Hei Zhy Gou, la foresta del non ritorno
(Hei Zhy Gou) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura
In Cina, nella regione del Sichuan, si trova uno dei luoghi più misteriosi e inquietanti del pianeta. È la foresta di Hei Zhy Gou, soprannominata anche: “Foresta del non ritorno”.
SOMMARIO
- Hei Zhy Gou. La foresta del non ritorno
- Hei Zhy Gou. La foresta non restituisce neppure i cadaveri
- Hei Zhy Gou. Abitata da un enorme drago a due teste
Gli abitanti delle zone limitrofe la chiamano “La terrificante valle della morte”.
Se tradotto, il suo significato dovrebbe essere: “La gola del Bambù nero”.
Hei Zhy Gou. La foresta del non ritorno
Immersa in una gola profonda, avvolta quasi perennemente da fitti banchi di nebbia la “foresta del non ritorno”, è affascinante ma nefasta.
Sembra sospesa nel tempo, lontana dalla realtà e sprofondata in un mondo parallelo.
Da anni si narra che nessun essere umano sia capace di esplorarla e … di tornare indietro sano e salvo!

Numerose sparizioni infatti, accompagnano la storia di questo labirinto di bambù.
Si ritiene che la “foresta del non ritorno” sia letteralmente in grado d’inghiottire uomini e veicoli.
Coraggiosi esploratori e persino alcuni aerei che sorvolavano la zona sono svaniti nel nulla, appena entrati in contatto con la foresta.
Sembra proprio che sia maledetta e non permetta a niente e nessuno di trovare la via del ritorno e di poter quindi, raccontare cosa (o chi) si celi al suo interno.
Hei Zhy Gou. La foresta non restituisce neppure i cadaveri
Quando il fitto fogliame viene inondato dal calore del sole, la foresta appare nei suoi ancestrali colori vivi ed intensi.
I profumi della natura rendono l’area un vero e proprio polmone verde, fulcro e culla di pace, spennellato di bruma e sinistro incanto.
Ma di notte tutto cambia.
Il buio padroneggia nelle sue tinte più cupe e impenetrabili, donando al luogo un’aurea spaventosa.
Antiche leggende e angoscianti storie hanno come protagonista proprio la foresta.
Hei Zhy Gou si trasforma infatti in un antro intricato e pericoloso.
Da anni, chi si addentra tra i suoi sentieri non fa più ritorno.
Hei Zhy Gou. Abitata da un enorme drago a due teste
La sua impenetrabilità non ha mai reso concrete e sicure le notizie inerenti la sua formazione e storia.
Alcune leggende locali giustificano i misteri che aleggiano sulla foresta raccontando che, sia abitata dal “Grande Uccello”.
Uno spaventoso mostro mitologico descritto come un enorme drago a due teste.
Certo è che – essendo il Drago un importante simbolo della cultura cinese, protagonista da millenni di storie e miti – nessuno ha mai cercato di scoprire cosa dominerebbe davvero “la foresta del non ritorno”, anteponendo a qualsiasi spiegazione logica, il rispetto della forza della natura e delle antiche tradizioni che hanno reso questo lembo di terra, uno dei luoghi più sventurati e maledetti che l’uomo conosca.
Fonti:
- Travelglobe: La foresta di Hei Zhy Gou, tra bambù e misteri
- Urban Post: Cina: Foresta di Hei Zhy Gou, la valle dei bambù dalla quale nessuno torna
- Curiosando708090.altervista: Luoghi misteriosi: Foresta di Hei Zhy Gou (Cina)
Mangia Peccati, una figura storica tra leggenda e oblio
(Mangia Peccati) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura
“Chi tra di voi è senza peccato scagli la pietra per primo.” Vangelo secondo Giovanni: 8.3
Tra il XVIII e il XIX secolo si concretizzò la figura simil-religiosa del Mangia Peccati – Sin Eater – che aveva il compito di assorbire le colpe del defunto, attraverso l’assunzione di cibo sul letto del moribondo.
SOMMARIO
- Mangia Peccati. Le origini
- Mangia Peccati. Chi era?
- Mangia Peccati. Se non era possibile la confessione o l’estrema unzione
- Mangia Peccati. Un reietto con l’anima pesante
- Mangia Peccati. Richard Munslow l’ultimo
Irrimediabilmente quando si narra del Mangia Peccati si è costretti a pensare agli ultimi istanti di vita di una persona.
Perché per chi crede, i peccati commessi devono essere redenti prima di esalare l’ultimo respiro, così da permettere alla propria anima un sicuro viaggio per l’aldilà.
Mangia Peccati. Le origini
Per molto tempo, in alcune parti del mondo il Mangia Peccati ne ha rappresentato un valido aiuto.
Figura emblematica e ormai dai contorni poco nitidi, ha preso principalmente piede nell’entroterra Inglese e in alcune zone del Galles e della Scozia.
Soprattutto nei luoghi più isolati e remoti.
Sulle origini del Mangia Peccati ci sono poche notizie, ma quelle più concrete datano la sua nascita nel periodo del basso medioevo.
Anche se alcune fonti sono portate a dichiarare che nasca insieme al Cristianesimo stesso.
Certo è che se la storia lo ha oramai relegato solo nelle nicchie dei ricordi.
In alcune zone del pianeta (come l’Alabama) rappresenta ancora oggi il protagonista di cupe storie folkloristiche.
Mangia Peccati. Chi era?
Il Mangia Peccati – o Sin Eater, in Inglese – la maggior parte delle volte, era un uomo che veniva chiamato dalla famiglia del moribondo sul letto di morte per praticare questo rito.
Rito nel quale le pietanze offerte al Sin Eater rappresentavano i peccati commessi dal defunto.

Il Mangia Peccati assumeva quelle pietanze e l’anima del defunto si alleggeriva, permettendo un trapasso sereno.
Un rito e una figura quella del Sin Eater che incarnano in modo chiaro e tangibile l’importanza per gli uomini, di affrancarsi l’anima dai peccati, restando altresì coscienti di gravare su quella di un altro.
Sicuramente non era un lavoro ambito da molti.
Nella maggior parte dei casi, erano uomini poveri ai margini della società che – davvero per fame – intraprendevano questo mestiere.
Mangia Peccati. Se non era possibile la confessione o l’estrema unzione
Quando l’estrema unzione o l’ultima confessione non erano possibili, ci si rivolgeva al Sin Eater.
Sicuramente nelle zone rurali era più facile usufruire dei servigi di un Mangia Peccati, rispetto alle grandi città dove, invece, era più facile reperire un sacerdote per una “classica” estrema unzione o ultima confessione.
La maggior parte delle volte il Sin Eater – veniva contattato dalla famiglia del morente – e sotto un minimo compenso raggiungeva l’uomo in fin di vita al suo capezzale, per ascoltare le ultime confessioni.
In quel lasso di tempo veniva anche preparato il pasto frugale, che il Mangia Peccati ingeriva o sul letto del defunto o addirittura sul suo petto.
Ascoltando e mangiando, permetteva all’anima del morente di lasciare le spoglie terrene, alleggerita dalle colpe commesse e dichiarate e di trovare pace in eterno.
Il defunto aveva l’anima redenta, ma il Mangia peccati allo stesso tempo appesantiva la sua, aggravandola di oscure e impenetrabili memorie.
Qualora fosse arrivato troppo tardi, ad accoglierlo sul letto ci sarebbe stato solo il pasto simbolico e il silenzio.
Nella maggior parte dei casi, il pasto era composto dal pane in quanto simbolicamente associato all’anima dei defunti.
Anche se al Sin Eater si poteva offrire anche del sale e un piatto di stufato o minestra.
Mangia Peccati. Un reietto con l’anima pesante
La confessione come il parco convivio erano fasi di un vero e proprio rituale, intervallato da preghiere sussurrate e arcaiche formule:
“The ease and rest of the soul are gone” (La facilità e il riposo dell’anima se ne sono andati) Brand’s popular Antiquities of Great Britain
Un cerimoniale che ha i toni ancestrali, che si perdono nella notte dei tempi…
Intorno alla figura del Mangia Peccati, aleggia la costante comprensione di quanto sia stata dura ricoprire questo ruolo.
Solitamente era un uomo senza famiglia che per pochi penny (di solito non più di 4) e un tozzo di pagnotta, non esitava a venire a patti con i peccati degli altri, per poter avere lo stomaco pieno.
Era considerato un vero professionista, ma allo stesso tempo messo agli angoli dalla società del tempo.
Un reietto con l’anima pesante e la solitudine come compagna.
Infatti il tempo e le superstizioni, avvicinarono la figura del Sin Eater alla stregoneria e al satanismo.
Un alone di mistero e maledizione aggravato anche dalla convinzione popolare che il Sin Eater fosse l’unico in grado d’impedire ai morti viventi di risorgere!!
Una figura storica e religiosa che è stata presente sino agli inizi del XX secolo.
Mangia Peccati. Richard Munslow l’ultimo
L’ultimo Mangia Peccati che la storia ci riporti è Richard Munslow (1838 – 1906) che onorò il suo compito nella Contea di Shropshire sino agli inizi del ‘900.
Il suo menù, contrariamente alla tradizione, prevedeva: torta alla ricotta, fondi di carciofi e trippa… senza mai dimenticare i sei pence previsti per la prestazione.
Al contrario di molti suoi colleghi e predecessori, ad avvicinare Munslow alla professione di Mangia Peccati, non fu l’indigenza o la fame, ma il lutto per la perdita di quattro suoi figli.
Di cui tre, nella stessa settimana.
Profondamente turbato da questa drammatica esperienza, scelse di diventare un Sin Eater per vivere questa professione, come forma di lutto.
Della figura enigmatica del Mangia Peccati restano poche concrete testimonianze.
Il silenzio e la solitudine che ne hanno rappresentato gli elementi più concreti, ci permettono di immaginarlo come un triste compagno che segue la Morte nelle sue peregrinazioni, tra un’anima e l’altra.
Capace ancora di accogliere il mistero degli ultimi istanti di vita dell’essere umano, tra sussurri e briciole di pane.
- Blog. Necrologi: “Sin Eater: colui che mangia i peccati”
- Altroevo: “Il Mangia Peccati, la storia e la leggenda del mangiatore di peccati”
- The Weird Side: “Il Mangia Peccati e l’Accabador”
Roopkund, il lago degli scheletri
(Roopkund) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura
Per narrarvi i misteri di questa storia dovete accompagnarmi sull’Himalaya e più precisamente nello Stato Indiano di Uttarakhand. Qui si trova il Lago Roopkund, denominato anche il lago degli scheletri e dei misteri.
SOMMARIO
- Roopkund. La scoperta
- Roopkund. Le diverse supposizioni
- Roopkund. Cosa scoprirono gli studiosi
- Roopkund. La leggenda himalayana
Situato nel ventre del massiccio di Trishul, è di origini glaciale e si trova a circa 5020 metri di altitudine.
Pur essendo stato classificato come lago, per la capienza e la profondità (che non supera i 3 metri) ha le caratteristiche più vicine a quelle di uno stagno.
La zona è completamente disabitata e impervia, la natura domina il sito tra ghiaccio, rocce e … scheletri.
La particolarità del Lago è nell’essere custode di centinaia di ossa umane e arcani enigmi.
Quando il ghiaccio si scioglie, il Lago riporta alla luce centinaia di ossa.
È in questa capsula di ghiaccio, quasi perennemente abbracciata dalla neve, che riposano decine e decine di antichi resti umani.
Roopkund. La scoperta
Sebbene si abbiano notizie sullo Skeleton Lake – il lago degli scheletri – già dal IX secolo, l’ufficialità della scoperta viene datata nel 1942 quando il ranger Hari Kishan Madhwal scoprì i resti ossei che fluttuavano sul pelo dell’acqua.
Con il passar dei giorni e con il maggiore scioglimento del ghiaccio, il lago continuò a restituire altri resti umani, insieme a schegge di lance, manufatti in legno e anelli, brandelli di tessuto umano e capelli, vestiti e pantofole di cuoio.

Le autorità Britanniche – visto il periodo storico – inizialmente ipotizzarono che fossero cadaveri di soldati Giapponesi morti durante il tentativo di valicare i confini Indiani, per cercare di attuare una vera e propria invasione.
Terrorizzato da tale supposizione, il Governo Inglese avviò un’indagine inviando degli esperti sul luogo della scoperta.
Quest’ultimi decretarono che le ossa erano molto antiche e non potevano appartenere ai soldati nipponici.
Da quel momento il lago divenne il fulcro di misteriose storie, scarse prove concrete e la certezza della sua unicità.
Un cimitero tra i ghiacci che per circa 300 persone – senza un motivo apparentemente sensato – fu luogo di morte tra gelo e pietre.
Perché si erano recate in questo posto così proibitivo e pericoloso?
Come erano decedute?
Dal 1950 ai giorni nostri sono state diverse le spedizioni organizzate da team di studiosi sul lago Roopkund.
Esplorazioni volte ad analizzare i resti, per trovare risposte realistiche così da poter dissipare l’alone di mistero e folklore che aleggia su questo sito, così unico e particolare.
Roopkund. Le diverse supposizioni
All’inizio si ipotizzò che tutti i cadaveri rinvenuti fossero morti nello stesso momento e per la stessa causa.
Poi si suppose che il lago Roopkund era stato per millenni una fossa comune, che aveva dato eterno riposo alle vittime di un’ipotetica epidemia, o di un suicidio collettivo.
Altri invece sostenevano che il Lago fosse un luogo sacro, utilizzato per sacrifici religiosi.
Le vittime di tali riti venivano condotte sin lassù per immolarsi durante le cerimonie.
Altre tesi spingono a credere che il Lago sia invece solo un luogo di passaggio per arrivare a compiere il pellegrinaggio al Nanda Devi – considerata una delle montagne più sacre dell’India.
Sin dalla notte dei tempi, a questa montagna sono legate storie demologiche e potenti energie, in grado di richiamare molti pellegrini per visitarla.
L’atmosfera che aleggia sul Nanda Devi (in italiano: Dea dispensatrice di Beatitudine- Dea della Gioia) sembrerebbe donare concentrazione e vigore utili per la meditazione.
Il Governo Indiano non ha mai rilasciato facilmente autorizzazioni per scalarla e/o per compiere il pellegrinaggio alla montagna, a causa dei rapporti tesi con la Cina.
È necessario ricordare che questa barriera Himalayana è considerata un territorio molto delicato, perché confina a Nord con l’altopiano del Tibet e a Sud con la pianura del Gange.
Roopkund. Cosa scoprirono gli studiosi
Certo è che per i circa 300 resti umani ritrovati, poche erano le certezze e troppe le supposizioni. Utili e concreti sarebbero stati solo e soltanto gli studi e le ricerche sui reperti.
Purtroppo c’è da dire che oltre i ricercatori- in tutti questi anni – spesso si sono succeduti anche curiosi poco attenti che, per toccare i resti che l’acqua ha restituito alla storia, hanno alterato di fatto la zona dei ritrovamenti.
Inoltre diversi scheletri sono stati utilizzati per creare delle inquietanti composizioni ossee (ancora visibili accanto alle sponde del lago) e altri, depredati.
Queste alterazioni portate avanti da mani inesperte non solo hanno concretamente influenzato lo scenario originale del lago, ma anche influenzato negativamente il risultato su alcuni esami effettuati.

Analisi che sono emerse alterate proprio a causa di queste manipolazioni avvenute sulle spoglie.
Tanto da compromettere la conservazione naturale del sito stesso.
Dopo questa doverosa precisazione posso tornare a rivelarvi cosa gli studiosi sono riusciti a scoprire sugli scheletri.
Si è rinvenuto che in realtà nel lago riposavano due gruppi etnici distinti. Separati non solo per razza, ma anche per periodo storico, infatti:
- sul primo gruppo di scheletri analizzati, gli studi hanno affermato che provenivano dall’Asia Meridionale (India, Bangladesh, Nepal) e incontrarono la morte nei pressi del Roopkund tra il VII e il X secolo. (Solo uno scheletro venne identificato come appartenente alla zona più Orientale dell’Asia – Giappone, Cina, Indonesia)
- Mentre il secondo gruppo proveniente dal Mediterraneo (Grecia, Iran e Creta) sopraggiunse nei pressi del lago per incontrare il proprio triste destino, tra il XVI e il XIX secolo.
In entrambe le compagnie erano presenti sia donne che uomini.
Sono tutti morti nello stesso luogo, ma con uno “scarto temporale” di circa 1000 anni gli uni dagli altri.
Le analisi hanno rilevato anche l’assenza di agenti patogeni utili per confermare un’epidemia.
Quello che invece è sopraggiunto all’attenzione dei ricercatori sul “gruppo Asiatico” sono state delle lesioni riportate solo sul cranio e sulle spalle degli scheletri.
Compatibili con dei colpi “tondeggianti” sferrati dall’alto.
Una tesi che si è andata concretizzando nel tempo e ipotizza che la causa del decesso sia attribuibile a una violenta grandinata.
In pratica sulle teste di questi uomini, sarebbero letteralmente piovute dal cielo delle schegge di ghiaccio.
Un profluvio di proporzioni impressionanti tanto fulmineo e veloce, da riuscire a ferirli fino a ucciderli.
Una tempesta di grandine che li avrebbe investiti e portati a una morte lenta e dolorosa.
Anche perché impossibilitati a trovare un rifugio utile per aver salva la vita.
Roopkund. La leggenda himalayana
A impreziosire questa teoria c’è un’antica leggenda tramandata tra le donne dell’Himalaya.
Leggenda che narra della furia di una Dea (Nanda Devi) che decise di castigare alcuni estranei che stavano profanando il suo Santuario.
Sussurrò l’anatema maledetto: “Farò piovere la morte su di loro”.
Scatenando così un temporale funesto con chicchi di pioggia duri come frammenti di ferro.
Casualità o strane coincidenze?
Quello che accomuna la leggenda con la tesi dichiarata dagli scienziati, non fa che rendere questo luogo ancora più enigmatico e oscuro.
Luogo dove il ghiaccio, il silenzio e il mistero custodiscono gli scheletri e le loro verità…
Fonti:
- Storie Notturne Insieme: “Roopkund, il lago degli scheletri”
- Fatti strani: “Il Lago Roopkund, l’inquietante specchio d’acqua colmo di scheletri…”
- Focus: “I misteri di Roopkund”
- Krishnadas: “Il Santuario del Nanda Devi”
- Montagna.tv:” Roopkund. Il misterioso lago degli scheletri che non…”
Centralia: la vera Silent Hill brucia da 60 anni
(Centralia) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura
Tra gli amanti dei videogiochi a tema horror survival, Silent Hill rappresenta uno delle serie videoludiche più apprezzate di sempre.
Il prodotto immesso sul mercato nel 1999 è riconosciuto come un vero e proprio Cult e viene ritenuto anche il perfetto antagonista di un altro classico del genere: Resident Evil, un ulteriore successo nel settore dei videogiochi.
Nel corso degli anni entrambi i titoli, hanno avuto trasposizioni cinematografiche di successo, l’ultima in ordine di tempo è il reboot di “Resident Evil” uscito al cinema nel 2021.
Mentre dal videogioco di Silent Hill sono stati prodotti e commercializzati oltre ai film anche: fumetti, libri e romanzi. Insomma, un vero e proprio multimedia franchise.
Centralia. Ma cosa ha decretato il successo di Silent Hill?
Prodotto da Konami, è una delle poche serie in cui il protagonista è una “persona qualunque”. Il giocatore ne prende il dominio, facendolo muovere tra le strade, le morti e le maledizioni della nefasta cittadina di Silent Hill.

Il gameplay di Silent Hill è molto semplice: si deve cercare di sopravvivere in questa ambientazione profondamente horror-gotica, provando a risolvere enigmi mentre si lotta per non farsi uccidere dalle forze del male che albergano tra gli edifici di questo lugubre centro urbano.
Uno degli elementi fondamentali che hanno decretato il successo della serie è, senza ombra di dubbio, la scenografia.
L’ambientazione infatti regala al giocatore (come allo spettatore del lungometraggio) uno scenario degno dei peggiori incubi: una tipica cittadina americana abbandonata e costantemente avviluppata nella nebbia più fitta che cela mistero, morte, segreti ed esecrazioni.
Centralia. E se Silent Hill esistesse davvero?
Ebbene sì cari lettori, Silent Hill non è solo frutto della fantasia degli ideatori del videogame! Si trova nello stato della Pennsylvania – più precisamente nella Contea di Columbia – e porta il nome di Centralia.
Ha una particolarità che l’ha resa spettrale e unica allo stesso tempo, Centralia è avviluppata nelle spire di un incendio che divampa e la consuma da 60 anni.
Centralia. La storia di Centralia
Centralia venne fondata intorno al 1750 da un gruppo di coloni, con il nome di Centerville. Essendo già presente nella zona un villaggio omonimo si decise – anche per ovviare a problemi di natura burocratica – di modificare il nome della cittadina in Centralia.
Durante la sua costruzione, i giacimenti minerari furono subito rilevati, ma le miniere iniziarono a essere aperte e sfruttate solo intorno al 1850.
È in questo periodo, infatti, che Centralia inizia a crescere e a fiorire a livello economico e demografico.

La capienza dei giacimenti minerari è molto estesa e importante tanto da autorizzare la costruzione di ben due linee ferroviarie per il trasporto del carbone estratto.
Nel corso dei decenni la città cresce, sino ad arrivare al 1960 con un conteggio demografico di circa 2000 abitanti.
Si poteva usufruire di un servizio postale, almeno due istituti bancari avevano le rispettive sedi in città.
Molti anche i negozi e gli Enti scolastici utili per la crescita e la formazione dei giovani -ad eccezione dell’Università.
Tre cimiteri, Chiese di culti diversi e ben due teatri.
Si sviluppa un centro cittadino di tutto rispetto che – grazie alle miniere – garantisce lavoro e prosperità.
Di pari passo all’accrescimento sociale e urbano di Centralia, si estende anche il suo sottosuolo. Epicentro del vero tesoro che la contraddistingue.
Si fa sempre più consolidata e ben collegata la rete di tunnel in grado di unire i diversi giacimenti aperti, per l’estrazione del carbone.
Centralia rappresenta la tipica cittadina americana degli anni 60 che assicura occupazione, servizi e tranquillità.
Sino al 1962, quando divampa un incendio in una delle miniere ormai in disuso che comprometterà per sempre la storia di questo luogo.
Centralia. L’incendio
Dell’incidente che modificò e compromise ineluttabilmente le sorti di questa cittadina, si conosce solo la datazione: 1962.
La storia narra che, su autorizzazione del comitato cittadino, un gruppo di volontari dei vigili del fuoco gettò dell’immondizia all’interno di una miniera chiusa e desueta, appiccando un incendio per poter smaltire il materiale.
Quello che non venne valutato fu che la portata delle fiamme all’interno di una miniera in disuso sì – ma comunque collegata alle altre – poteva alimentare senza sforzo un imponente incendio nel sottosuolo, adibito all’estrazione del carbone e ai tunnel di collegamento per il trasporto in superficie del minerale.
Una combustione che inizialmente sembrò essere domata dai pompieri cittadini, ma che in realtà continuò a fiammeggiare, arrivando anche nelle altre gallerie e nelle altre miniere.
Tutto il sottosuolo di Centralia fu investito dal calore alimentato dal suo stesso tesoro minerario.
Il terreno inizialmente coinvolto dalle fiamme raggiunse le zone adiacenti, ricche di antracite.
L’antracite è un carbone puro, con una presenza minima di acqua, zolfo, ossigeno e azoto.
Ha un elevato stadio di carbonizzazione, con una cospicua presenza di carbonio al suo interno).
…Una conflagrazione che aprirà voragini alle fiamme dell’Averno…
Le strade iniziarono ad aprirsi con crepe e baratri, eruttando fumo e calore.
Vennero inghiottite nel sottosuolo case private, edifici pubblici e auto. La vegetazione iniziò a seccarsi e morire, rendendo il paesaggio della cittadina sempre più tetro.
Molti abitanti fuggirono da quello che sembrava essere uno scenario spettrale. Centralia ardeva dalle sue fondamenta, modificando per sempre il suo aspetto e la sua storia.
Centralia. Due tentativi per spegnare l’incendio
Tentarono in diversi modi e in molte occasioni di spegnere l’incendio, ma non ci riuscirono in nessun modo.
Non tutti i cittadini decisero di lasciare subito le proprie abitazioni.
Alcuni resistettero fino a quando anche i fumi esalati dalla terra violata e sconquassata dall’incendio sottostante, non divennero tossici e pericolosi per i pochi abitanti rimasti.
Ma due vicende distinte e separate portarono alla fuga degli ultimi abitanti rimasti:
- La prima, nel 1979 quando: il proprietario di una pompa di benzina, avvertì un significativo aumento del calore del carburante dentro una delle cisterne di conservazione sotterranee. Misurandolo, arrivò a costatare che la temperatura del liquido sfiorava i 77°!!!
- La seconda, nel 1981 quando: il dodicenne Todd Tomboski, residente a Centralia, sprofondò dentro una voragine apertasi proprio sotto i suoi piedi. Fortunatamente le sue grida vennero ascoltate da un passante che riuscì a tirarlo fuori, giusto in tempo. Se Todd fosse rimasto ancora per pochi minuti incastrato in quel gorgo, sarebbe sicuramente deceduto per le esalazioni tossiche e l’estremo calore sprigionato dal terreno.
Queste due particolari cronache riportate nella storia della città, ci annunciano che di lì a poco, la cittadina rimase praticamente deserta.
Le autorità imposero l’evacuazione rendendo a tutti gli effetti Centralia inesistente.
Gli ultimi abitanti rimasti non superano la decina e nel corso degli anni, hanno avuto un permesso speciale per continuare a vivere lì; con l’obbligo di non poter lasciare in eredità a niente e nessuno, né la propria abitazione né la propria terra.
Centralia. La morte della città
Centralia è destinata a morire, ammantata tra i fumi densi e nocivi. Le voragini sul terreno hanno continuato a proliferare come ferite aperte in un paesaggio che è sempre più desolato e spaventoso.
Gli studi effettuati hanno dichiarato che l’incendio si protrae su 1600 mq di terreno e potrebbe continuare a rimanere vivo per oltre 250 anni!

C’è un’unica strada accessibile – che funge da entrata e uscita- la “Graffiti Highway” (denominata così per i disegni e le incisioni colorate lasciate dai turisti a ricordo del loro passaggio) che continua a condurre avventurieri e curiosi a visitare una delle città fantasma più famose d’America.
Tutte le altre vie di comunicazioni sono state chiuse e gli altri percorsi serrati con cumoli di terra.
Oltre alle poche abitazioni ancora in piedi, sopravvive alla tempra del calore una Chiesa, utilizzata tutt’oggi per le funzioni religiose.
Dal 2002 Centralia non ha più un proprio codice d’assegnazione postale, in pratica NON ESISTE!
Centralia. Misteriose presenze
Aleggiano su Centralia non solo i fumi di un incendio perennemente vivo, ma anche molte storie che la vedono protagonista di inquietanti vicende come quella narrata nel 1998 da Ruth Edderson, il quale dichiarò di aver visitato la città insieme ad alcuni suoi amici e di aver avvistato due bizzarri individui vestiti da minatori, apparire e svanire dinnanzi ai loro occhi, avvolti in un fumo denso e pesante.
Altri ancora affermano con sicurezza di aver avvertito presenze inquietanti durante il loro passaggio a Centralia, riportando sensazioni di turbamento e smarrimento.
Quel che è certo, è che la storia di questa cittadina opprime e ammalia nello stesso tempo. E mentre risuona l’eco del fuoco che brucia e del silenzio che aleggia, posso solo sussurrare:
Benvenuti a Centralia…Benvenuti a Silent Hill…
- Paesi Fantasma: Centralia, la vera Silent Hill
- GreenMe: Centralia, la città di Silent Hill esiste davvero
- Travel 365: L’incendio perenne di Centralia: la vera Silent Hill
- Orgoglio Nerd: La città di Silent Hill esiste davvero in Pennsylvania
- La scimmia pensa: La vera Silent Hill che brucia perennemente da 60 anni
- Wikipedia: Centralia
Uluru, la montagna sacra degli aborigeni australiani
(Uluru) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura
Australia terra selvaggia, impervia, atavica e primitiva è la custode del monolite più famoso al mondo: Uluru -noto anche come Ayers Rock. Il massiccio dall’intenso colore rosso che incute rispetto e ammalia chi lo osserva, imperiale e mastodontico domina il paesaggio del Parco Nazionale di Uluru-Kata Tjuta, nel Territorio del Nord dell’Australia (Oceania).
È il monolite più grande al mondo, alto 348 metri con una circonferenza di 9.4 km, è una vera e propria icona naturale australiana. Uluru sembra immensa, ma nella realtà è solo la parte di una formazione rocciosa monolitica emersa, la cui grandezza si estende in gran parte nel sottosuolo.
Uluru. Un monolite “strano” già nel nome
Ha sempre attirato migliaia di visitatori ed è da sempre (e per sempre) un luogo sacro agli aborigeni.
Il suo caratteristico colore può mutare e variare dal blu, al viola, dall’ocra, al bronzo in base alla stagione e all’ora in cui il sole colpisce le sue pareti.
Ad esempio al mattino, la montagna si tinge di un rosso intenso e fiammeggiante, quando il sole torna a sorgere e a colpire la sua terra magnetica.

Se la si osserva da lontano, la sua superficie sembra liscia e perfetta, ma più ci si avvicina e più risaltano agli occhi pozzi, caverne, sorgenti e antichi dipinti.
Molti elementi del sito sono segreti ai piranypa -i non-aborigeni- e custoditi stoicamente dagli indigeni.
Il nome Uluru deriva probabilmente dal nome aborigeno “ulerenye” che significa “strano”, nella lingua Arrernte.
Aleggiano sulla montagna sacra pagine di storia come di leggende. Si narra che chiunque si avvicini ad Uluru, ne osservi la bellezza e magnificenza, percependone il potere mistico, non sarà mai più lo stesso.
Le leggende più note degli aborigeni ci narrano che da Uluru tutto ebbe inizio, che le donne siano legate indissolubilmente a questo luogo magico e ancestrale.
Al suo interno si troverebbero le così dette “grotte della fertilità” dove è facile notare alcuni elementi chiaramente riconducibili ai genitali umani.
Uluru. La neonata scomparsa
Nel 1980 Uluru fu teatro di una scomparsa improvvisa quanto drammatica, di una neonata di nome Azaria Chamberlain.
La piccola di appena 2 mesi, svanì nel nulla proprio nelle vicinanze del monolite dove i genitori campeggiavano insieme a lei e ai suoi altri due fratelli, Aidan e Reagan.
La madre Lindy dichiarò subito che la figlia era stata rapita da un dingo (un mammifero canide, molto simile ad un lupo).
Lo sconcerto e la pressione che ne scaturì sull’opinione pubblica riguardo la sparizione della piccola, diede inizio al processo più celebre di tutta la storia australiana.
Dopo le indagini e il procedimento penale, la madre di Azaria venne dichiarata colpevole di infanticidio e condannata all’ergastolo, mentre il padre Michael venne condannato per favoreggiamento.
Solo nel 2012, la giustizia australiana ribaltò la sentenza dichiarando che Lindy aveva detto la verità: Azaria era stata rapita da un dingo e morta proprio a causa dell’attacco dell’animale.

Uluru. La restituzione agli aborigeni
Uluru per decenni fu sottratta agli aborigeni e sfruttata dai colonizzatori, che non rispettarono mai il sito come sacro agli indigeni.
Solo nel 1985 il governo australiano riconsegnò formalmente l’area naturale agli aborigeni.
Dal 26 ottobre 2019 le autorità aborigene degli Anangu decretarono il divieto di scalare il massiccio roccioso, delimitandone i sentieri percorribili e le zone da visitare.
Per gli Anangu è importante che il sito venga visitato anche da chi non crede nel potere di questo monolite e nelle energie che esso celerebbe, perché Uluru sembrerebbe in grado d’influenzare chiunque lo veda.
Ma anche un fatto di sicurezza ha spinto gli aborigeni a questa decisione, visto che dal 1940 al giorno del divieto di scalare il massiccio, sono circa 40 le persone morte nel tentativo di arrivare alla sua sommità.
Il magnetismo, come l’enigma che sembra celarsi dietro il fascino che sprigiona il monolite, sono da sempre fonti di discussioni e confronti tra chi vorrebbe imporre la razionalità, al puro misticismo che scaturisce da questo luogo.
L’unico elemento che non si può di certo escludere è che Uluru sia un monumento naturale non comune ad altri e che celi una forza incisiva ed intensa che lascia il segno.