Roopkund, il lago degli scheletri

Roopkund, il lago degli scheletri

(Roopkund) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Per narrarvi i misteri di questa storia dovete accompagnarmi sull’Himalaya e più precisamente nello Stato Indiano di Uttarakhand. Qui si trova il Lago Roopkund, denominato anche il lago degli scheletri e dei misteri.

SOMMARIO

Situato nel ventre del massiccio di Trishul, è di origini glaciale e si trova a circa 5020 metri di altitudine.

Pur essendo stato classificato come lago, per la capienza e la profondità (che non supera i 3 metri) ha le caratteristiche più vicine a quelle di uno stagno. 

La zona è completamente disabitata e impervia, la natura domina il sito tra ghiaccio, rocce e … scheletri.

La particolarità del Lago è nell’essere custode di centinaia di ossa umane e arcani enigmi.

Quando il ghiaccio si scioglie, il Lago riporta alla luce centinaia di ossa.

È in questa capsula di ghiaccio, quasi perennemente abbracciata dalla neve, che riposano decine e decine di antichi resti umani.

Roopkund. La scoperta

Sebbene si abbiano notizie sullo Skeleton Lake – il lago degli scheletri – già dal IX secolo, l’ufficialità della scoperta viene datata nel 1942 quando il ranger Hari Kishan Madhwal scoprì i resti ossei che fluttuavano sul pelo dell’acqua.

Con il passar dei giorni e con il maggiore scioglimento del ghiaccio, il lago continuò a restituire altri resti umani, insieme a schegge di lance, manufatti in legno e anelli, brandelli di tessuto umano e capelli, vestiti e pantofole di cuoio.

Le autorità Britanniche – visto il periodo storico – inizialmente ipotizzarono che fossero cadaveri di soldati Giapponesi morti durante il tentativo di valicare i confini Indiani, per cercare di attuare una vera e propria invasione.

Terrorizzato da tale supposizione, il Governo Inglese avviò un’indagine inviando degli esperti sul luogo della scoperta.

Quest’ultimi decretarono che le ossa erano molto antiche e non potevano appartenere ai soldati nipponici.

Da quel momento il lago divenne il fulcro di misteriose storie, scarse prove concrete e la certezza della sua unicità.

Un cimitero tra i ghiacci che per circa 300 persone – senza un motivo apparentemente sensato – fu luogo di morte tra gelo e pietre.

Roopkund

Perché si erano recate in questo posto così proibitivo e pericoloso?

Come erano decedute?

Dal 1950 ai giorni nostri sono state diverse le spedizioni organizzate da team di studiosi sul lago Roopkund.

Esplorazioni volte ad analizzare i resti, per trovare risposte realistiche così da poter dissipare l’alone di mistero e folklore che aleggia su questo sito, così unico e particolare.

Roopkund. Le diverse supposizioni

All’inizio si ipotizzò che tutti i cadaveri rinvenuti fossero morti nello stesso momento e per la stessa causa. 

Poi si suppose che il lago Roopkund era stato per millenni una fossa comune, che aveva dato eterno riposo alle vittime di un’ipotetica epidemia, o di un suicidio collettivo.

Altri invece sostenevano che il Lago fosse un luogo sacro, utilizzato per sacrifici religiosi.

Le vittime di tali riti venivano condotte sin lassù per immolarsi durante le cerimonie.

Altre tesi spingono a credere che il Lago sia invece solo un luogo di passaggio per arrivare a compiere il pellegrinaggio al Nanda Devi – considerata una delle montagne più sacre dell’India.

Sin dalla notte dei tempi, a questa montagna sono legate storie demologiche e potenti energie, in grado di richiamare molti pellegrini per visitarla. 

L’atmosfera che aleggia sul Nanda Devi (in italiano: Dea dispensatrice di Beatitudine- Dea della Gioia) sembrerebbe donare concentrazione e vigore utili per la meditazione.

Il Governo Indiano non ha mai rilasciato facilmente autorizzazioni per scalarla e/o per compiere il pellegrinaggio alla montagna, a causa dei rapporti tesi con la Cina.

È necessario ricordare che questa barriera Himalayana è considerata un territorio molto delicato, perché confina a Nord con l’altopiano del Tibet e a Sud con la pianura del Gange.

Roopkund. Cosa scoprirono gli studiosi

Certo è che per i circa 300 resti umani ritrovati, poche erano le certezze e troppe le supposizioni. Utili e concreti sarebbero stati solo e soltanto gli studi e le ricerche sui reperti.

Purtroppo c’è da dire che oltre i ricercatori- in tutti questi anni – spesso si sono succeduti anche curiosi poco attenti che, per toccare i resti che l’acqua ha restituito alla storia, hanno alterato di fatto la zona dei ritrovamenti. 

Inoltre diversi scheletri sono stati utilizzati per creare delle inquietanti composizioni ossee (ancora visibili accanto alle sponde del lago) e altri, depredati. 

Queste alterazioni portate avanti da mani inesperte non solo hanno concretamente influenzato lo scenario originale del lago, ma anche influenzato negativamente il risultato su alcuni esami effettuati.

Roopkund

Analisi che sono emerse alterate proprio a causa di queste manipolazioni avvenute sulle spoglie.

Tanto da compromettere la conservazione naturale del sito stesso.

Dopo questa doverosa precisazione posso tornare a rivelarvi cosa gli studiosi sono riusciti a scoprire sugli scheletri.

Si è rinvenuto che in realtà nel lago riposavano due gruppi etnici distinti. Separati non solo per razza, ma anche per periodo storico, infatti:

  • sul primo gruppo di scheletri analizzati, gli studi hanno affermato che provenivano dall’Asia Meridionale (India, Bangladesh, Nepal) e incontrarono la morte nei pressi del Roopkund tra il VII e il X secolo. (Solo uno scheletro venne identificato come appartenente alla zona più Orientale dell’Asia – Giappone, Cina, Indonesia)
  • Mentre il secondo gruppo proveniente dal Mediterraneo (Grecia, Iran e Creta) sopraggiunse nei pressi del lago per incontrare il proprio triste destino, tra il XVI e il XIX secolo.

In entrambe le compagnie erano presenti sia donne che uomini.

Sono tutti morti nello stesso luogo, ma con uno “scarto temporale” di circa 1000 anni gli uni dagli altri.

Le analisi hanno rilevato anche l’assenza di agenti patogeni utili per confermare un’epidemia.

Quello che invece è sopraggiunto all’attenzione dei ricercatori sul “gruppo Asiatico” sono state delle lesioni riportate solo sul cranio e sulle spalle degli scheletri.

Compatibili con dei colpi “tondeggianti” sferrati dall’alto.

Una tesi che si è andata concretizzando nel tempo e ipotizza che la causa del decesso sia attribuibile a una violenta grandinata.

In pratica sulle teste di questi uomini, sarebbero letteralmente piovute dal cielo delle schegge di ghiaccio. 

Un profluvio di proporzioni impressionanti tanto fulmineo e veloce, da riuscire a ferirli fino a ucciderli.

Una tempesta di grandine che li avrebbe investiti e portati a una morte lenta e dolorosa.

Anche perché impossibilitati a trovare un rifugio utile per aver salva la vita.

Roopkund. La leggenda himalayana

A impreziosire questa teoria c’è un’antica leggenda tramandata tra le donne dell’Himalaya.

Leggenda che narra della furia di una Dea (Nanda Devi) che decise di castigare alcuni estranei che stavano profanando il suo Santuario.

Sussurrò l’anatema maledetto: “Farò piovere la morte su di loro”.

Scatenando così un temporale funesto con chicchi di pioggia duri come frammenti di ferro.

Casualità o strane coincidenze?

Quello che accomuna la leggenda con la tesi dichiarata dagli scienziati, non fa che rendere questo luogo ancora più enigmatico e oscuro.

Luogo dove il ghiaccio, il silenzio e il mistero custodiscono gli scheletri e le loro verità…


Fonti:

  • Storie Notturne Insieme: “Roopkund, il lago degli scheletri”
  • Fatti strani: “Il Lago Roopkund, l’inquietante specchio d’acqua colmo di scheletri…”
  • Focus: “I misteri di Roopkund”
  • Krishnadas: “Il Santuario del Nanda Devi”
  • Montagna.tv:” Roopkund. Il misterioso lago degli scheletri che non…”
AMELIA SETTELE

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

Uluru, la montagna sacra degli aborigeni australiani

(Uluru) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Australia terra selvaggia, impervia, atavica e primitiva è la custode del monolite più famoso al mondo: Uluru -noto anche come Ayers Rock. Il massiccio dall’intenso colore rosso che incute rispetto e ammalia chi lo osserva, imperiale e mastodontico domina il paesaggio del Parco Nazionale di Uluru-Kata Tjuta, nel Territorio del Nord dell’Australia (Oceania).

È il monolite più grande al mondo, alto 348 metri con una circonferenza di 9.4 km, è una vera e propria icona naturale australiana. Uluru sembra immensa, ma nella realtà è solo la parte di una formazione rocciosa monolitica emersa, la cui grandezza si estende in gran parte nel sottosuolo.

Uluru. Un monolite “strano” già nel nome

Ha sempre attirato migliaia di visitatori ed è da sempre (e per sempre) un luogo sacro agli aborigeni.

Il suo caratteristico colore può mutare e variare dal blu, al viola, dall’ocra, al bronzo in base alla stagione e all’ora in cui il sole colpisce le sue pareti.

Ad esempio al mattino, la montagna si tinge di un rosso intenso e fiammeggiante, quando il sole torna a sorgere e a colpire la sua terra magnetica.

Se la si osserva da lontano, la sua superficie sembra liscia e perfetta, ma più ci si avvicina e più risaltano agli occhi pozzi, caverne, sorgenti e antichi dipinti.

Molti elementi del sito sono segreti ai piranypa -i non-aborigeni- e custoditi stoicamente dagli indigeni.

Il nome Uluru deriva probabilmente dal nome aborigeno “ulerenye” che significa “strano”, nella lingua Arrernte.

Aleggiano sulla montagna sacra pagine di storia come di leggende. Si narra che chiunque si avvicini ad Uluru, ne osservi la bellezza e magnificenza, percependone il potere mistico, non sarà mai più lo stesso.

Uluru

Le leggende più note degli aborigeni ci narrano che da Uluru tutto ebbe inizio, che le donne siano legate indissolubilmente a questo luogo magico e ancestrale.

Al suo interno si troverebbero le così dette “grotte della fertilità” dove è facile notare alcuni elementi chiaramente riconducibili ai genitali umani.

Uluru. La neonata scomparsa

Nel 1980 Uluru fu teatro di una scomparsa improvvisa quanto drammatica, di una neonata di nome Azaria Chamberlain. 

La piccola di appena 2 mesi, svanì nel nulla proprio nelle vicinanze del monolite dove i genitori campeggiavano insieme a lei e ai suoi altri due fratelli, Aidan e Reagan.

La madre Lindy dichiarò subito che la figlia era stata rapita da un dingo (un mammifero canide, molto simile ad un lupo).

Lo sconcerto e la pressione che ne scaturì sull’opinione pubblica riguardo la sparizione della piccola, diede inizio al processo più celebre di tutta la storia australiana.

Dopo le indagini e il procedimento penale, la madre di Azaria venne dichiarata colpevole di infanticidio e condannata all’ergastolo, mentre il padre Michael venne condannato per favoreggiamento.

Solo nel 2012, la giustizia australiana ribaltò la sentenza dichiarando che Lindy aveva detto la verità: Azaria era stata rapita da un dingo e morta proprio a causa dell’attacco dell’animale.

uluru

Uluru. La restituzione agli aborigeni

Uluru per decenni fu sottratta agli aborigeni e sfruttata dai colonizzatori, che non rispettarono mai il sito come sacro agli indigeni.

Solo nel 1985 il governo australiano riconsegnò formalmente l’area naturale agli aborigeni.

Dal 26 ottobre 2019 le autorità aborigene degli Anangu decretarono il divieto di scalare il massiccio roccioso, delimitandone i sentieri percorribili e le zone da visitare. 

Per gli Anangu è importante che il sito venga visitato anche da chi non crede nel potere di questo monolite e nelle energie che esso celerebbe, perché Uluru sembrerebbe in grado d’influenzare chiunque lo veda.

Ma anche un fatto di sicurezza ha spinto gli aborigeni a questa decisione, visto che dal 1940 al giorno del divieto di scalare il massiccio, sono circa 40 le persone morte nel tentativo di arrivare alla sua sommità.

Il magnetismo, come l’enigma che sembra celarsi dietro il fascino che sprigiona il monolite, sono da sempre fonti di discussioni e confronti tra chi vorrebbe imporre la razionalità, al puro misticismo che scaturisce da questo luogo.

L’unico elemento che non si può di certo escludere è che Uluru sia un monumento naturale non comune ad altri e che celi una forza incisiva ed intensa che lascia il segno.

AMELIA SETTELE, Bolivia

Leggi tutti gli articoli di Amelia Settele QUI

Scopri il profilo di Amelia Settele QUI

This website uses cookies. By continuing to use this site, you accept our use of cookies.