikipedia: Centralia
AMELIA SETTELE

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Dia de Los Muertos. La festa Messicana che celebra la vita

(Dia de Los Muertos) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 1 – Il Dia de Los Muertos” su Spreaker.

Il Dia de Los Muertos – il Giorno dei Morti – è la festa Messicana che per eccellenza è conosciuta e riconosciuta in tutto il mondo, come una tra le celebrazioni più affascinanti e sentite che accompagnano i giorni a cavallo tra la fine del mese di ottobre e i primi giorni di novembre.

SOMMARIO

Periodo destinato al culto e al ricordo dei defunti, in gran parte del mondo. Il Dia de Los Muertos è la notte delle Anime, le quali attraverso un antico rituale tornano dal mondo dei morti per far visita ai propri cari.

Le famiglie infatti si riuniscono e i cimiteri, le case si adornano con candele, cibo e allegria. Si festeggia la morte che è sacra come la vita.

Ma ora andiamo a conoscere nel dettaglio questa festa millenaria e magnetica, caro lettore, e partiamo subito.

Dia de Los Muertos. È come la festa di Halloween?

Mi preme subito fugare questo dubbio che spesso può sopraggiungere visto il tema che accomuna le due celebrazioni.

A tal proposito è opportuno evidenziare che, a differenza delle atmosfere gotiche e cupe di Halloween ricorrenza tipicamente Americana – anche se ormai la globalizzazione l’ha resa comune a molte altre aeree del mondo lontane dagli Stati Uniti per storia e cultura, divenendo di fatto quasi un fenomeno globale – o della Festa dei Morti tipica della religione Cristiana essenzialmente più spirituale e riservata, il Dia de Los Muertos rappresenta una vera e propria festa che onora la periodicità perfetta e ineluttabile tra due elementi come: l’inesorabile morte e la forza tangibile della vita.

Un rito che si concretizza con del buon cibo, altari adorni di fiori, ceri e tanta musica popolare.

Durante i giorni del Dia de Los Muertos non si celebra la morte nei suoi toni oscuri e macabri, ma la si avvicina ancora di più alla vita stessa; entrambe infatti sono facce della stessa medaglia che contraddistingue l’esistenza di tutti gli esseri umani.

Nelle celebrazioni del Dia de los Muertos, chi festeggia cerca concretamente un modo per permettere alle anime ospiti nel “mondo dei morti” di tornare tra i vivi, almeno per una notte l’anno, per ritrovarsi di nuovo insieme.

Dia de los Muertos. Cosa rappresenta davvero per i Messicani?

Il Dia de Los Muertos nell’America Latina, ma soprattutto in Messico, è un vero e proprio rito che travalica la religione e si mescola alla vita sociale e culturale del Paese, diventandone l’emblema del folklore stesso. 

È la festa che più esprime il sincretismo tra il culto pagano preispanico e la religione Cattolica importata dai Conquistadores. 

La passione con cui il popolo organizza, vive e affronta ogni anno tale ricorrenza ha oltrepassato i confini nazionali fino a diventare un fenomeno agli occhi del mondo, tanto che l’Unesco nel 2008 l’ha dichiarato: “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità”.

Dia de los Muertos. Da dove nasce questa festività? tra storia e leggenda

Le origini del Dia de los Muertos si perdono nella notte dei tempi.

Elementi storici concreti ci dicono che ancor prima dell’arrivo dei Conquistadores Spagnoli, i popoli: Inca, Maya e Totonaca veneravano il legame imprescindibile che si cela tra la vita e la morte.

E i festeggiamenti organizzati già quei tempi volgevano al desiderio di far sentire i defunti ancora parte integrante della comunità.

Elemento ancora ben tangibile nelle commemorazioni moderne.

Sicuramente l’arrivo dei Colonialisti ha alterato le sfumature di tali riti, amalgamandole con materiale religioso e culturalmente diverso.

Ma a ben vedere, questo mix non ha fatto perdere il fascino al Dia de los Muertos anzi, l’ha spinto e concretizzato a tal punto da riuscire a cavalcare i secoli, permettendo ai Messicani di continuare ancora oggi a festeggiarlo e al resto del mondo di rimanere sempre più ammaliato da tale celebrazione.

Dia de los Muertos. Ma cosa accade?

Durante il Dia de los Muertos non si piange la morte, la si festeggia con rispetto, allegria e colore.

Generalmente i festeggiamenti hanno inizio il 28 Ottobre e terminano il 2 Novembre. Ogni singolo giorno è dedicato a una celebrazione particolare, ad esempio, il 28 Ottobre è la giornata in ricordo di chi è morto suicida o per incidente.

Mentre il 31, nella maggior parte delle comunità vengono onorate le morti dei bambini le cui anime, si crede, volino direttamente in cielo.

I restanti due primi giorni del mese di novembre, vengono consacrati per tutti gli altri defunti. L’attesa è talmente elevata che di solito le preparazioni alle celebrazioni, possono iniziare anche settimane prima.

Dia de los Muertos

Nel corso della notte delle anime i cimiteri “prendono vita”, i sepolcri vengono decorati con fiori dagli intensi profumi e dai colori caldi e decisi. 

I fiori più usati sono quelli della Tagete, pianta erbacea appartenente alle graminacee che nasce e cresce in Messico e in America Centrale. Ai fiori di Tagete – chiamati anche Cempasuchil– dai brillanti petali arancioni e il profumo intenso e vibrante è legata una storia molto significativa, nella quale si sussurra siano proprio questi due elementi visivi e olfattivi talmente forti e impossibili da dimenticare da essere percepiti addirittura dalle anime stesse, le quali li utilizzano per seguire il sentiero tracciato dai vivi per far ritorno a casa.

In ogni abitazione che rispetti e festeggi il Dia de los Muertos, viene allestito un vero e proprio altare dedicato, che prende il nome di Ofrenda.

Dia de los Muertos. Cos’è l’Ofrenda?

L’Ofrenda (che tradotto, significa: Offerta, n.d.a.) è l’elemento cardine del Dia de Los Muertos, perché viene considerata il “portale” che permette al mondo dei vivi d’incontrare quello dei morti. 

Sull’Ofrenda vengono posizionate ed esposte le foto dei defunti che s’intendono commemorare, ed è anche grazie a questo che le anime possono ritrovare la via di casa.

Ad arricchire l’altare ci sono sempre elementi simbolici che racchiudono significati specifici, come:

  • l’incenso e il suo fumo che pervadono le stanze delle case, a simboleggiare le preghiere e la purificazione degli ambienti.
  • le candele, che rappresentano il fuoco e la luce.
  • le caraffe d’acqua per far rifocillare i defunti dopo il lungo viaggio di ritorno dall’aldilà, insieme a cibo prelibato e altre bevande semmai amate in vita, dal defunto.
  • i semi di mais e cacao che interpretano sull’altare, la terra e i suoi frutti.
  • i papel picado – carta velina ritagliata a forma di teschi – prettamente di colore giallo e viola a rappresentare il vento. Le cui tinte rispecchiano la dualità tra la vita e la morte.
  • i fiori di Tagete.

In molte abitazioni oltre all’allestimento dell’Ofrenda, viene lasciata anche libera e pulita una camera da letto – nella maggior parte dei casi, quella padronale- dove le anime dei defunti possono riposare e riprendersi dalle fatiche del viaggio intrapreso.

I cibi e le bevande tipiche che si possono gustare sulle tavole imbandite sono:

i tradizionali Pan de los muertos” -Pane dei Morti- e i “Calaveras” – Teschi di zucchero, dolci tipici che portano anche incisi i nomi dei defunti che si vogliono commemorare.

Inoltre tra i piatti serviti si possono anche assaggiare le famose empanaditas – fagottini di sottile pasta farcita solitamente con la zucca e aromatizzata all’anice, e i tamales – involtini di foglie di mais ripieni di carne macinata – già apprezzati ai tempi dei Maya e degli Atzechi.

Si può sorseggiare cioccolata calda, caffè e amaranto, degustare tequila e la famosa bevanda Mezcal meno conosciuta a livello internazionale della tequila, ma sicuramente più apprezzata e utilizzata dai messicani.

Quest’ultimi l’amano a tal punto da definirla, così: “el mezcal no te emborracha, te embruja”, ovvero: “il mezcal non ti ubriaca, ma ti strega”. Per secoli definita la “bevanda dei poveri”, è uno dei liquori più utilizzati durante le celebrazioni.

Anche la carismatica e iconica pittrice messicana Frida Kahlo si narra fosse molto amante del Mezcal, come della ricorrenza del giorno dei morti, tanto da celebrarla in modo solenne ogni anno.

Dia de los Muertos. Le città si vestono a festa

Le strade e i cimiteri delle grandi metropoli, come dei piccoli paesini, si popolano di colori, abiti eleganti e cappelli fantasiosi.

Copricapi che adornano i volti dei partecipanti spesso dipinti ad arte come se fossero delle “Calaca“(teschi), tornati a festeggiare.

Le Calacas inoltre sono figure da sempre presenti nella cultura Messicana, ce ne sono traccia già nelle incisioni dei Maya.

I Teschi vengono ritenuti simboli spirituali molto forti, messaggeri gioiosi e non funerei che testimoniano con il loro “sorriso” la pace e la serenità delle anime dopo il trapasso.

Un’altra figura a cui va tutta la nostra attenzione è la Calavera Catrina – la donna scheletro, Signora dei Morti- icona ufficiale del Dia de los Muertos.

Dia de los Muertos. La Catrina

Il personaggio della Calavera Catrina prende ispirazione dalla Signora dei Morti Atzeca. La sua creazione si deve al vignettista e illustratore messicano Jose Guadalupe Posada che, nel 1913, ne tratteggiò le iconiche sembianze per inserirla come soggetto nelle litografie di stampo satirico e politico.

La Calvera Catrina è rappresentata come un teschio ghignante e agghindato con un grande cappello appoggiato sul cranio e abiti sfarzosi in stile francese.

L’ispirazione da cui nasce questo personaggio ormai folkloristico, porta con sé un messaggio profondo e concreto, di stampo sociale e politico perché la Catrina inizialmente era stata disegnata come caricatura di una donna messicana dei primi dell’900 che rifiuta le sue origini native per cercare di omologarsi allo sfarzo e alle abitudini dell’aristocrazia europea.

Diventando di fatto una vera e propria provocazione satirica nei confronti di tutti quei Messicani che tentavano di imitare gli Europei.

C’è stato anche un altro messaggio che l’artista Jose G. Posada s’impegnò a promuovere attraverso la Calavera Catrina ovvero che: dinnanzi alla morte siamo tutti uguali e “Siamo tutti Teschi” (Cit.).

Dopo di lui anche il grande pittore Diego Rivera – marito di Frida Kahlo – dipinse in primo piano la Catrina. La inserì proprio tra lui e Frida, su uno dei murales più famosi di sempre: Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central (sogno di una domenica pomeriggio nel parco di Alameda – 1948)

“La morte è democratica, perché alla fine, la madre, la bruna, i ricchi o i poveri, tutte le persone finiscono per essere teschi”

José Guadalupe Posada

Attualmente la Calavera Catrina risulta essere la maschera più amata e utilizzata dalle donne messicane durante i festeggiamenti.

Al Dia de Los Muertos sono legate anche bellissime ballate e poesie spensierate che vengono insegnate ai bambini sin dalla più tenera età.

Aiutandoli così sin da piccoli a comprendere che la morte non va temuta, ma rispettata e amata tanto quanto la vita.

Quello che contraddistingue il Dia de los Muertos dalle altre celebrazioni simili o similari è il coinvolgimento umano e sociale volto alla condivisione più pura di un messaggio che sconfigge il tempo e rende immortale l’amore e la morte con la stessa entità e potenza.

Permettendoci di non dimenticare che dinnanzi al trapasso siamo tutti uguali, come diventiamo unici e indimenticabili agli occhi di chi ci ha amato davvero sia in vita che dopo la morte.


Fonti:

  • Pimp my trip: “10 curiosità sulla festa dei morti in Messico”
  • Mi prendo e mi porto via: ”Dia de los Muertos: storia e significato di una bellissima tradizione messicana”
  • Esquire.com: ”Il Dia de los Muertos è molto più di un Halloween messicano”
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AMELIA SETTELE, Bolivia

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Vampiro di Londra. La leggenda del Cimitero di Highgate

(Vampiro di Londra) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Il Vampiro è da tempo immemore una delle figure più affascinanti del panorama letterario e cinematografico. Complici romanzi come “Dracula” di Bram Stoker o il film omonimo del libro appena citato- diretto dal regista Francis Ford Coppola – il Vampiro è anche protagonista di leggende altrettanto funeste e immortali che meritano di essere ricordate.

SOMMARIO

Il Vampiro è da tempo immemore una delle figure più affascinanti del panorama letterario e cinematografico. Complici romanzi come “Dracula” di Bram Stoker o il film omonimo del libro appena citato- diretto dal regista Francis Ford Coppola – il Vampiro è anche protagonista di leggende altrettanto funeste e immortali che meritano di essere ricordate.

Una su tutte è quella del Vampiro di Londra”, la cui fola misteriosa e lusinghiera è la figura di spicco del mio racconto:

Londra, sobborgo di Highgate – Nord della capitale. La necropoli prende il nome proprio dal quartiere dove è ubicata. È divisa in due parti: una occidentale e una orientale.

Vampiro di Londra

È un luogo di sepoltura vasto che “ospita” più di 150.000 defunti per un totale di 53.000 sepolcri.

Inoltre è censito dall’English Heritage – organismo pubblico che gestisce il patrimonio culturale dell’Inghilterra – come sito di primo grado nel registro dei Parchi e Giardini d’interesse Storico Inglese, ed è considerato una vera e propria riserva naturale.

Molti i “nomi noti” tumulati al suo interno: dal cantante George Michael , al filosofo Karl Marx, a Claudia Jones combattente comunista per i diritti sociali.

Vampiro di Londra. Highgate per seppellire l’Upper Class Vittoriana

Il cimitero viene aperto il 20 Maggio 1839 e costruito nel rispetto del progetto “Magnificent Seven” al quale apparteneva e che prevedeva la realizzazione di sette zone da dedicare alle sepolture, fuori dal centro cittadino. 

Purtroppo Londra, dopo le diverse epidemie di colera che la colpirono, non era più in grado di tumulare i propri defunti all’interno dei cimiteri che sorgevano vicino alle Chiese nella capitale inglese.

Quello di Highgate – complice anche la rigogliosa e suggestiva natura che padroneggiava tra i viali del luogo- diviene sin da subito dedicato alle sepolture dei personaggi dell’Upper Class Vittoriana, perché signorile e dispendioso.

Durante la seconda guerra mondiale il cimitero subisce pesanti bombardamenti e molti loculi vengono distrutti. Il degrado e l’abbandono iniziano a impadronirsi della necropoli.

Con il passare degli anni, il cimitero di Highgate cade in rovina.

Vampiro di Londra. Strane presenze e misteriose apparizioni

Negli anni ’60 si trasforma in rifugio per tossicodipendenti, reietti e delinquenti. Della sua aurea elegante e sobria, restano solo gli echi di un lontano passato.

È in questo stesso periodo, quando l’incuria e l’abbandono governano il cimitero, che iniziano a circolare voci sempre più insistenti di strane presenze e misteriose apparizioni.

Una su tutte, quella di un uomo: signorile, etereo, alto quasi due metri, con un elegante cilindro per cappello, completamente avvolto da un pesante mantello, che compare tra i viali più antichi del cimitero mentre passeggia tra pietre tombali vetuste e cappelle rovinate per poi sparire come nebbia al sole, senza lasciare traccia alcuna di sé e della sua presenza.

Donando comunque intense e vibranti sensazioni di disagio in chi lo incontra. Insieme al ritrovamento di piccole carcasse di animali dissanguati, si va a concretizzare un’unica ipotesi…

È nata la leggenda del Vampiro di Londra.

Vampiro di Londra. Arrivano i “cacciatori di vampiri”

Alla fine degli anni ’70, queste testimonianze attirano molti appassionati di occultismo che iniziano a frequentare il cimitero. Spiccano tra gli altri, due ragazzi David Farrant Sean Manchester che si precipitano a visitare il sito.

Sono curiosi di scoprire cosa , ma sopratutto chi, si celi dietro a questi episodi. Due nomi conosciuti nel mondo del paranormale, sopratutto Sean che ne diverrà un nome di spicco avendo anche presieduto la British Occult Society e fondato la Società di Ricerca del Vampiro.

David, invece, fonda la British Psychic & Occult Society, dedicandosi sempre alla religione Wicca e al culto della natura.

Farrant e Manchester entrano al cimitero di Highgate definendosi dei veri e propri cacciatori di Vampiri, pronti a scoprire la verità.

Il 21 Dicembre 1969, l’intrepido David Farrant decide di trascorrere la notte all’interno del camposanto, riuscendo addirittura ad incontrare… Il Vampiro!

Sfortunatamente dopo aver incrociato lo sguardo tetro e magnetico del Principe delle Tenebre, la paura prevale e David fugge a gambe levate!

Nei giorni successivi, viene pubblicato un suo articolo sul giornale locale Hampstead & Highgate Express, dove racconta la sua spaventosa avventura, ma chiede anche ad eventuali altri testimoni di palesarsi e rivelare gli incontri col Re dei non Morti.

L’articolo riscuote molto successo e le rivelazioni che arrivano in redazione, esaltano il Vampiro di Londra e la sua leggenda.

Vampiro di Londra. Caccia al vampiro

Sopraggiungono clamore e curiosità sia sul Nosferatu che dimora nella necropoli che su Farrant e Manchester che ne hanno palesato la presenza. Infatti nel Marzo del 1970 i due, organizzano una vera e propria “Caccia al vampiro” all’interno del cimitero. 

Viene scelta una data significativa anche per i meno superstizioni: Venerdì 13.

Quella notte David e Sean sono sicuri di riuscire a distruggere l’entità malefica, ritrovandosi circondati da telecamere, microfoni e molti curiosi.

Ma al calare dell’oscurità il Vampiro di Londra non si palesa, eludendo qualsiasi incontro tra i viali spettrali del cimitero. Pertanto non viene saziato il desiderio delle telecamere e dei partecipanti alla caccia, venendo anche umiliato l’ego dei Cacciatori.

Il fallimento clamoroso dell’evento, suscita non poco malumore soprattutto tra Sean e David che sospettando di essere presto additati come buffoni disonesti, cominciano ad accusarsi reciprocamente di essere degli imbroglioni.

Per molto tempo continuano entrambi le ricerche del Vampiro al cimitero, proseguendo a screditarsi vicendevolmente. Arriveranno addirittura a sfidarsi in un duello tra maghi che – per fortuna – non avverrà mai.

Vampiro di Londra. Amici del Cimitero

Ma tutto questo interesse per il Vampiro ha avuto un risvolto positivo per il Cimitero stesso, infatti nel 1975 viene fondata l’associazione “Amici del Cimitero. Organizzazione che ancora oggi si occupa della manutenzione e della conservazione del luogo.

Lo scorrere del tempo ha migliorato le condizioni del sito e ha attenuato la curiosità sul Vampiro, cristallizzando questa leggenda tra la foschia che si alza leggera tra le lapide e le tombe, incorniciando quei viali silenziosi che resteranno per sempre pronti ad accogliere i visitatori umani e…non!

Fonti:
  • Londra.italiani.it: “La Leggenda del Vampiro del cimitero di Highgate”
  • Vanilla Magazine: “Il Cimitero di Highgate e la maledizione del Vampiro della Necropoli di Londra”
  • Il Giornale dei Vampiri: “Il Cimitero di Highgate: Vampiri a Londra”
AMELIA SETTELE, Bolivia

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