Operazione Babylift. Scatole da scarpe e bambini Vietnamiti

Operazione Babylift. Scatole da scarpe e bambini Vietnamiti

(Operazione Babylift) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e StorieFatti e società e La Forza di indignarsi Ancora

Ascolta “La Forza di Indignarsi Ancora. Puntata 7 – L’operazione Babylift” su Spreaker.

Tra il 3 e il 26 Aprile 1975 venne attuata l’operazione di evacuazione denominata “Babylift” (ascensore per bambini).

SOMMARIO

La guerra del Vietnam fu un conflitto cruento molto lungo che durò circa vent’anni: dal 1 Novembre 1955 (data di costituzione del Fronte  di Liberazione  Nazionale Filo-Comunista) al 30 Aprile 1975 (caduta di Saigon)  che vide l’esercito Americano supportare il governo del Vietnam del Sud e combattere  le milizie del Vietnam del Nord.

Uno scontro che ha delineato la storia di entrambi i paesi coinvolti e per il quale sotto alcuni aspetti il mondo ancora oggi, ascolta    gli echi e vive le sue conseguenze.

In Vietnam il conflitto viene anche ricordato come: “Guerra di Resistenza contro gli Stati Uniti”.

Operazione Babylift. Una costola di “Operation New Life”

La storia che sto per raccontarvi, si svolge pochi giorni prima del ritiro delle truppe statunitensi dal conflitto.

Esattamente tra il 3 e il 26 Aprile 1975 venne attuata l’operazione di evacuazione denominata “Babylift” – “ascensore per bambini”.

È subito importante sottolineare che l’operazione “Babylift” è una costola “preziosa” dell’altro  esodo vietnamita, promosso e organizzato dagli Americani , passato alla storia come Operation New Life”.   

Il quale    permise – attraverso un ponte aereo americano – l’espatrio di circa 110.000 civili verso l’Occidente.

Operazione Babylift. Solo neonati e bambini

Per la precisione, l’operazione “Babylift“ ebbe come protagonisti esclusivamente neonati e bambini (per lo più orfani) provenienti dal Vietnam del Sud.

Operazione Babylift

Ne furono imbarcati circa 3.300, ma il numero esatto non è mai stato reso pubblico o ufficializzato.

I contingenti americani permisero  un vero e proprio espatrio di massa volto ad allontanare i bambini dal proprio paese.

Al fine di essere messi al sicuro e adottati da famiglie in grado di accoglierli.

Va altresì sottolineato che il governo degli Stati uniti approvò e organizzò l’evacuazione sotto richiesta delle associazioni umanitarie che operavano sul territorio in quel periodo.

Associazioni come: International Orphans ” (oggi Childhelp), “la Fondazione Pearl S. Buck” e molte altre.

Le organizzazioni umanitarie vista la situazione del paese, credettero più giusto allontanare quanti più orfani e neonati possibili dagli scenari che si andavano a delineare all’orizzonte.

Convinte come erano di non essere più in grado di supportarli e crescerli come fino ad allora avevano fatto.

Ad accogliere tale richiesta fu il Presidente Gerald Ford.

Il quale dichiarò di aver progettato l’evacuazione organizzando 30 voli di grandi aerei da trasporto (come il C-5 A Galaxy).

Aerei che garantivano a un folto numero di piccoli passeggeri di arrivare verso luoghi sicuri come: l’America, il Canada, l’Australia e la Francia.

Per poter ricominciare una nuova vita con le famiglie d’adozione sparse per il mondo.

Operazione Babylift. Distacco doloroso

La maggior parte tra neonati e bambini arrivarono all’aeroporto internazionale mentre Saigon era sotto bombardamenti.

Tra gli ultimi devastanti atti di una guerra che sembrava non avere più fine, i giovani protagonisti di questa pagina storica vennero fatti salire a bordo, tra il rumore agghiacciante delle bombe e i sospiri di chi rimaneva a terra.

Oltre agli orfani, ad infoltire il numero di piccoli passeggeri inconsapevolmente pronti per essere imbarcati, ci furono anche molti bambini.

Questi ultimi lasciati tra le braccia dei militari dalle stesse famiglie d’origine.

La maggior parte di esse avevano appoggiato e supportato gli Americani e pertanto decisero di vivere questo sacrificio perché convinti di garantire un futuro migliore ai propri figli.

Migliore rispetto a quello che li avrebbe attesi se fossero rimasti con loro.

Infatti le ripercussioni per tanti sud-vietnamiti furono di una brutalità enorme.

Tra i passeggeri del ponte umanitario molti erano ancora in fasce, tanto da essere imbarcati e custoditi  dentro scatole di scarpe improvvisate come culle.

Un giaciglio inconsueto che però garantiva loro un riparo per affrontare il lungo viaggio aereo.

Operazione Babylift. Un disastro terribile

Purtroppo non tutto filò liscio e il primo aereo a decollare con a bordo i bambini rifugiati, ebbe un incidente.

Poco dopo le 16 del 4 aprile 1975, il Lockheed C-5 Galaxy decollò dall’aeroporto Saigon-Than Son Nhat per schiantarsi appena dodici minuti più tardi.

Si contarono 153 vittime, di cui 78 bambini.

La disgrazia colpì l’opinione pubblica in modo incisivo e saltò agli occhi anche l’urgenza di portare via a ritmo più serrato sia i bambini che gli altri rifugiati.

A seguito della tragedia e con lo scarseggiare dei veicoli militari utili per portare avanti l’emigrazione, tutta l’operazione ebbe un rallentamento.

Solo l’aiuto provvidenziale dell’uomo d’affari Robert Macauley che noleggiò – a proprie spese – un Boing 747 della compagnia Pan Am, permise di far partire più di 300 bambini.

Per far fronte a tutte le spese del viaggio, Macauley ipotecò la sua casa.

Operazione Babylift. Polemiche

Sin da subito l’operazione Babylift accese e fomentò molti dibattiti.

Anche se nata come “operazione umanitaria”, non tutti l’accolsero come unica soluzione possibile e giusta nei confronti di questi minori.

Sicuramente fu un corridoio umanitario senza precedenti fino a quel momento storico, che merita pertanto di essere ricordato.

Com’è anche vero che molti sud-vietnamiti che avevano appoggiato le truppe americane, pagarono un contraccolpo altissimo dopo l’abbandono statunitense.

Delineando un panorama che avrebbe reso difficile la sopravvivenza anche ai piccoli rifugiati, espatriati grazie all’operazione Babylift.

Operazione Babylift. Distacco doloroso

Oggi, molti di quei neonati che furono adagiati dentro scatole di scarpe, come alcuni di quei bambini ammassati nelle fusoliere dei grandi aerei americani sono cresciuti.

Alcuni di loro hanno fondato l’Operation Reunite – un’organizzazione senza scopo di lucro – che anche grazie alla rete ha permesso a molti di loro di ritrovare le proprie famiglie d’origine.   

Affidando ai test del Dna la possibilità concreta di ritrovare i parenti biologici.

Allontanati dal conflitto, cresciuti al sicuro, non hanno comunque mai abbandonato le loro radici e ancora adesso cercano la propria identità familiare e culturale.

Vista l’attuale situazione mondiale è difficile non rievocare L’operazione babylift come un vero e proprio dejà vu con il suo clamore e il suo dolore.

Capace di riflettere un’altra pagina storica da poco scritta che risalta agli occhi l’ennesimo ritiro delle truppe americane da una terra dilaniata da un conflitto ventennale, che porta il nome di Afghanistan.

La storia si ripete, ma l’uomo non impara.


Fonti:

  • Istorica: “L’Operazione Babylift, la grande evacuazione americana”
  • Vanilla Magazine: “Da Saigon in una Scatola da Scarpe: la rocambolesca Operazione Babylift alla fine della Guerra del Vietnam”
  • Wikipedia: “Operazione Babylift” e “Guerra in Vietnam”
AMELIA SETTELE

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Il Conte Jacque di Saint Germain, il vampiro di New Orleans

(Il vampiro di New Orleans) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e StorieFatti e società, Pagine Svelate.

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 6 – Il Conte di Saint-Germain. Il vampiro di New Orleans” su Spreaker.

Dopo aver raccontato la misteriosa vita di Madame Marie Laveau la Regina del Voodoo, sono tornata a New Orleans per narrarvi di un altro personaggio.

Enigmatico e affascinante tanto quanto la Sacerdotessa, protagonista di una delle leggende più famose che si sono tramandate in città: Il Conte di Saint Germain, il Vampiro di New Orleans.

SOMMARIO

La città principale dello Stato della Louisiana viene definita da sempre: magica, attrattiva, ricca di suggestione e storia.

Fondata nel 1718 così chiamata in onore di Filippo II di Orléans, principe di Francia, riesce ad abbracciare eleganza, bellezza e mistero nello stesso identico modo.

È una delle prime metropoli a basare la sua forza ed unicità nel mix di razze e culture che l’hanno fondata e che tutt’oggi la vivono.

Rendendola anche la Culla della musica Jazz e di uno dei Carnevali più famosi del mondo, il pittoresco “Mardi Gras“- martedì grasso.

New Orleans è conosciuta e amata per le enigmatiche leggende che serpeggiano tra i vicoli e i quartieri.

Scrigno prezioso di storie oscure, ricche di folklore dove l’immortalità è di casa e non ha paura a manifestarsi.

Ma torniamo al nostro eccentrico, attraente e scaltro Conte di St. Germain…

Vampiro di New Orleans. Il conte di St. Germain

La sua storia in realtà ha inizio in Europa nella metà del ‘700.

Alla corte del Re di Francia Luigi XV, spicca il nome del Conte, colto, di un’età indefinita, di bella presenza ed egocentrico.

È membro della cerchia più ristretta degli amici del Re è sempre al centro di discussioni e confronti durante le grandi feste a Palazzo.

Studioso dell’alchimia e poliglotta riesce ad attrarre personaggi del calibro di Voltaire e Casanova, che si vantano persino di essere suoi amici.

Voltaire ha anche detto: “È un uomo che sa tutto e che non muore mai”.

Ammalia tutti, ma si contorna di un’aurea vetusta e ha una particolarità: è sempre assetato, ma mai affamato.

Nessuno lo vedrà mai mangiare, anche se siede a pochi posti dal Re, si dirà sempre sazio e non toccherà mai cibo dinnanzi ai suoi amici e commensali.

I documenti ci riportano la data della sua nascita 1710 e quella della sua presunta morte 1784.

Perché scrivo “presunta”?

Semplice! Perché è improvvisa quanto mai singolare la sua dipartita: nessuno vedrà mai il corpo del Conte… di lui si perdono le tracce.

È come se si fosse semplicemente volatilizzato.

Vampiro di New Orleans. Jacque St. Germain

Fino a quando agli inizi del 900, proprio a New Orleans, non arriva dalla Francia un giovane carismatico e accattivante che si chiama Jacque St. Germain.

Il quale decide di prendere casa in uno dei quartieri simbolo di New Orleans, il quartiere Francese.

Jacque porta con sé un bagaglio molto ampio, fatto di libri e quadri.

Dipinti di un’epoca lontana (di almeno 200 anni) e che ritraggono il suo più famoso (e somigliante) antenato, un importante Conte del XVIII secolo, nato in Ungheria nel 1712.

vampiro-di-New-Orleans

In città diventa subito un personaggio conosciuto e apprezzato.

È così cordiale e voglioso di avere sempre gente intorno che la sua cerchia di amici e conoscenti si allarga velocemente.

Diventa popolare per le sue feste e cene.

Dove grazie alla conoscenza storica – talmente tanto minuziosa da sembrare di averla vissuta in prima persona- alla sua dedizione allo studio alchemico e alla conoscenza linguistiche, incanta i suoi invitati.

I quali oltre alla sua compagnia gustano la famosa cucina creola e i suoi sapori, dove però nessuno lo vede mai mangiare.

Dichiarerà sempre di “essere assetato e mai affamato“, accompagnando i suoi commensali assaporando solo del buon vino da un calice dorato, mentre racconta le sue storie e avventure….

Coincidenza o mistero?

Proprio come il suo antenato Monsieur Jacque non sarà mai visto consumare cibo.

Vampiro di New Orleans. Una fine misteriosa

Il suo carisma e la sua popolarità subiranno un forte colpo quando una notte una ragazza deciderà di buttarsi giù dal balcone della sua dimora, al 1039 di Royal Street.

Soccorsa dai passanti la giovane è sotto shock e terrorizzata.

Un rivolo di sangue le cola dal collo, mentre parla ai poliziotti racconta di essersi lanciata perché Jacque l’aveva morsa per tentare di berne il sangue.

Già da tempo alcuni abitanti avevano iniziato a notare troppe stranezze in quell’avventuriero, arrivato con un passato oscuro e denso di segreti.

Ipotizzando che in realtà Jacque St. Germain, altri non fosse che il Conte di Saint Germain, sposando così la leggenda del Vampiro.

I poliziotti cercarono di interrogare Jacque St. Germain ma dalla notte dell’incidente di lui si perdono completamente le tracce.

Fuggito subito dopo l’accaduto – talmente tanto velocemente da lasciare in casa molti dei suoi cimeli – le forze dell’ordine riescono solo ad analizzare alcune bottiglie di vino aperte e lasciate a metà.

Dagli esami effettuati la scoperta che fanno ha dell’incredibile perchè oltre al vino, vi è veramente molto sangue al loro interno.

Vampiro di New Orleans. Il mito resiste al tempo

Di Jacque, come del Conte di Saint Germain, la storia ci lascia senza un vero finale, impreziosendola con una scia di domande senza risposte e sorrisi enigmatici.

Di questi personaggi misteriosi si nutrono le leggende e le pagine di libri spessi e antichi che raccontano di uomini in grado di cavalcare il tempo e le sue generazioni.

Lasciando un ricordo vago ma mai incancellabile del loro passaggio e delle loro verità…

Tutt’oggi a New Orleans non è insolito che alcune persone dichiarino di aver incontrato un uomo affascinante, di un’età indefinita, che si presenta come Jacque.

E questo li inviti a cena, sussurrando poi che “è sempre assetato, ma mai affamato” pertanto farà loro solo compagnia, sorseggiando del buon vino da un calice dorato…

E la leggenda del Vampiro di New Orleans continua…


Fonti:

  • Vampirestears.it: “Jacque Saint Germain, l’immortale di New Orleans”
  • Mistero:” Un Vampiro a New Orleans: Il misterioso caso di Jacque e del Conte di Saint Germain”
  • Second Star to the Right:” Le leggende più spaventose di New Orleans”

Foto di Julie Zimmi da Pixabay

AMELIA SETTELE

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Marie Laveau, la Regina del Voodoo di New Orleans

(Marie Laveau) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e StorieFatti e società, Pagine Svelate.

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 5 – Marie Laveau, la Regina del Woodoo di New Orleans” su Spreaker.

New Orleans è considerata uno dei luoghi più affascinanti del mondo, epicentro di magia e mistero. La sua storia come la sua cultura e il suo folklore sono unici e a impreziosirli ci sono personaggi di notevole rilevanza documentata, come la protagonista di cui sto per raccontarvi: Madame Marie Laveau, la Regina del Voodoo.

SOMMARIO

Nel corso del tempo la Voodoo Queen è diventata l’emblema di avvenimenti pervasi di sortilegi e arcani segreti che continuano a stregare e sedurre.

Ambasciatrice di una religione che da sempre ammalia e intimorisce.

Una donna tanto atipica per i suoi tempi quanto – sotto molti aspetti – pioniera dei nostri, che della Religione Voodoo resta ancora oggi una delle sue più grandi divulgatrici.

Marie Laveau. La Religione Voodoo

Il Voodoo (o Voudu, Vudù) è una delle religioni più antiche al mondo.

La parola Voodoo deriva da “Vodu”, termine africano che significa “Spirito” o “Divinità”.

Siamo abituati ad associare a questo culto immagini tetre e ambigue, ma il Voodoo è a tutti gli effetti una Religione con i propri liturgie, divinità e riti.

Nasce in Africa e viene diffusa in America con l’arrivo degli schiavi, prendendo piede soprattutto nel Sud.

Ha caratteri esoterici e sincretici.

Per culti sincretici s’intendono tutte quelle confessioni tradizionali che con l’arrivo del colonialismo, entrano in contatto con il cristianesimo, unendo e mescolando elementi tradizionali con i riti cristiani.

Il Voodoo è un culto che si basa sulla venerazione della natura e dei propri antenati.

Vi è una profonda convinzione che il mondo dei vivi coesista con quello dei morti, in un connubio perfetto per il quale fanno da tramite i “Loa” – Spiriti guida che agevolano la convivenza.

Le cerimonie Voodoo sono riti intrisi di gesti e ricordi primitivi, mentre l’idea del peccato è molto semplice.

Chi pratica questo credo dovrebbe sempre compiere buone azioni, qualora non se ne compissero si verrà puniti.

Il Voodoo nato e praticato in Africa “sfuma” e si differenzia da quello che viene professato in America.

È meno contaminato dalla cultura colonialista per cui è stato boicottato e tacciato come un credo volto solo alla stregoneria e alla magia nera.

Ma non è così, infatti il Voodoo ha divinità solari e pacifiche da adorare, che prendono il nome di Loa Rada.

Mentre il Voodoo maggiormente conosciuto è quello nato dalla sofferenza che accomuna e si manifesta nella corrente americana, influenzata dal dolore degli schiavi neri deportati negli Stati Uniti.

La disperazione causata dalle deportazioni e dalla schiavitù generò il culto oscuro, le cui divinità prendono il nome di Loa Petro e sono vendicativi, dispotici e furiosi.

Marie Laveau. I tre elementi principali del Voodoo

Il Sacrificio: è la base di ogni rito e pratica.

Ogni sacrificio è volto a dare energia utile al Loa prescelto, per arrivare a manifestarsi sulla terra.

Nella maggior parte dei casi, il sacrificio si compie con carne animale, ma sono bene accetti anche elementi come tabacco e caffè.

I Veve: sono i simboli attraverso i quali si contattano i Loa.

La Possessione: avviene da parte del Loa verso il Sacerdote (o Sacerdotessa) che l’ha invocato.

A seconda delle esigenze e richieste si deve invocare il Loa specifico.

Quelli più comunemente conosciuti sono:

Papa Legba: Custode dei due mondi.

È una divinità che viene dal culto Rada (quindi solare) e spesso viene raffigurato come un vecchietto con cilindro per cappello e un bastone.

È colui che “apre la porta” e permette ai vivi di parlare con le divinità.

È patrono della stregoneria.

Baron Samedi: Signore della Morte. Re dell’aldilà e della vita oltre la vita.

A lui, prima o poi tutti si prostreranno.

È il Signore della magia nera e il mito degli zombie è legato al suo nome.

È in assoluto il Loa più temuto e rispettato.

Maman Brigitte: La Regina del Cimitero. Moglie di Baron Samedi, è l’unica Loa di carnagione chiara.

È un Loa potente e la tradizione narra che ami cantare e ballare nei cimiteri, dove protegge solo determinati sepolcri contraddistinti da croci particolari.

Met Kalfou: la traduzione del suo nome in Creolo è Signore dei Crocicchi.

Questo Loa è la parte oscura di Papa Legba. Entrambi sono l’uno complementare all’altro.

È lui il vero padrone della magia e governa tutti gli spiriti della notte e le anime perse.

Se Papa Legba è luce, lui è tenebra.

Se Met Kalfou è guerra, Papa Legba è pace.

Se Papa Legba è un anziano arzillo, Met Kalfou è un giovane sfacciato e affascinante.

Erzulie: Signora dell’amore, del fascino e della sensualità.

Protegge i sogni e le speranze di ognuno, ha tre mariti ma conserva la sua verginità in quanto il suo amore trascende la fisicità.

La lista dei Loa è in continua evoluzione e cambiamento.

A parte le principali Divinità – alcune appena citate- anche le anime degli uomini e delle donne meritevoli, possono essere elevati a divenire Loa.

Madame Marie Laveau, Regina del Voodoo è una di loro.

Marie Laveau. La storia

Madame Laveau è stata una maga, religiosa e praticante del Voodoo della Louisiana.

Nata a New Orleans probabilmente il 10 Settembre 1784 – anche se alcune fonti, dichiarano che fosse il 1801 – da una fugace relazione tra il ricco proprietario terriero Charles Laveau e Margherite H. D’Arcantel, una schiava liberata.

Le informazioni più concrete sulla vita di Madame Marie non sono molte e non tutte troppo attendibili, ma di sicuro si sa che la giovane è la prima persona della sua famiglia a nascere libera.

Vive con i suoi parenti nel Vieux Carrè – il quartiere francese – una delle zone più antiche della città.

Ha un carattere forte, risoluto e volitivo.

Sguardo incisivo, occhi d’ebano, pelle ambrata e lunghi capelli neri e ricci a incorniciarle il volto.

Capelli che crescendo amerà raccogliere in eccentrici e colorati ritagli di stoffa, trasformando queste acconciature in un vero e proprio segno di riconoscimento.

Grazie al supporto del padre riesce a imparare a leggere e scrivere.

Viene Battezzata con Rito Cristiano, ma sin da bambina la madre la indottrina alla pratica dei riti Voodoo, che Marie professerà per tutta la vita.

Marie Laveau

Si sposa giovanissima, appena diciottenne, convola a nozze con un uomo creolo haitiano di nome Jacques Paris.

Dal 1824 dell’uomo si perdono le tracce, pur non essendoci nessun certificato di morte a confermare la sua fine, Jacques sembra essere letteralmente svanito nel nulla.

Marie inizia a farsi chiamare Vedova Paris.

Della loro relazione resta solo il certificato di matrimonio, conservato nella Cattedrale di San Luigi.

Marie e Jacques hanno avuto due figlie, anch’esse scomparse inspiegabilmente.

Dopo la misteriosa fine del suo primo matrimonio, inizia una lunga relazione con Louis Cristophe Dumesnil de Gliapon uomo statunitense di origini francesi che commercia terre e schiavi.

I due staranno insieme per tutta la vita, ma non potranno mai sposarsi a causa delle dure leggi contro la mescolanza razziale.

Leggi introdotte nel XVII secolo nell’America Settentrionale e rimaste in vigore in molti Stati sino al 1967.

Imponevano attraverso una serie di atti legislativi la segregazione razziale e l’impossibilità di unirsi in matrimonio, come ad avere rapporti sessuali, tra persone appartenenti a razze diverse.

Si narra che Marie e Louis Cristophe insieme hanno quindici figli.

Solo due di loro, Marie Eloise Eucharistie e Marie Philomène raggiungeranno l’età adulta e avranno un ruolo nell’eredità religiosa post mortem della Regina del Voodoo.

Anche la scomparsa di Louis Cristophe, come quella del primo compagno di Marie, è avviluppata nel più totale mistero.

Madame Laveau è una donna che non si dedica solo alla famiglia e alle pratiche del Voodoo, ma è anche un’imprenditrice.

Avvia un’attività di parrucchiera a New Orleans che, sin da subito, riscuote particolare consenso.

Tra le sue clienti non mancano le donne benestanti e più influenti della città che, si sussurra, non richiedano solo acconciature o trattamenti di bellezza, ma anche servizi extra come: pozioni e incantesimi.

Marie accetta le richieste sia dalle persone meno abbienti che dagli esponenti più in voga di New Orleans.

Leggenda vuole che nel retrobottega della sua attività offrisse tali servigi, concretizzando la sua figura di Sacerdotessa Voodoo.

Il deposito adibito a tali pratiche è anche il luogo dove custodisce le sue formule e i suoi ingredienti utili per creare gli amuleti e le pozioni, come: erbe, pietre, capelli e ossa.

Svolge i suoi riti Voodoo non solo nel retrobottega, ma anche in altri tre ambienti distinti e specifici:

  • La sua casa a St. Anne Street, dove officia cerimonie e riceve i clienti.
  • Sulle rive del Lago Pontchartrain – a Bayou St. John– dove si svolgono le cerimonie d’iniziazione ai nuovi adepti del Voodoo. Eventi importanti e affollati nei quali Madame Marie viene sempre affiancata da un Re Voodoo.
  • Congo Square, una piazza pubblica divenuta nel tempo ritrovo domenicale per schiavi ed ex schiavi, dove Marie Laveau incontra la sua gente per pregare.

In ogni occasione, Madame Marie manifesta il suo carisma e le sue capacità tanto che le voci inerenti alla sua magia definiscono i suoi sortilegi talmente potenti, da riuscire ad arrivare a colpire non solo il malcapitato, ma anche le sue future generazioni!

Ad accompagnarla nei suoi riti c’è sempre l’amato serpente Zombie (in onore di una divinità Voodoo Africana).

La storia sussurra che a darle le giuste competenze e ad accrescere le sue capacità nella magia nera sia stato un ex schiavo, personaggio inquietante ed enigmatico passato alla storia con l’appellativo di Dottor John o “Re Voodoo” di New Orleans.

Marie Laveau. La Regina di New Orleans

Marie Laveau è una donna capace di divenire punto di riferimento di un’intera comunità, formata in maggior numero da creoli ed ex schiavi.

In lei vedono forza e capacità di aiutare il prossimo bisognoso, non tirandosi mai indietro.

Indubbio il suo fascino e la sua empatia soprattutto nei confronti degli ultimi, di cui ne diventa la paladina.

È rispettata e temuta in egual misura da tutta la comunità cittadina e lei sfrutta questa sua posizione anche per aiutare i più disagiati.

Riuscendo a tessere una rete concreta di supporto e aiuto per schiavi, ex schiavi e condannati a morte.

Madame Laveau è una Sacerdotessa fiera e preparata, che nasconde un animo nobile e volenteroso.

In molti però la paventano e cercano di ucciderla.

Si vocifera che persino il suo secondo compagno tentò di assassinarla, ma Marie riuscì a sventare l’attentato, lanciando una terribile maledizione:

[…] Durante la notte decine di persone affermarono di aver visto in strada un “branco di ombre mostruose” penetrare negli alloggi dove erano ospitate le guardie e la mattina seguente i 15 uomini furono trovati massacrati e con il collo spezzato; […] l’unica giustificazione che riuscirono a fornire le autorità della Louisiana fu che un orso fosse entrato nella stanza chiusa a chiave, al secondo piano e li avesse uccisi. Gli abitanti di New Orleans non ebbero dubbi: era opera della magia nera di Madame Laveau.

Marie Laveau. La morte

Come molti aspetti e periodi della sua vita, anche la morte di Madame Marie è avvolta nell’oscurità.

Alcune fonti ci dicono che sia morta nel 1835, a soli 41 anni.

Tesi mai del tutto accertata per la mancanza di documenti che ne attestino la veridicità.

Mentre secondo altri il trapasso delle Regina del Voodoo è databile il 15 Giugno 1881.

Fatto comprovato da un certificato di morte che attestava il decesso di Madame Marie Glapion Laveau alla veneranda età di 86 anni.

Ma anche dall’obituario pubblicato il giorno seguente sul quotidiano The New Orleans Daily Picayune che recitava queste parole: donna di grande bellezza, intelletto e carisma, che era anche devota, caritatevole e un’abile guaritrice con le erbe”.

In molti dichiararono di aver incontrato Madame Laveau nei giorni successivi alla sua (presunta) morte, alimentando il suo mito e il suo mistero.

Certo è che ancora oggi la sua tomba – che si presume possa essere quella sita nel più antico cimitero cattolico di New Orleans – al Saint Louis Cemetery numero 1, attiri migliaia di visitatori da tutto il mondo.

Anime inquiete che rendono omaggio al suo mito, lasciando segni concreti del loro passaggio come le tre X sulle pareti della Cappella, sperando che la Regina del Voodoo ascolti ed esaudisca le loro richieste.

Purtroppo non possiamo negare che la storia spesso releghi ai confini donne di questa caratura.

Madame Laveau, forse, ne è l’esempio più concreto.

Nata donna in un’epoca in cui la società, le influenze religiose e di costume non permettevano alle ragazze di poter immaginare un futuro diverso da quello già scritto, ghettizzandole tra obblighi e doveri.

Lei è un grido di libertà e di forza che neppure la storia è riuscito ad azzittire.

Permettendo all’eco che mescola e richiama ai canti di un culto atavico e immortale come quello di cui la Laveau fu fiera Sacerdotessa, di continuare a vibrare insieme al suo nome.


Fonti:

  • Site.Unibo: “L’anima mistica di New Orleans: Marie Laveau la Regina del Voodoo”
  • Satanisti la nostra verità: “Voodoo, storia e origine”
  • National Geographic: “Marie Laveau, la Regina Vudù di New Orleans”
  • Vanilla Magazine: “Marie Laveau, la vera storia della Regina del Voodoo di New Orleans”
  • Britannica: “Marie Laveau, Regina Vodou Americana”
AMELIA SETTELE

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Griselda Blanco, la Regina dei Narcos

(Griselda Blanco) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e StorieFatti e società, Pagine Svelate.

Ascolta “Pagine Svelate. Puntata 1 – Griselda Blanco, la Regina dei Narcos” su Spreaker.

L’unico uomo di cui ho avuto paura era una donna, Griselda Blanco”.

A fare questa dichiarazione non fu un personaggio qualunque del mondo della droga, ma il suo leader più famoso Pablo Escobar.

SOMMARIO

Temuta persino da lui, Griselda Blanco rappresentò davvero il potere e la forza di donna, in un mondo maledetto fatto di uomini e sangue.

Dalla Colombia a Miami tra gli anni 70’-80’ creò un impero redditizio, sedendo sul trono più alto, spacciando cocaina e organizzando agguati sanguinari con lo stesso stile e la stessa rabbia.

In questi giorni la storia di Griselda – la Reina del Narcotraffico Sud Americano – è tornata prepotentemente alla ribalta grazie all’uscita sulla piattaforma Netflix della mini serie che narra la sua vita.

A interpretarla c’è una magnetica Sofia Vergara che le restituisce perfette movenze e il suo delirio di onnipotenza con una lucidità interpretativa pari a poche attrici del momento.

Ma prima di essere stata temuta da Pablo Escobar e di essere romanzata per una sceneggiatura americana, chi fu davvero Griselda Blanco?

Griselda Blanco. La vita

Griselda Blanco Restrepo nacque il 15 Febbraio del 1943 a Cartagena, in Colombia, in uno dei barrio più poveri della città e intorno agli undici anni, si trasferì con la famiglia a Medellin.

Ebbe una vita familiare davvero molto difficile, tanto che il padre presto li abbandonò mentre la madre era sempre più schiava dell’alcool.

La giovane Griselda crebbe in una realtà socio familiare davvero dura e durante l’adolescenza iniziò a prostituirsi.

Appena ventenne si sposò con Carlos Trujillo, da cui ebbe tre figli: Dixon, Osvaldo e Uber.

Carlos contrabbandava e falsificava documenti per chi voleva entrare negli Stati Uniti d’America e Griselda sembrava molto affascinata dai suoi traffici.

Purtroppo la loro storia ebbe un epilogo tragico in quanto la Reina lo uccise per una questione d’affari.

Subito dopo la morte di Trujillo, si trasferì negli USA con i figli e il secondo marito Alberto Bravo.

Un trafficante che aveva fatto soldi spacciando cocaina e con il quale si stabilì inizialmente a New York.

È proprio nella città che “non dorme mai” che Griselda entrò di petto nel mondo dello spaccio di stupefacenti.

Il suo business però si concentrò e concretizzò solo dopo essersi trasferita a Miami, in Florida.

Città dove senza pietà e con sadica costanza divenne la Regina dello spaccio.

Grazie anche al supporto e all’aiuto del suo amico d’infanzia Pablo Emilio Escobar che le permise di entrare nel Cartello di Medellin.

Griselda Blanco. Il Cartello di Medellin

Il Cartello di Medellin fu un’organizzazione di narcotrafficanti molto ben ramificata e organizzata con base in Colombia.

Capace di coprire lo smercio di droga dalle Americhe sino all’Europa tra gli anni ’70 e ’80.

Fu creata e gestita da Pablo Escobar insieme a Gonzalo Rodriguez Gacha – soprannominato El Mexicano – e i fratelli Ochoa.

Griselda Blanco

Griselda Blanco. L’impero del male

Per Griselda appartenere a quel temibile Cartello di Narcos rappresentava la certezza di un potere concreto e sicuro, a cui attingere per espandere il suo impero a Miami.

Sanguinaria, spietata e senza un briciolo di scrupolo alcuno, ebbe diversi sicari alle sue dipendenze mentre ramificava la sua autorità e consolidava il suo personaggio di criminale.

Si rese responsabile di centinaia di omicidi.

Mentre il sangue scorreva a fiumi su chiunque cercasse di fermare la sua ascesa criminale e la costruzione del suo impero.

Parallelamente la sua vita personale la vide impegnata in un nuovo matrimonio con Dario Sepulveda, da cui ebbe il quarto figlio: Michael Corleone.

Sì, avete letto bene, il nome fu scelto in onore del famoso Capomafia del film “The Godfather”.

Cult movie diretto da Francis Ford Coppola e interpretato da Marlon Brando – uscito nei cinema nel 1972.

Insomma Griselda sembrava avere tutto: una famiglia, l’amore, montagne di denaro.

Si dice che accumulò un patrimonio di circa due miliardi di dollari che – nell’America degli anni ’70-’80 – erano davvero una somma immensa e impressionante.

Griselda Blanco. Famiglia e affari

La Madrina del narcotraffico riuscì a gestire famiglia e affari con la stessa ferocia e lo stesso fascino di chi non teme nessuno, neppure la propria coscienza.

Fu diabolica, sanguinaria e cosciente di avere pochi uomini fidati al proprio fianco.

Infatti, oltre al marito Dario e ai figli più grandi, diede credito a un altro uomo del suo clan: Jorge “Rive” Ajala, al quale affidò la gestione del reparto armato.

Lei commissionava omicidi, lui li eseguiva.

Non si fermarono mai dinnanzi a nulla, neppure davanti ai bambini.

Vittime sacrificali che, agli occhi di Griselda, rappresentavano un messaggio importante da trasmettere ai propri detrattori.

Lei non si fermava davanti a niente e a nessuno.

Il potere aumenta, i nemici raddoppiano.

Nel corso del suo Regno Maledetto, la Madrina dei Narcos divenne un elemento cardine del sistema organizzativo del traffico e del contrabbando di cocaina tra la Colombia e gli Stati Uniti d’America.

Soprattutto sulle piazze di Miami e New York City.

Griselda Blanco. Parabola discendente

La sua parabola criminale iniziò la discesa dopo essersi trasferita in California – dove visse con l’ultimogenito – per problemi sempre più ingestibili con i suoi collaboratori.

Venne arrestata e riportata in Florida, a Miami, dove fu condannata alla reclusione.

In carcere passò ben venti anni.

Solo il 6 Giugno 2004 le autorità giudiziarie di Miami decisero di scarcerarla e rimpatriarla in Colombia, a Medellin.

Durante la detenzione però, i sicari iniziarono a mietere morte, uccidendo tre dei suoi amati figli.

Sopravvisse allo sterminio solo Michael Corleone Sepulveda Blanco .

Nato il 5 Agosto 1978, oggi vive a Miami insieme alla moglie e ai loro tre figli.

È stato protagonista di un reality show – “Cartel Crew”.

Show nel quale ha ammesso che dalla morte della madre, ha scelto di non avere più legami col mondo della malavita e del narcotraffico.

Oggi è un imprenditore che opera nel campo della moda e della musica oltre che della cannabis.

Ha scritto un libro dal titolo: “My Mother – The Godmother”.

Michael Corleone è il suo unico discendente rimasto, mentre il nome di Griselda continua a riecheggiare nei meandri più sordidi di questa storia di droga e potere, eccessi e decadenza.

Griselda Blanco. La morte

Il 3 Settembre 2012 Griselda venne uccisa in un agguato a Medellin.

I killer in motocicletta l’aspettavano fuori da una macelleria e le spararono due colpi, lasciandola a terra esanime.

Si chiuse così, con il sangue a terra – quella volta il suo – la vita imperfetta della Madrina dei Narcos.

Donna emblematica e inquietante, capace di ottenere il più ambito dei ruoli, in un mondo dove l’universo femminile non ha nessun titolo ufficiale.

Rappresenta ancora oggi un’eccezione alla regola.

La sua personalità la spinse dove nessun’altra era mai arrivata.

Un triste primato, certo, che neppure la serie televisiva riuscirà ad alleggerire, perché Griselda Blanco è stata una criminale, temuta anche dai peggiori.


Fonti:

  • Today: “Che fine ha fatto la vera Griselda Blanco che ha ispirato la serie Netflix “Griselda”?”
  • Quotidiano nazionale: “ La storia di Sofia Vergara, Griselda Blanco nella serie Netflix”
  • TAG24: “Chi è Griselda Blanco”
  • Libero: “Griselda Blanco, la Madrina del Narcotraffico che faceva paura a Escobar”
  • Wikipedia: “Griselda Blanco”
  • Today: “Che fine ha fatto Michael Corleone, l’unico figlio ancora vivo di Griselda Blanco”
AMELIA SETTELE

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Loving. Richard & Mildred, love story che cambiò l’America

(Loving) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e StorieFatti e società e La Forza di indignarsi Ancora

Ascolta “La Forza di Indignarsi Ancora. Puntata 5 – Richard & Mildred Loving, la love story che cambiò l’America” su Spreaker.

Ci sono storie d’amore destinate a diventare immortali, arrivando addirittura ad avere una potenza tale da riuscire a cambiare il corso degli eventi storico-sociali di un Paese.

La storia tra Richard e Mildred Loving ne è un esempio eccellente.

SOMMARIO

Stato della Virginia, 1967: “Dica in Tribunale che amo mia moglie”

A scrivere al proprio Avvocato questa richiesta fu Richard Perry Loving che insieme alla sua sposa Mildred, visse la storia d’amore capace di abbattere pregiudizi, smuovere l’opinione pubblica Americana.

Oltre a far modificare le leggi che impedivano – in più di 17 stati dell’Unione – di sposarsi tra razze diverse.

Rappresentavano in modo emblematico quello che veniva definito un “amore contro natura” in quanto Richard era “bianco” e Mildred “nera”.

Loving. La nascita del loro legame

Richard Perry Loving nacque il 29 Ottobre 1933 a Central Point in Virginia, Americano di origini Irlandesi lavorava come operaio edile.

Mildred Delores Jeter vide la luce il 22 Luglio del 1939 in Virginia.

Il primo incontro risale a quando Richard aveva 18 anni e Mildred poco più di 11.

Lui era amico del fratello e frequentava spesso la loro casa.

Nacque un amore unico, appassionato, forte e Mildred, ad appena 18 anni, rimase incinta.

Nel 1958 la coppia decise quindi di sposarsi e si recò a Washington per celebrare il rito civile.

Era impossibilitata a farlo nello Stato della Virginia in quanto non erano ammessi matrimoni tra i “bianchi” e i “non bianchi”.

Era in vigore il Racial Integrity ActLegge sull’integrità razziale.

Approvato nel 1924 dall’Assemblea Generale (organo legislativo del Commonwealth della Virginia, istituito il 30 luglio 1619 ).

Legge nella quale si vietavano i matrimoni interrazziali e si classificava come “bianca” una persona nel cui sangue non vi era traccia di altre etnie se non quella Caucasica.

Mentre per “non bianco o colorato” tutte le altre etnie compresi i Nativi Americani.

Quest’atto di fatto proibiva la mescolanza tra razze e rafforzava le gerarchie razziali.

Era parte integrante di una serie di leggi per l’integrità razziale che consolidavano la supremazia “bianca” sulle altre etnie.

Loving. Il matrimonio

Sposarsi in un altro Stato non evitò ai coniugi Loving di avere fin da subito dei problemi al loro rientro in Virginia.

Infatti divennero oggetto di numerose manifestazioni razziste.

Richard venne allontanato e deriso da familiari e amici.

Nel quartiere dove decise di andare a vivere con la moglie per cercare un po’ di tranquillità, risultò essere l’unico “bianco”.

E la strada che li attendeva sembrava davvero tutta in salita.

Dopo una soffiata anonima vennero anche arrestati dallo Sceriffo della Contea e incarcerati.

Prelevati dalla loro abitazione durante la notte, la polizia irruppe in casa certa di trovarli a fare sesso (anche quello vietato dalla legge).

La loro relazione risultava essere un crimine così grave che vennero prelevati ancora in vestaglia e portati subito via.

Pur presentando il certificato di matrimonio redatto a Washington, vennero comunque accusati di “convivenza illegale” e incarcerati.

Ai coniugi Loving si prospettavano due opzioni: potevano scontare la pena di un anno di detenzione, oppure lasciare lo Stato per ben 25 anni.

Erano autorizzati a rientrare in Virginia solo e soltanto separatamente l’uno dall’altra.

Loving

Mildred e Richard decisero di andarsene e di trasferirsi a Washington.

Seguirono anni in cui furono costretti a visitare i familiari in momenti diversi e sempre separati.

Nacquero altri due figli, insieme all’aumentare delle pressioni sociali, razziali ed economiche ma Mildred e Richard restarono sempre insieme.

Il loro amore non vide mai barriere, si amavano profondamente, lottando ogni giorno per vivere questo sentimento e la loro famiglia alla luce del sole.

Nel 1964 durante una visita a casa, la situazione precipitò in modo inesorabile perché vennero arrestati di nuovo con l’accusa di aver viaggiato insieme.

I Loving decisero che era il momento di prendere un Avvocato, anche se le loro condizioni economiche non erano affatto floride, non demorsero e si affidarono all’ American Civil Liberties Union.

L’American Civil Liberties Union denominata anche con la sigla ACLU – fondata nel 1920 – era un’organizzazione non governativa che lottava per i diritti civili e le libertà individuali in America.

Aveva sede a New York e annoverava tra i suoi fondatori il nome dell’avvocatessa Crystal Catherine Eastman – leader nella lotta per il suffragio delle donne in America.

La ACLU riuscì a congelare la condanna e a fornire alla coppia i due avvocati volontari: Bernard S Cohen e Philip J Hirschkop.

Entrambi li difesero nella famosa causa “Loving Vs Virginia“.

Loving. La causa “Loving Vs Virginia”

La lotta in tribunale ebbe un risalto mediatico imponente e si concluse solo il 12 Giugno del 1967.

Quando la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America dichiarò che la negazione dei matrimoni misti era incostituzionale.

E contraria al XIV Emendamento della Costituzione.

Il quale prevede pari diritti volti a proteggere gli ex schiavi dopo la Guerra di Secessione – noto insieme ad altri come “emendamento della Ricostruzione“.

Una vittoria giuridica e sociale senza precedenti che portò in alto il nome della famiglia Loving.

I coniugi divennero il simbolo della lotta alla libertà e all’uguaglianza.

Questa causa, ma soprattutto la sentenza che venne deliberata, permise alla società Americana di fare un enorme passo avanti.

Purtroppo non tutti gli Stati dell’Unione decisero di adattarsi alla sentenza della Corte Suprema.

Uno su tutti fu l‘Alabama che invece inasprì le leggi sui matrimoni misti e fu l’ultimo – nel 2000 – a conformarsi alla sentenza.

Dopo aver lottato per il loro amore e il diritto sacrosanto alla libertà, Richard e Mildred non hanno avuto un lieto fine.

Purtroppo nel 1975 furono investiti da un ubriaco e Richard morì sul colpo, mentre Mildred perse un occhio.

Dopo essersi ripresa dall’incidente, decise di dedicare il resto della sua vita ai figli e alla lotta per i diritti civili.

Divenendo un nome importante tra gli Attivisti Americani.

Il 12 Giugno 2007 per il 40esimo anniversario dalla sentenza che cambiò le sorti di molti altri cittadini e cittadine Americani e non solo, Mildred dichiarò quanto segue:

“Circondata come sono da meravigliosi figli e nipoti, non passa giorno in cui non penso a Richard e al nostro amore, al nostro diritto di sposarci, e quanto significasse per me avere la libertà di sposare la persona a me più cara anche se altri pensavano che fosse il “tipo sbagliato di persona” a sposarmi. Credo che tutti gli americani, indipendentemente da razza, genere, orientamento sessuale, dovrebbero avere la stessa libertà matrimoniale. Non è compito del governo imporre le credenze religiose di alcuni ad altri. Soprattutto se così facendo nega loro i diritti civili.” Mildred Loving

Poco meno di un anno dopo, il 2 Maggio 2008, Mildred Delores Jeter Loving morì a causa di una polmonite.

Marito e moglie riposano uno accanto all’altra nel cimitero della Chiesa Battista di Santo Stefano a Central Point in Virginia.

Mi rendo conto di aver utilizzato parole che in questi contesti non si usano (fortunatamente) più.

Come “bianco”, “nero” o “colorato”, ma se siamo arrivati a questo punto è anche grazie alla storia che vi ho appena ricordato.

Infatti Richard e Mildred ancora oggi rappresentano il simbolo di un sentimento talmente potente da riuscire a stabilire nuovi equilibri.

Equilibri capaci di far mescolare vocaboli come: Libertà, Diritti e Uguaglianza alla parola Amore in modo sublime ed eterno.


Fonti:

  • Dilei.it: “Mildred e Richard Loving: la storia d’Amore che ha riscritto la storia”
  • MarieClaire: “La storia di Mildred e Richard Loving, i primi Romeo e Giulietta interrazziali”
  • Lo sbuffo: “Loving: il matrimonio che ha cambiato la storia
AMELIA SETTELE

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Irma Grese, “la Bestia Bionda” di Auschwitz

(Irma Grese) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie, Fatti e società e La Forza di indignarsi Ancora

Ascolta “La Forza di Indignarsi Ancora. Puntata 2 – Irma Grese, “la Bestia Bionda” di Auschwitz” su Spreaker.

L’Olocausto perpetrato dal Terzo Reich tra il 1933 (ascesa al potere di Hitler) e il 1945 (27 Gennaio 1945, liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte delle truppe dell’Armata Rossa), portò alla morte di oltre 17 milioni di persone: donne, uomini, bambini.

17 milioni di persone: ebrei, Rom, omosessuali, malati mentali, dissidenti politici, testimoni di Geova, infermi.

Si è giustamente spinti a pensare alla vittime, ai nomi, alle sembianze.

Il più delle volte sono nomi che evocano futuri mai vissuti, vite spezzate, corpi mai ritrovati.

Famiglie distrutte, legami annientati, tra la polvere da sparo e il delirio dei folli.

Quello che perpetrò il regime nazista nel mondo è ancora oggi un macigno che incombe sulle pagine della storia dell’uomo.

Irma Grese. La bestia bionda

Non possiamo dimenticare. Non dobbiamo.

Ed è giusto anche ricordare chi non è stato vittima, ma carnefice.

Perché il male ha un volto, occhi, espressioni e carattere.

Irma Grese

A rappresentarlo in questo spicchio di racconto è una ragazza tedesca, passata alla storia con più appellativi.

Uno più infausto dell’altro: “la bestia bionda”, “la iena”, “la bella bestia”.

Lei si chiamava Irma Grese ed è stata una delle carceriere più efferate e crudeli di Auschwitz.

Irma Grese. Un passato difficile

Irma nasce a Wrechen in Germania, il 7 Ottobre 1923.

Sin da bambina sogna di divenire infermiera, ha un carattere timido e riservato.

Nel 1936 tutto cambia nella sua vita, quando la madre si suicida.

Un lutto dilaniante che la colpisce nell’età dell’adolescenza e dal quale si susseguono importanti cambiamenti.

Da giovane mite e tranquilla, diventa spietata e senza scrupoli.

Hanno inizio problemi comportamentali anche con i suoi coetanei, tanto da spingerla a ritirarsi da scuola a soli 15 anni.

Pur vivendo con il padre – fervente oppositore di Hitler – Irma è completamente soggiogata dall’ideologia nazista.

Nel Fuhrer e nelle sue promesse, crede di poter realizzare la propria vita.

Irma Grese. L’adesione al nazismo

S’iscrive alla Lega delle ragazze tedesche (Bund Deutscher Mädel), un’organizzazione di giovani Naziste.

Tenta di concretizzare il suo sogno d’indossare la divisa d’infermiera senza riuscirci, mai.

Ma le scelte che intraprese la portano sì a vestire una livrea, ma la più pericolosa e maledetta: quella delle SS.

A 19 anni inizia a lavorare come guardia nel campo di concentramento femminile di Ravensbruck.

Grazie alle sue “doti”, fa presto carriera e solo un anno dopo viene trasferita ad Auschwitz.

Irma Grese

Luogo dove il suo nome e le sue crudeltà diventano un connubio mortale per i prigionieri, e motivo di vanto tra i gerarchi nazisti.

Quando il padre viene a sapere del trasferimento della figlia e delle sue mansioni nel campo di concentramento, la caccia di casa.

Lei lo denuncia e l’uomo viene recluso.

Irma indossando quell’uniforme, dona il peggio di sé perpetrando torture e indicibili nefandezze su donne e bambini.

Irma Grese. Sadica, crudele, efferata

Sul suo volto, sino alla fine, non traspare dubbio o colpa.

Irma svolge il suo “lavoro” con dedizione, passione e malefica capacità.

Riesce a conquistare l’ambito grado (tra le donne SS) di: Supervisore Capo.

I sopravvissuti raccontano che “La Bestia Bionda” era la più temibile, capace d’infliggere torture sino a quando non vedeva la vittima prescelta esalare l’ultimo respiro.

Amava scegliere le prigioniere da spedire nelle camere a gas soprattutto per la loro bellezza.

Picchiava, violentava le donne costringendo alcune di esse ad assistere allo scempio, allo stupro delle proprie malcapitate compagne.

Arrivò a sciogliere i cani – lasciati senza razioni per giorni – per farli cibare delle carni dei prigionieri.

Irma Grese. Il mostro in mezzo ai mostri

I suoi stessi colleghi la definivano crudele.

Osò essere il mostro, in mezzo ai mostri.

Testimonianze affermano che fu sempre lei a far montare dei paralumi creati con la pelle dei deportati.

Nefandezze, espressioni di una disumanità pari a pochi che le permisero di scalare i vertici del potere nazista all’interno dei campi di concentramento di Ravensbruck, Auschwitz e Bergen-Belsen.

Venne arrestata dall’esercito Britannico il 17 Aprile del 1945, insieme ad altre SS.

Durante tutto il processo di Belsen, non ebbe mai un attimo di pentimento.

Irma Grese

Fiera, concreta e insolente non rinnegò mai i suoi ideali né le sue decisioni.

Venne condannata alla pena massima: impiccagione come criminale di guerra

Aveva 22 anni al momento dell’esecuzione, le sue ultime parole furono: “Schnell” (rapidamente).

Quella rapidità che non offriva mai alle proprie vittime, per le quali godeva nel seviziarle.


Fonti:

  • Gulliber: La bella Bestia di Auschwitz
  • Berlino Magazine: Irma Grese, la Bella Bestia di Belsen
  • Bet Magazine Mosaico: Nazismo al femminile: Irma Grese e le altre
AMELIA SETTELE, Bolivia

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Cecil Hotel ha ispirato “The American Horror Story”

(Cecil Hotel) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 3 – Cecil Hotel” su Spreaker.

Cecil Hotel, l’inquietante albergo che ha ispirato la serie TV “The American Horror Story”

SOMMARIO

640 S Main St, Los Angeles, CA 90014, Stati Uniti: risponde a questo indirizzo il tristemente famoso Cecil Hotel.

Uno dei luoghi più ambigui ed inquietanti che siano noti.

Teatro di omicidi irrisolti, suicidi, brutali incidenti e l’infelice primato di aver ospitato almeno due feroci serial Killer tra le sue stanze.

Cecil Hotel. Costruito negli anni ’20

Una fama che conferma la maledizione del suo nome, tanto d’aver ispirato la famosa serie tv americana “The American Horror Story” .

Da qualche anno è stato classificato come edificio d’interesse storico culturale.

Ma per gli abitanti della città degli Angeli e per il resto del mondo, rimane uno degli alberghi più misteriosi e agghiaccianti della storia.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire

il telefono del vento

Costruito nel 1920 soprattutto per appagare le necessità degli imprenditori che erano di passaggio a L.A., l’hotel vanta ben 19 piani e 600 stanze.

Sin dalla sua progettazione il Cecil Hotel doveva essere un esempio dell’industria edile americana, per il quale venne spesa una cifra stratosferica: un milione di dollari.

Ma ben presto s’innescano più fattori che gli fanno perdere prestigio e lustro:

  • la grave e profonda crisi economica iniziata nel 1929
  • l’ubicazione nelle vicinanze di Skid Row, quartiere di pessima fama.

Skid Row ufficialmente conosciuto come Central City East – sin dalla Grande Depressione a oggi – è un sobborgo abitato prevalentemente da senzatetto, emarginati, tossicodipendenti e prostitute.

Ben presto infatti, il Cecil Hotel si convertì da albergo ad affittare camere.

I prezzi modici e la possibilità di soggiornarci a lungo termine, attirarono di fatto una vasta e variegata gamma di clienti.

Cecil Hotel. La maledizione

La maledizione del Cecil Hotel lo rende tristemente famoso negli anni ’50 – ’60 e ’70 come luogo prediletto per i suicidi.

Tanto da venire soprannominato “The Suicide”.

Cecil Hotel

Una lista di nomi (e di vite) che si allunga col passare degli anni:

  • nel 1931 viene registrato il suicidio di W.K. Norton, che decide di togliersi la vita ingerendo delle capsule piene di veleno.
  • nel 1934, il sergente L.D. Borden, si recide la gola con un rasoio.
  • nel Marzo del 1937, Grace E. Magro, cade dal nono piano dello stabile. Non si chiariranno mai le dimaniche dell’incidente per poter stabilire se fosse stato omicidio, o suicidio.
  • nel giugno del 1964, la pensionata soprannominata “Pidgeon Goldie”, viene trovata nella sua stanza: selvaggiamente picchiata, stuprata e accoltellata. Nessun colpevole pagherà per questo efferato crimine.
  • nel 1975, una donna sotto falso nome prenota la stanza 327. Ci rimane chiusa per quattro giorni, salvo poi decidere di suicidarsi buttandosi dal dodicesimo piano. La sua vera identità non verrà mai scoperta.

Non li ho volutamente citati tutti, ma non posso dimenticare uno dei cold case americani più famosi, che ha definitivamente etichettato il Cecil Hotel come “infestato e nefasto”.

Cecil Hotel. La tragedia

La tragedia avvenuta il 31 Gennaio del 2013 ha come protagonista una studentessa canadese di origine asiatiche di nome Elisa Lam.

Della giovane sono stati registrati gli ultimi angoscianti istanti di vita.

Elisa viene ripresa dalla telecamera di sicurezza posta nell’ascensore su cui sale.

Nel filmato è ben visibile la sua inquietudine che si manifesta in atteggiamenti davvero poco chiari o consoni al momento.

È agitata – come se qualcuno la seguisse – muove le mani in modo concitato e quasi innaturale.

Cecil Hotel

Nel video di circa quattro minuti, si evince chiaramente il profondo disagio in cui Elisa versa negli ultimi istanti di vita.

La ragazza lascia l’ascensore che subito dopo riprende la sua corsa, sparendo dall’occhio della telecamera.

Morirà di lì a poco.

Circa due settimane dopo, gli ospiti dell’albergo si lamentano alla reception perché l’acqua che fuoriesce dai rubinetti ha un odore nauseabondo e un colore stranissimo.

Vengono inviati i manutentori a controllare le cisterne sopra il terrazzo dell’hotel.

In una delle cisterne ispezionate, l’agghiacciante scoperta: viene rinvenuto il corpo nudo e in avanzato stato di decomposizione di Elisa Lam.

Cecil Hotel

Mille dubbi e supposizioni si fanno strada tra gli inquirenti.

Soprattutto perché risulta difficile capire come la ragazza sia arrivata ad aprire (e a richiudere) la cisterna e come abbia fatto ad eludere il sistema d’allarme per arrivare sin lassù.

Quello che dichiara l’autopsia è chiaro.

Elisa era sobria e non aveva assunto droghe al momento della morte.

Pur essendo affetta da un disturbo bipolare, il video pubblicato dalla polizia, come il suo tragico decesso lanciano molti dubbi e poche concrete verità.

Inoltre, la polizia ha presto chiuso le indagini, archiviando il caso come: “annegamento accidentale”.

Cecil Hotel. Oggi Stay on Main

Ancora oggi il Cecil Hotel – che è stato rinominato Stay on Main – è un albergo a tre stelle , aperto a tutti.

Conserva immutato nel tempo – tra i chiari scuri delle sue stanze e i lunghi corridoi – verità mai accertate e vite spezzate.


Fonti:

  • La Repubblica: L’albergo degli orrori diventa un monumento. Storia dell’Hotel Cecil e dei suoi misteri
  • Le foto che hanno segnato un’epoca: L’agghiacciante storia del Cecil Hotel, denominato l’Hotel dei suicidi
  • Metropolitan Magazine: Il caso di Elisa Lam: la 15ª morte “sospetta” al Cecil Hotel
AMELIA SETTELE

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Huldufólk, il piccolo popolo islandese nascosto

(Huldufólk) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 2 – La leggenda islandese degli Huldufólk” su Spreaker.

L’Islanda è un’isola magnetica e suggestiva tanto da riuscire a preservare una storia unica e particolare che narra degli Huldufólk.

SOMMARIO

Ovvero il popolo nascosto e invisibile agli occhi degli umani che abita da sempre le sue gelide e primitive terre.

Ancora oggi l’80% della popolazione islandese crede fermamente nella loro esistenza e il restante 20% non la esclude.

Huldufólk. Chi sono

Sono folletti che possono manifestarsi agli uomini qualora lo volessero o perché disturbati.

Vivono tra le rocce, nei campi di lava, o nelle piccole case che gli Islandesi costruiscono per loro.

E che i turisti possono trovare sia in mezzo a lande sperdute – incastrate in paesaggi mozzafiato – oppure negli agglomerati urbani come la capitale Reykjavik.

Huldufólk

Gli Huldufólk hanno una storia antichissima che attinge da varie fonti, dalla tradizione pagana a quella cristiana che vede protagonisti Adamo ed Eva.

Si narra infatti che quando Dio andò a trovarli, Eva gli nascose i suoi figli sporchi e non lavati, omettendo addirittura la loro esistenza.

Pertanto Dio sentenziò: “Ciò che l’uomo nasconde a Dio, Dio nasconderà all’uomo”.

Secondo altre fonti gli Huldufólk sono i figli di Lillith.

Una figura della mitologia ebraica che viene descritta come un potente demone della notte che rapisce i bambini nell’oscurità.

Oppure Angeli caduti costretti a vivere tra il paradiso e l’inferno.

Certo è, che sono molto considerati dagli Islandesi i quali cercano da sempre una convivenza pacifica tra il loro mondo e quello degli esseri invisibili.

Huldufólk. Come vivono

I piccoli elfi vivono in totale simbiosi con la natura e ne sono i suoi guardiani più attenti.

Gli Islandesi stessi prima di costruire un edificio o una strada, studiano attentamente il sito.

Perché se si manifestasse il dissenso da parte degli Huldufólk, quest’ultimi renderebbero palese il loro disaccordo.

Producendo, ad esempio incidenti o malfunzionamenti dei macchinari impegnati sul cantiere in apertura.

Se dovessero verificarsi simili accadimenti imputabili ai folletti, tutto si fermerebbe per rispetto della loro volontà.

Il caso più famoso fu quello del 2014 quando venne interrotta la costruzione di una strada di collegamento perché si ritenne che la terra sottoposta ai lavori fosse abitata dagli Huldufólk.

Nel 2004 invece, una multinazionale Americana che aveva la concessione per l’edificazione di una nuova fabbrica, dovette aspettare il beneplacito del funzionario locale.

Il quale aveva l’impegno di controllare che il sito in questione non fosse abitato dal popolo invisibile.

Qualora se ne fosse accertata la presenza, il sito sarebbe stato isolato e i lavori bloccati, perché sia chiaro: gli Huldufólk odiano essere disturbati!

Molti islandesi dicono di sognarli spesso e gli elfi appaiono con i vestiti tipici islandesi del XIX secolo sempre e solo di colore verde.

Huldufólk. Amano le feste

Di questo misterioso popolo si narra anche che amino stare in compagnia e fare baldoria, convolare a nozze e non trovarsi mai ad un incrocio.

Prediligono alcune feste comandate degli umani, come il Capodanno.

Infatti molti islandesi, durante i festeggiamenti dell’ultimo dell’anno, lasciano appositamente del cibo e delle candele fuori le loro abitazioni, per aiutare gli elfi a trovare sostentamento e nuovi luoghi dove abitare.

Leggende e folklore così lontani da noi e dalla nostra cultura, rendono ancora più magica questa storia.

La quale ha i contorni sfumati come se fosse sfiorata dalla polvere delle fate e il tintinnare perenne dei cappelli verdi degli elfi.

Curioso pensare che sia quasi sacrilego lanciare una pietra in Islanda perché si teme di poter ferire un elfo invisibile.

Come è suggestivo perdersi tra le pagine di questi racconti, immaginando di essere proprio lì dove tutto ha avuto inizio e dove nessuno teme di sognare ancora mondi paralleli e amici invisibili.

Certo è che queste narrazioni, soprattutto durante il periodo Natalizio, rendono ancora più magica l’atmosfera.

Fonti:

  • Wikipedia: Gli Huldufòlk
  • Federico Lucchesi.com: Gli Huldufòlk, il Popolo nascosto
  • Bellascandinavia.com: Huldufòlk, il Popolo nascosto

Foto di Wolfgang Eckert da Pixabay

AMELIA SETTELE

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Caligo legend: the fog that comes from the sea

(Caligo) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

La nebbia arriva dal mare, sfiorando le onde e accarezzando la sabbia.

SOMMARIO

La sua leggenda accompagna i racconti dei marinai che lusingati dalle onde del mare, hanno tramandato il fascino suggestivo di questa storia.

Una storia che narra di anime perdute e inconsolabili che aspettano proprio questa nebbia per trovare la pace.

Caligo. La nebbia del mare

Scientificamente il fenomeno è definito come “la nebbia del mare”, anche conosciuto come “nebbia da avvezione”. 

Fenomeno che si forma quando l’aria umida passa per avvezione, movimento orizzontale dei flussi d’aria sopra il terreno freddo e viene così raffreddata.

Questo fenomeno è frequente sul mare quando l’aria tropicale incontra ad alte latitudini acqua più fredda.

È comune quando c’è molta differenza tra le temperature diurne e notturne, si dissolve non appena il sole, al mattino, comincia a scaldare l’aria.

Caligo. Dove si manifesta in Italia

Nel nostro Paese, le zone dove è facile che il fenomeno si manifesti (soprattutto a cavallo tra l’inverno e la primavera) sono le coste Apuane e quelle Liguri.

Se si osserva l’evento atmosferico sembra quasi che le acque lo sospingano verso l’entroterra, permettendogli di arrivare ad “abbracciare” la costa.

Caligo

Creando uno scenario gotico e surreale, complice anche la leggenda ad esso legata.

La nebbia del mare affascina e inquieta allo stesso tempo.

Fitti banchi di vapore acqueo sfiorano la superficie marina, mentre il profluvio continua il suo incessante ondeggiare e la sua costante magnificenza.

Caligo. Gli spiriti del mare

La fola popolare, che accompagna i sussurri della gente del mare ci permette di conoscere la “Leggenda del Caligo”.

Leggenda che narra che gli “Spiriti del mare” risalgano dagli abissi – avviluppati dalla nebbia – per trovare e liberare le anime afflitte, intrappolate tra la vita e l’aldilà.

Gli “Spiriti del mare” “raccoglierebbero” le anime perdute accompagnandole tra le onde.

Lasciando poi che il mare le culli e le quieti, permettendo loro di affrontare l’ultimo viaggio verso la pace e l’eternità.

Solo quando tutte le anime angosciate sono state ritrovate, la nebbia del mare scompare dalla costa lasciando di nuovo spazio al sole e al paesaggio marino che siamo da sempre abituati ad ammirare.

Suggestiva la leggenda, affascinante la nebbia che viene dal mare

Caligo. Insolite coincidenze

Ultimamente la Nebbia del Mare è stata avvistata in Liguria nei giorni della commemorazione delle vittime del Covid-19 e pochi giorni dopo il crollo del cimitero di Camogli.

Senza ombra di dubbio sono insolite coincidenze che rendono questi eventi straordinari segnali a cui la natura (o il fato, chissà?!) ha deciso di assistere generando il fenomeno. A testimonianza che ogni leggenda ha sempre una piccola fonte di verità… Difficile da credere, ma impossibile da spiegare.

Fonti:

  • Genova Today: La leggenda del Caligo
  • Il mio mondo libero: Caligo, la nebbia del mare. Curiosità e leggenda
  • Wikipedia: la nebbia da avvezione
AMELIA SETTELE

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Dyatlov, A Mystery Pass That Has Never Been Solved

(Dyatlov) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

Russia, versante orientale dei Monti Cholatčachl’ – che in lingua Mansi (lingua obugrica parlata in Russia, nel distretto autonomo degli Hanti e dei Mansi) significa “Montagna dei Morti” – è nel freddo e nel silenzio di questo luogo che si dipanano gli inspiegabili eventi che vedono protagonisti nove escursionisti ritrovati privi di vita, nel 1959.

SOMMARIO

Solo più tardi il valico di montagna, palcoscenico della drammatica sciagura, verrà rinominato: Passo di Dyatlov”, in memoria del capo della spedizione Igor Dyatlov.

Quella che doveva essere un’escursione impegnativa e bellissima, si è tramutata in uno dei cold-case più inquietanti che la storia dell’alpinismo mondiale ricordi.

Dyatlov. Come inizia l’enigmatica storia

Il 23 Gennaio 1959 inizia il viaggio. 

Le notizie certe registrate prima dell’incidente, annotano che il 25 Gennaio la compagnia arriva in treno sino a Ivdel (città della Russia Siberiana Nordoccidentale).

Per poi spostarsi in camion fino a Vizhaj – l’ultimo distaccamento abitato.

Il 27 Gennaio il gruppo coordinato da Igor Dyatlov, prosegue l’escursione.

La comitiva è composta da esperti sciatori di cui otto sono uomini e due sono donne.

Dyatlov

Tutti provenienti dall’Istituto Politecnico degli Urali di Ekaterinburg (nove studenti e un professore di sport).

Affrontano un’escursione importante e ostica che li avrebbe dovuti condurre sino al Monte Otorten.

Il percorso scelto per quel periodo dell’anno è classificato di terza categoria ovvero, il più difficile.

Tra tutti i partecipanti solo uno si salva, in quanto un improvviso malore lo costringe a ritirarsi.

Il suo nome era Jurij Efimovič Judin, aveva 22 anni.

Si allontanerà dal gruppo il giorno dopo e sarà l’unico superstite.

Da quel momento la compagnia sarà formata da 9 membri.

Dyatlov. Un’esplorazione che sembrava tranquilla

Le macchine fotografiche, le cineprese e i diari ritrovati sul luogo del massacro sembrano dire qualcosa.

Testimoniano che il gruppo di escursionisti durante i primi cinque giorni di viaggio, aveva esplorato in totale tranquillità luoghi bellissimi e magnetici come: foreste e laghi ghiacciati.

Circondati da una natura vigorosa e polare. 

Il clima tra i viaggiatori era sereno e goliardico.

Nulla sembrava presagire quello che sarebbe accaduto.

Il 31 Gennaio arrivano sul bordo di un altopiano dove si preparano per iniziare la salita.

Organizzati al meglio, depositano anche scorte di cibo ed equipaggiamento validi da utilizzare durante il ritorno.

Il 1° Febbraio iniziano a percorrere il passo, ma una tempesta di neve intensa e minacciosa capace persino di disorientarli, li obbliga a deviare verso Ovest…

Verso la Montagna dei Morti.

Una tormenta che interromperà per sempre ogni tipo di comunicazione e notizia sul e dal gruppo.

Dyatlov. Le ricerche

Dyatlov aveva dichiarato che appena rientrati a Vizhaj avrebbe telegrafato alla loro associazione sportiva e alla famiglia.

Per rendere noto che la spedizione stava proseguendo senza problemi.

Mentre i giorni passavano, nessuno nell’immediato – vista la difficoltà dell’itinerario intrapreso e gli scarsi mezzi di comunicazione presenti a quel tempo- si allarmò.

Ma quando l’assenza di trasmissioni superò i giorni di ritardo accettabili e consueti, la preoccupazione portò anche i parenti dei ragazzi a sollecitare l’intervento dei soccorsi.

Interventi che vennero organizzati e fatti partire 25 giorni dopo. 

Inizialmente parteciparono alle ricerche solo volontari tra studenti e professori.

Più tardi vennero coinvolti l’esercito e la polizia che integrarono e supportarono le ricerche della comitiva anche con aeromobili.

Dyatlov. Il ritrovamento

È il 26 Febbraio quando viene ritrovata la tenda della comitiva, pesantemente compromessa e squarciata dall’interno.

Sin da subito si denota una anomalia in quanto l’accampamento – senza ragione logica alcuna – è collocato su un pendio ghiacciato e non nella foresta.

Come invece sarebbe stato più ideale e consono alle necessità del team.

Seguendo le numerose impronte che conducono verso il bosco – a pochi metri di distanza dal campo, sotto un albero di cedro – i soccorritori ritrovano i resti di un fuoco e i primi due cadaveri.

Sono quelli di Jurij Nikolaevič Dorošenko e Jurij Alekseevič Krivoniščenko.

Entrambi i corpi sono privi di vestiario (indossavano solo la biancheria intima) e sembrano essere deceduti per ipotermia.

Sui due poveri ragazzi non si evidenziano tracce di traumi o ferite visibili a occhio nudo.

Poco tempo dopo vengono rinvenuti anche i corpi di Igor Alekseevič Djatlov, Zinaida Alekseevna Kolmogorova e Rustem Vladimirovič Slobodin.

Vengono ritrovati tra il campo base e l’albero di cedro che ha custodito i corpi delle prime vittime. 

Dagli esami autoptici effettuati sui cadaveri, i medici dichiarano che la morte per ipotermia sembra essere la diagnosi più plausibile. 

Sposando questa tesi, i medici declassano l’importanza della frattura cranica rinvenuta su uno dei cadaveri ritrovati.

Gli inquirenti decidono anche che la carne ritrovata sulla corteccia del cedro, come alcuni suoi rami spezzati fino ad un’altezza di 4 metri, non abbiano necessità di trovare spiegazione e connessione valida, che possa far luce sull’incidente.

Dyatlov. Il disgelo restituisce altri corpi

Si dovranno attendere lo sciogliersi della neve e del ghiaccio – per un tempo utile di due mesi – affinché la montagna restituisca i corpi degli altri componenti del gruppo.

Ovvero quelli di Nikolaj Vasil’evič Thibeaux-Brignolles, Aleksandr Aleksandrovič Zolotarëv, Ljudmila Aleksandrovna Dubinina e Aleksandr Sergeevič Kolevatov.

I resti vengono ritrovati il 4 maggio in un burrone dentro il bosco, tutti completamenti vestiti.

Al contrario dei primi, quello che raccontano i cadaveri degli ultimi è impressionante e angosciante perché i corpi riportano importanti fratture craniche e costali.

Sul cadavere di una delle due ragazze era stata divelta la lingua e strappati via gli occhi…

Una scena da brividi che narra una storia angosciante, intrisa di violenza e mistero.

Una vicenda che capovolge e annulla le tesi finora espresse sia dagli investigatori impegnati nelle indagini che dai medici coinvolti nelle necroscopie.

Dyatlov. Ma chi o cosa ha ucciso i ragazzi?

La natura ha restituito i corpi di tutti i membri della spedizione.

Gli elementi raccolti provano che quanto accaduto sulla Montagna della Morte si tinge di un mistero difficile da chiarire.

Eppure le indagini aperte dalle autorità russe si chiuderanno in un tempo veramente breve, vista la complessità dell’evento e il mistero che aleggia.

L’inchiesta ufficiale attribuisce la causa della tragedia del Passo Dyatlov a “Una Forza Naturale Misteriosa e Sconosciuta”.

Gli indizi raccolti provano che i ragazzi hanno tagliato la tenda dall’interno per fuggire come se qualcuno (o qualcosa) di estremamente pericoloso, fosse lì con loro e dal quale dovevano allontanarsi il più in fretta possibile.

Inoltre il vestiario della comitiva presenta un alto tasso di radioattività e sulla scena dell’incidente sono stati rinvenuti pezzi di metallo, mai ufficialmente identificati. 

I medici, per cercare di spiegare cosa abbia massacrato il gruppo, paragonano le ferite riportate dai cadaveri a quelle dei coinvolti negli incidenti stradali.

Una forza d’impatto mostruosa, ma che non ha lasciato segni evidenti.

Niente ematomi, escoriazioni o ferite lacero contuse.

L’impeto dell’urto ha procurato traumi interni irreversibili.

Dyatlov

Solo il volto di una delle due ragazze è stato brutalizzato con la rimozione degli occhi e l’estirpazione della lingua – l’autopsia non riuscirà mai a stabilire se la violenta rimozione fu effettuata pre o post-mortem.

Si pensa anche che i cadaveri ritrovati senza indumenti siano stati colpiti dal fenomeno dell’undressing paradossale.

Ovvero: l’irragionevole svestizione che vede protagonisti i soggetti in ipotermia i quali spogliandosi, avvertono una (illogica quanto illusoria) sensazione di riscaldamento. Percezione in realtà prodotta dall’alternarsi della vasocostrizione e della vasodilatazione che conducono il soggetto in ibernazione a percepire calore restando senza vestiti, mentre in realtà la temperatura corporea continua a precipitare.

Dopo il fenomeno dell’undressing paradossale, le vittime di ipotermia assumono la posizione a quattro zampe per strisciare sul terreno, per poi finire in posizione fetale e morire. 

Forse anche i primi corpi ritrovati sono stati colpiti da questo fenomeno?

Si è infatti arrivati a supporre che gli altri ragazzi della compagnia abbiano poi utilizzato i vestiti di cui si sono liberati i propri compagni per cercare calore e riparo.

Perché, dalla posizione del ritrovamento dei corpi, si è presupposto che una parte del gruppo stesse provando a rientrare all’accampamento, prima di rimanere ucciso.

Il mistero che avvolge questa storia si amplifica con elementi che sfiorano il surreale e trascinano l’incidente al Passo di Dyatlov verso racconti oscuri e teorie naturalistiche.

Dyatlov. Tesi, supposizioni e leggende

Con l’archiviazione (frettolosa) dell’inchiesta, si solleva sempre più curiosità e desiderio di conoscere una verità che non sembra assolutamente essere stata chiarita dalle indagini.

Indagini che assumono agli occhi del mondo i contorni sbiaditi di un “segreto di Stato”.

Gli anni passano, ma la tragedia del Passo di Dyatlov non viene dimenticata, anzi…

Si moltiplicano le teorie più disparate che vanno da una valanga, fino all’attacco alieno.

Vengono ipotizzati pericolosi esperimenti militari clandestini.

Testimonianze di altri esploratori coinvolti in escursioni in quella stessa zona e periodo, focalizzarono le teorie sull’avvistamento di “sfere arancioni” nei cieli dei Monti Urali.

Altri non erano se non missili balistici R-7 sparati come esercitazione speciale dall’esercito.

Non si può dimenticare la supposizione che vede protagonisti un gruppo d’indigeni Mansi.

Responsabili di aver aggredito il gruppo di ragazzi in modo efferato e brutale perché colpevoli di aver sconfinato nella loro terra.

Dyatlov

Si ipotizza addirittura che dietro alla morte dei giovani ci sia Almas, il mostruoso uomo delle nevi.

Insomma si moltiplicano le tesi, le storie sussurrate e si favoleggiano misteri e incredibili dinamiche.

Ma ai caduti e ai rispettivi familiari continua a mancare una concreta verità, plausibile e meritevole tanto da poter far riposare in pace le vittime e dare tregua ai loro cari. 

Intorno agli anni ’90 i fascicoli dell’inchiesta vennero desegretati facendo emergere nuovi indizi utili a perorare un’altra ipotesi che vede coinvolto l’utilizzo di una potentissima quanto ignota arma segreta russa. 

Nell’Ottobre del 2013 Donnie Eichar pubblica il suo romanzo “Dead Mountain: The Untold True Story of the Dyatlov Pass Incident” nel quale ripercorre il tragico incidente del Passo di Dyatlov.

Nel libro suggerisce la tesi della “tempesta perfetta”- un raro fenomeno naturale di una potenza talmente tanto devastante da essere in grado di creare numerosi micro-tornado e generare ultrasuoni impercettibili da orecchio umano.

Ultrasuoni in grado di alterare lo stato psico-motorio dei ragazzi, fino a compromettere la loro stabilità e lucidità inducendoli di fatto, a fuggire dalla tenda verso l’oscurità e la morte.

Dyatlov. Nel 2019 si riapre l’inchiesta

Gli studiosi chiamati a cercare di fare (finalmente) luce sulle vere cause della vicenda sono Johan Gaume, professore alla Scuola Politecnica Federale di Losanna e Alexander Puzrin del Politecnico di Zurigo. 

Attraverso i moderni strumenti a loro vantaggo e ricreano il possibile scenario di quella famosa notte del 1° Febbraio.

I due esperti dichiarano che solo una valanga di enormi proporzioni, può considerarsi la vera causa della tragedia sul Passo di Dyatlov.

Teoria che venne subito presa in considerazione anche dagli esperti, 63 anni fa. 

Quello che Gaume e Puzrin portano in evidenzia è che i giovani – pur essendo degli esperti alpinisti – vennero ingannati dalla conformazione del territorio dove decisero di accamparsi.

Picconando la tenda in quel luogo e tagliando la neve per poter fissare il proprio campo base, hanno dato inconsapevolmente inizio allo smottamento che si è trasformato dopo poco in una slavina che li travolse e uccise.

 “Se non avessero tagliato il pendio, questa tragedia non si sarebbe consumata” (Alexander Puzrin).

Quest’ultima ipotesi non è stata accolta con molto clamore o giubilo:

Le persone non vogliono credere che sia stata una valanga. È una spiegazione troppo normale” (Johan Gaume)

Dopo tutti questi anni intorno all’incidente del Passo Dyatlov continuano ad aleggiare mistero e supposizioni.

Come se niente e nessuno fosse capace di spiegare in modo concreto, cosa capitò veramente:

La verità è che nessuno sa cosa accadde davvero quella notte. Ma quanto abbiamo scoperto indica che l’ipotesi valanga è assolutamente plausibile” (A. Puzrin)

L’incidente del Passo di Dyatlov consolida e conferisce alla natura il ruolo di unica e imperitura testimone e (forse) carnefice delle infauste sorti di:

Igor Alekseevič Djatlov , capospedizione, 23 anni, Zinaida Alekseevna Kolmogorova, 22 anni

Ljudmila Aleksandrovna Dubinina, 23 anni , Aleksandr Sergeevič Kolevatov, 24 anni

Rustem Vladimirovič Slobodin, 23 anni , Jurij Alekseevič Krivoniščenko, 23 anni

Jurij Nikolaevič Dorošenko, 21 anni , Nikolaj Vladimirovič Thibeaux-Brignolles, 23 anni e

Aleksandr Aleksandrovič Zolotarëv, 35 anni.

Relegando le loro vite spezzate al freddo silenzio di una morte senza colpevoli.

Fonti:

  • Midnight Factory: “La vera storia che ha ispirato il Passo del Diavolo”
  • Wikipedia: “L’incidente sul Passo di Dyatlov”
  • Montagna.tv: ”La storia horror del Passo di Dyatlov. Un mistero mai risolto”
  • National Geographic: ”Il mistero del Passo di Dyatlov: la scienza può spiegare il tragico incidente?”
  • Animali e Animali: ”L’incidente del Passo Dyatlov, una storia vera. Uno Yeti killer”
  • Corriere.it: “Mistero del Passo Dyatlov…”
  • Focus: ”La tragedia del Passo Dyatlov: fu davvero (solo) una valanga”
AMELIA SETTELE

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