Marie Laveau, la Regina del Voodoo di New Orleans

Marie Laveau, la Regina del Voodoo di New Orleans

(Marie Laveau) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e StorieFatti e società, Pagine Svelate.

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 5 – Marie Laveau, la Regina del Woodoo di New Orleans” su Spreaker.

New Orleans è considerata uno dei luoghi più affascinanti del mondo, epicentro di magia e mistero. La sua storia come la sua cultura e il suo folklore sono unici e a impreziosirli ci sono personaggi di notevole rilevanza documentata, come la protagonista di cui sto per raccontarvi: Madame Marie Laveau, la Regina del Voodoo.

SOMMARIO

Nel corso del tempo la Voodoo Queen è diventata l’emblema di avvenimenti pervasi di sortilegi e arcani segreti che continuano a stregare e sedurre.

Ambasciatrice di una religione che da sempre ammalia e intimorisce.

Una donna tanto atipica per i suoi tempi quanto – sotto molti aspetti – pioniera dei nostri, che della Religione Voodoo resta ancora oggi una delle sue più grandi divulgatrici.

Marie Laveau. La Religione Voodoo

Il Voodoo (o Voudu, Vudù) è una delle religioni più antiche al mondo.

La parola Voodoo deriva da “Vodu”, termine africano che significa “Spirito” o “Divinità”.

Siamo abituati ad associare a questo culto immagini tetre e ambigue, ma il Voodoo è a tutti gli effetti una Religione con i propri liturgie, divinità e riti.

Nasce in Africa e viene diffusa in America con l’arrivo degli schiavi, prendendo piede soprattutto nel Sud.

Ha caratteri esoterici e sincretici.

Per culti sincretici s’intendono tutte quelle confessioni tradizionali che con l’arrivo del colonialismo, entrano in contatto con il cristianesimo, unendo e mescolando elementi tradizionali con i riti cristiani.

Il Voodoo è un culto che si basa sulla venerazione della natura e dei propri antenati.

Vi è una profonda convinzione che il mondo dei vivi coesista con quello dei morti, in un connubio perfetto per il quale fanno da tramite i “Loa” – Spiriti guida che agevolano la convivenza.

Le cerimonie Voodoo sono riti intrisi di gesti e ricordi primitivi, mentre l’idea del peccato è molto semplice.

Chi pratica questo credo dovrebbe sempre compiere buone azioni, qualora non se ne compissero si verrà puniti.

Il Voodoo nato e praticato in Africa “sfuma” e si differenzia da quello che viene professato in America.

È meno contaminato dalla cultura colonialista per cui è stato boicottato e tacciato come un credo volto solo alla stregoneria e alla magia nera.

Ma non è così, infatti il Voodoo ha divinità solari e pacifiche da adorare, che prendono il nome di Loa Rada.

Mentre il Voodoo maggiormente conosciuto è quello nato dalla sofferenza che accomuna e si manifesta nella corrente americana, influenzata dal dolore degli schiavi neri deportati negli Stati Uniti.

La disperazione causata dalle deportazioni e dalla schiavitù generò il culto oscuro, le cui divinità prendono il nome di Loa Petro e sono vendicativi, dispotici e furiosi.

Marie Laveau. I tre elementi principali del Voodoo

Il Sacrificio: è la base di ogni rito e pratica.

Ogni sacrificio è volto a dare energia utile al Loa prescelto, per arrivare a manifestarsi sulla terra.

Nella maggior parte dei casi, il sacrificio si compie con carne animale, ma sono bene accetti anche elementi come tabacco e caffè.

I Veve: sono i simboli attraverso i quali si contattano i Loa.

La Possessione: avviene da parte del Loa verso il Sacerdote (o Sacerdotessa) che l’ha invocato.

A seconda delle esigenze e richieste si deve invocare il Loa specifico.

Quelli più comunemente conosciuti sono:

Papa Legba: Custode dei due mondi.

È una divinità che viene dal culto Rada (quindi solare) e spesso viene raffigurato come un vecchietto con cilindro per cappello e un bastone.

È colui che “apre la porta” e permette ai vivi di parlare con le divinità.

È patrono della stregoneria.

Baron Samedi: Signore della Morte. Re dell’aldilà e della vita oltre la vita.

A lui, prima o poi tutti si prostreranno.

È il Signore della magia nera e il mito degli zombie è legato al suo nome.

È in assoluto il Loa più temuto e rispettato.

Maman Brigitte: La Regina del Cimitero. Moglie di Baron Samedi, è l’unica Loa di carnagione chiara.

È un Loa potente e la tradizione narra che ami cantare e ballare nei cimiteri, dove protegge solo determinati sepolcri contraddistinti da croci particolari.

Met Kalfou: la traduzione del suo nome in Creolo è Signore dei Crocicchi.

Questo Loa è la parte oscura di Papa Legba. Entrambi sono l’uno complementare all’altro.

È lui il vero padrone della magia e governa tutti gli spiriti della notte e le anime perse.

Se Papa Legba è luce, lui è tenebra.

Se Met Kalfou è guerra, Papa Legba è pace.

Se Papa Legba è un anziano arzillo, Met Kalfou è un giovane sfacciato e affascinante.

Erzulie: Signora dell’amore, del fascino e della sensualità.

Protegge i sogni e le speranze di ognuno, ha tre mariti ma conserva la sua verginità in quanto il suo amore trascende la fisicità.

La lista dei Loa è in continua evoluzione e cambiamento.

A parte le principali Divinità – alcune appena citate- anche le anime degli uomini e delle donne meritevoli, possono essere elevati a divenire Loa.

Madame Marie Laveau, Regina del Voodoo è una di loro.

Marie Laveau. La storia

Madame Laveau è stata una maga, religiosa e praticante del Voodoo della Louisiana.

Nata a New Orleans probabilmente il 10 Settembre 1784 – anche se alcune fonti, dichiarano che fosse il 1801 – da una fugace relazione tra il ricco proprietario terriero Charles Laveau e Margherite H. D’Arcantel, una schiava liberata.

Le informazioni più concrete sulla vita di Madame Marie non sono molte e non tutte troppo attendibili, ma di sicuro si sa che la giovane è la prima persona della sua famiglia a nascere libera.

Vive con i suoi parenti nel Vieux Carrè – il quartiere francese – una delle zone più antiche della città.

Ha un carattere forte, risoluto e volitivo.

Sguardo incisivo, occhi d’ebano, pelle ambrata e lunghi capelli neri e ricci a incorniciarle il volto.

Capelli che crescendo amerà raccogliere in eccentrici e colorati ritagli di stoffa, trasformando queste acconciature in un vero e proprio segno di riconoscimento.

Grazie al supporto del padre riesce a imparare a leggere e scrivere.

Viene Battezzata con Rito Cristiano, ma sin da bambina la madre la indottrina alla pratica dei riti Voodoo, che Marie professerà per tutta la vita.

Marie Laveau

Si sposa giovanissima, appena diciottenne, convola a nozze con un uomo creolo haitiano di nome Jacques Paris.

Dal 1824 dell’uomo si perdono le tracce, pur non essendoci nessun certificato di morte a confermare la sua fine, Jacques sembra essere letteralmente svanito nel nulla.

Marie inizia a farsi chiamare Vedova Paris.

Della loro relazione resta solo il certificato di matrimonio, conservato nella Cattedrale di San Luigi.

Marie e Jacques hanno avuto due figlie, anch’esse scomparse inspiegabilmente.

Dopo la misteriosa fine del suo primo matrimonio, inizia una lunga relazione con Louis Cristophe Dumesnil de Gliapon uomo statunitense di origini francesi che commercia terre e schiavi.

I due staranno insieme per tutta la vita, ma non potranno mai sposarsi a causa delle dure leggi contro la mescolanza razziale.

Leggi introdotte nel XVII secolo nell’America Settentrionale e rimaste in vigore in molti Stati sino al 1967.

Imponevano attraverso una serie di atti legislativi la segregazione razziale e l’impossibilità di unirsi in matrimonio, come ad avere rapporti sessuali, tra persone appartenenti a razze diverse.

Si narra che Marie e Louis Cristophe insieme hanno quindici figli.

Solo due di loro, Marie Eloise Eucharistie e Marie Philomène raggiungeranno l’età adulta e avranno un ruolo nell’eredità religiosa post mortem della Regina del Voodoo.

Anche la scomparsa di Louis Cristophe, come quella del primo compagno di Marie, è avviluppata nel più totale mistero.

Madame Laveau è una donna che non si dedica solo alla famiglia e alle pratiche del Voodoo, ma è anche un’imprenditrice.

Avvia un’attività di parrucchiera a New Orleans che, sin da subito, riscuote particolare consenso.

Tra le sue clienti non mancano le donne benestanti e più influenti della città che, si sussurra, non richiedano solo acconciature o trattamenti di bellezza, ma anche servizi extra come: pozioni e incantesimi.

Marie accetta le richieste sia dalle persone meno abbienti che dagli esponenti più in voga di New Orleans.

Leggenda vuole che nel retrobottega della sua attività offrisse tali servigi, concretizzando la sua figura di Sacerdotessa Voodoo.

Il deposito adibito a tali pratiche è anche il luogo dove custodisce le sue formule e i suoi ingredienti utili per creare gli amuleti e le pozioni, come: erbe, pietre, capelli e ossa.

Svolge i suoi riti Voodoo non solo nel retrobottega, ma anche in altri tre ambienti distinti e specifici:

  • La sua casa a St. Anne Street, dove officia cerimonie e riceve i clienti.
  • Sulle rive del Lago Pontchartrain – a Bayou St. John– dove si svolgono le cerimonie d’iniziazione ai nuovi adepti del Voodoo. Eventi importanti e affollati nei quali Madame Marie viene sempre affiancata da un Re Voodoo.
  • Congo Square, una piazza pubblica divenuta nel tempo ritrovo domenicale per schiavi ed ex schiavi, dove Marie Laveau incontra la sua gente per pregare.

In ogni occasione, Madame Marie manifesta il suo carisma e le sue capacità tanto che le voci inerenti alla sua magia definiscono i suoi sortilegi talmente potenti, da riuscire ad arrivare a colpire non solo il malcapitato, ma anche le sue future generazioni!

Ad accompagnarla nei suoi riti c’è sempre l’amato serpente Zombie (in onore di una divinità Voodoo Africana).

La storia sussurra che a darle le giuste competenze e ad accrescere le sue capacità nella magia nera sia stato un ex schiavo, personaggio inquietante ed enigmatico passato alla storia con l’appellativo di Dottor John o “Re Voodoo” di New Orleans.

Marie Laveau. La Regina di New Orleans

Marie Laveau è una donna capace di divenire punto di riferimento di un’intera comunità, formata in maggior numero da creoli ed ex schiavi.

In lei vedono forza e capacità di aiutare il prossimo bisognoso, non tirandosi mai indietro.

Indubbio il suo fascino e la sua empatia soprattutto nei confronti degli ultimi, di cui ne diventa la paladina.

È rispettata e temuta in egual misura da tutta la comunità cittadina e lei sfrutta questa sua posizione anche per aiutare i più disagiati.

Riuscendo a tessere una rete concreta di supporto e aiuto per schiavi, ex schiavi e condannati a morte.

Madame Laveau è una Sacerdotessa fiera e preparata, che nasconde un animo nobile e volenteroso.

In molti però la paventano e cercano di ucciderla.

Si vocifera che persino il suo secondo compagno tentò di assassinarla, ma Marie riuscì a sventare l’attentato, lanciando una terribile maledizione:

[…] Durante la notte decine di persone affermarono di aver visto in strada un “branco di ombre mostruose” penetrare negli alloggi dove erano ospitate le guardie e la mattina seguente i 15 uomini furono trovati massacrati e con il collo spezzato; […] l’unica giustificazione che riuscirono a fornire le autorità della Louisiana fu che un orso fosse entrato nella stanza chiusa a chiave, al secondo piano e li avesse uccisi. Gli abitanti di New Orleans non ebbero dubbi: era opera della magia nera di Madame Laveau.

Marie Laveau. La morte

Come molti aspetti e periodi della sua vita, anche la morte di Madame Marie è avvolta nell’oscurità.

Alcune fonti ci dicono che sia morta nel 1835, a soli 41 anni.

Tesi mai del tutto accertata per la mancanza di documenti che ne attestino la veridicità.

Mentre secondo altri il trapasso delle Regina del Voodoo è databile il 15 Giugno 1881.

Fatto comprovato da un certificato di morte che attestava il decesso di Madame Marie Glapion Laveau alla veneranda età di 86 anni.

Ma anche dall’obituario pubblicato il giorno seguente sul quotidiano The New Orleans Daily Picayune che recitava queste parole: donna di grande bellezza, intelletto e carisma, che era anche devota, caritatevole e un’abile guaritrice con le erbe”.

In molti dichiararono di aver incontrato Madame Laveau nei giorni successivi alla sua (presunta) morte, alimentando il suo mito e il suo mistero.

Certo è che ancora oggi la sua tomba – che si presume possa essere quella sita nel più antico cimitero cattolico di New Orleans – al Saint Louis Cemetery numero 1, attiri migliaia di visitatori da tutto il mondo.

Anime inquiete che rendono omaggio al suo mito, lasciando segni concreti del loro passaggio come le tre X sulle pareti della Cappella, sperando che la Regina del Voodoo ascolti ed esaudisca le loro richieste.

Purtroppo non possiamo negare che la storia spesso releghi ai confini donne di questa caratura.

Madame Laveau, forse, ne è l’esempio più concreto.

Nata donna in un’epoca in cui la società, le influenze religiose e di costume non permettevano alle ragazze di poter immaginare un futuro diverso da quello già scritto, ghettizzandole tra obblighi e doveri.

Lei è un grido di libertà e di forza che neppure la storia è riuscito ad azzittire.

Permettendo all’eco che mescola e richiama ai canti di un culto atavico e immortale come quello di cui la Laveau fu fiera Sacerdotessa, di continuare a vibrare insieme al suo nome.


Fonti:

  • Site.Unibo: “L’anima mistica di New Orleans: Marie Laveau la Regina del Voodoo”
  • Satanisti la nostra verità: “Voodoo, storia e origine”
  • National Geographic: “Marie Laveau, la Regina Vudù di New Orleans”
  • Vanilla Magazine: “Marie Laveau, la vera storia della Regina del Voodoo di New Orleans”
  • Britannica: “Marie Laveau, Regina Vodou Americana”
AMELIA SETTELE

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Il telefono del vento. The phone online with Death!

(telefono del vento) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

In Giappone – nel giardino privato di Bell Gardia – c’è una cabina telefonica per “parlare” con i morti.

Esistono molti luoghi nel mondo dove commemorare i defunti.

Uno dei posti più inconsueti e originali si trova in Giappone, nella città di Ōtsuchi.

Un centro abitato a Nord Est dell’isola, nella prefettura di Iwate e più precisamente in un giardino privato chiamato Bell Gardia.

Il monumento si chiama 風の電話 kaze no denwa, il cui significato è Telefono del Vento.

SOMMARIO

È una cabina telefonica che spicca tra la bellezza naturalistica del giardino.

Cabina al cui interno è installato un vecchio modello di telefono in bachelite, privo di linea, attraverso il quale si può “dialogare” con i morti.

Il visitatore che decide di entrare nella cabina, può intrattenere una chiacchierata onirica o rimanere nel più assoluto silenzio.

Cullato dall’abbraccio del vento che sferza e rafforza l’atmosfera preziosa e unica dell’opera.

La cabina è di legno bianco e pannelli di vetro, mentre il telefono è sistemato sopra una mensola.

Accanto vi è un quaderno, dove gli ospiti possono lasciare un segno del loro passaggio: una firma, un pensiero.

Il telefono del vento. Ma chi ha ideato il Kaze no Denwa e perché?

Il Telefono del Vento è stato progettato nel 2010 da Itaru Sasaki, progettista di giardini che ha creato l’opera dopo la scomparsa di suo cugino.

La cabina telefonica è diventata, col tempo, una sorte di portale immaginario.

Dove poter parlare con i defunti, in un dialogo chimerico e profondamente commovente.

Alzando la cornetta si può immaginare di colloquiare con chiunque si desideri, anche con sé stessi, come e soprattutto con chi non è più con noi.

Sognare di dialogare attraverso quel telefono privo di linea è come pregare e sperare.

Ponendosi dinnanzi a uno dei sentimenti più profondi e laceranti che caratterizzano l’essere umano: il dolore del lutto.

Il Telefono del Vento permette di credere almeno per un istante di poter essere in contatto con chi non ci è più accanto.

il telefono del vento

Il telefono del vento. La storia del Telefono del Vento è intensa, importante e nasce perché

Itaru Sasaki dopo il grave lutto che colpì lui e i suoi parenti, immaginò un luogo dove poter continuare a “parlare” col suo familiare deceduto.

E per farlo pensò a due elementi soltanto: il telefono e il vento.

Poiché i miei pensieri non potevano essere trasmessi su una normale linea telefonica, volli che fossero portati dal vento.” (I. Sasaki)

Il Signor Sasaki era sicuro che la sua opera l’avrebbe aiutato a metabolizzare il dolore.

Ma quello che non poteva minimamente immaginare, accadde appena un anno dopo.

Un evento di tali proporzioni da cambiare le venture – e le vite – di migliaia di persone come della storia stessa del Telefono del Vento.

Tanto da trasformandolo in un vero e proprio luogo di pellegrinaggio, ancora più toccante e mistico.

L’evento che modifica per sempre la storia che vi sto narrando avviene l’11 Marzo 2011, quando un potentissimo terremoto colpisce il Giappone.

Il telefono del vento. Il terremoto e maremoto di Tōhoku

Nord del Giappone – Isola di Honshū – 11 Marzo 2011, ore 14:46 (le 6:46 in Italia).

La terra inizia a tremare.

Un terremoto di magnitudo 9.1 matura e deflagra a largo delle coste dell’isola più grande della nazione nipponica.

Dopo pochi minuti sopraggiunge un mostruoso tsunami che colpisce e devasta soprattutto le coste della regione di Tōhoku

Il sisma avvertito, risulta essere da subito violentissimo e viene catalogato come uno dei cinque più potenti mai registrati nella storia del mondo dal 1900.

Oltre a essere, ancora oggi, quello più forte mai rilevato in Giappone.

La scossa è intensa ma lontana dalla terra ferma pertanto, l’elemento che porta distruzione e morte è il maremoto generatosi pochi istanti dopo.

Onde alte più di 10 metri si abbattono sulla costa con una tale violenza da spazzare via ogni cosa.

Oltre 15.000 vittime

Solo a Tōhoku le vittime sono più di 15.000… trasportati via da un’onda irrefrenabile che ha lacerato vite, sogni e realtà.

La centrale nucleare di Fukushima esplode.

L’enorme onda creatasi a seguito del terremoto, arriva a danneggiare la struttura in modo irreparabile.

La tragedia verrà ricordata proprio con il nome della regione più colpita, Tōhoku.

La conta delle vittime lascia il mondo attonito, dinnanzi agli occhi dei sopravvissuti si palesa la potenza di una natura devastante e distruttrice.

Un terremoto che scuote letteralmente il mondo e ferisce pesantemente il Giappone.

Morte, disastro e dolore restano le conseguenze più tangibili di questa catastrofe.

È proprio a seguito di questo evento che Itaru Sasaki decide di aprire il suo giardino privato ai familiari e agli amici delle vittime dello tsunami.

telefono del vento

Dialogare con i cari scomparsi

Mette a loro disposizione la cabina e lascia che utilizzino il Telefono del Vento per cercare un dialogo non solo con i propri cari scomparsi.

Ma anche con quel dolore sordido e martellante che li stringe ormai in una morsa senza fine e che lui conosce bene.

Da quel momento, grazie anche al passaparola, il Telefono del Vento diventa una vera e propria meta.

In più di 12 anni, le persone che hanno visitato il luogo sono state davvero molte, le stime ne dichiarano circa 30.000!

Il telefono del vento. Silenzioso cordone umano a Bell Gardia

Un rispettoso e silenzioso cordone umano ha continuato ad andare a Bell Gardia, oramai ribattezzata “la collina del telefono del vento”.

Per potersi immergere in quell’atmosfera profondamente toccante che si annida tra le sferzate di vento e il bianco candore della cabina.

Chi ha visitato l’opera di Sasaki ha intrapreso un viaggio personale intenso e significativo.

L’opera del garden designer è stata ripresa in altre parti del mondo.

Con lo stesso significato e lo stesso rispetto verso il dolore di chi deve convivere con la pesante assenza di una persona cara che non c’è più.

Cercando rifugio e sollievo tra i fili di un telefono privo di linea e l’ascendente della natura.

Non posso chiudere quest’articolo senza citare il bellissimo romanzo di Laura Imai Messina: “Quel che affidiamo al vento” (edito da Piemme).

Romanzo grazie al quale ho conosciuto questa storia e che vi suggerisco di leggere almeno una volta nella vita.

In fondo era quanto ci si augurava per tutti, che un posto dove curare il dolore e rimarginarsi la vita, ognuno se lo fabbricasse da sé, in un luogo che ognuno individuava diverso.” Laura Imai Messina

Ricordatevi sempre che il tempo batte ritmi incessanti e non arresta mai il suo scorrere.

Mentre il Telefono del Vento continua a custodire migliaia di parole, lacrime e ricordi, cullato e protetto da una natura maestosa. E da sentimenti che non muoiono mai.


Fonti:

  • Sempre dire Banzai: “Il telefono del vento: in Giappone esiste una cabina per “parlare” con i morti
  • Internazionale: “Il telefono del vento per parlare con le vittime dello tsunami”
  • IO Donna: “In Giappone c’è una cabina telefonica per parlare con i defunti”
  • Wikipedia: “Telefono del vento”
  • Studio Bellesi: “Il giardino di Bell Gardia e il telefono del vento”
AMELIA SETTELE

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Messico: acqua potabile razionata, ma c’è sempre la Coca Cola!

(Messico) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie

La città di San Cristobal de las Casas fu fondata nel 1528 e nel periodo coloniale spagnolo divenne capitale del Chiapas. Il Chiapas è uno dei 21 Stati che costituiscono la Repubblica Messicana e attualmente è una delle zone più povere della Nazione. 

A San Cristobal de las Casas in Messico l’acqua potabile è razionata, ma c’è sempre la Coca Cola!

SOMMARIO

Una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN

Messico. Una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN

San Cristobal spesso viene citato perché luogo dove il 1° Gennaio 1994 durante l’occupazione dei sette comuni, il Sub Comandantemarcos – rivoluzionario, ex portavoce dell’esercito Zapatista di liberazione nazionale (EZLN) movimento armato clandestino di stampo anarchico, indigenista e anticapitalista – lesse la prima dichiarazione della Selva Lacandona, attraverso la quale proclamava i diritti del proprio movimento e dichiarava guerra al Governo Messicano colpevole tra l’altro, di aver firmato il trattato TLC (Tractado de Libre Comercio – Trattato di libero commercio) con il Canada e gli Stati Uniti d’America.

Purtroppo oggi San Cristobal de las Casas risalta agli onori della cronaca per avvenimenti che la coinvolgono e che sotto alcuni aspetti rispecchiano una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN, il quale lottava con forza e vigore per la propria libertà e contro ogni forma di colonialismo e sfruttamento.

Messico

Noi siamo il prodotto di 500 anni di lotte: prima contro la schiavitù, poi, durante la Guerra d’Indipendenza contro la Spagna capeggiata dai ribelli, poi per evitare di essere assorbiti dall’espansionismo Nord Americano; poi ancora per promulgare la nostra costituzione ed espellere l’Impero Francese dalla nostra terra; poi la dittatura di Porfirio Diaz ci negò la giusta applicazione delle Leggi di Riforma, il popolo si ribellò e emersero i suoi leader come Villa e Zapata, povera gente proprio come noi, ai quali, come noi, è stata negata la più elementare preparazione; così possono usarci come carne da cannone e saccheggiare le risorse della nostra patria e non importa loro che stiamo morendo di fame e di malattie curabili, e non importa loro che non abbiamo nulla, assolutamente nulla, neppure un tetto degno, ne’ terra, ne’ lavoro, ne’ assistenza sanitaria, ne’ cibo, ne’ istruzione, che neppure abbiamo diritto di eleggere liberamente e democraticamente i nostri rappresentanti politici, ne’ vi è indipendenza dallo straniero, ne’ vi è pace e giustizia per noi e per i nostri figli. Ma oggi noi diciamo BASTA!”

Comando Generale dell’EZNL – Selva Lacandona, Dicembre 1993

Quello che di sicuro sta accadendo agli abitanti della cittadina è preoccupante e indica una forma di “colonialismo” silente e astuta, rendendo i motti del movimento sopracitato solo echi lontani e indistinti perché, nella cittadina esiste e persiste un grande problema, l’acqua potabile – un bene primigenio ed essenziale per la vita sulla terra. 

Della sua indispensabile importanza ne avevo già scritto nel mio articolo: Flint Town e i suoi eterni veleni”, ma purtroppo m’imbatto sempre più spesso in storie in cui questo elemento primordiale ed essenziale per tutti, rischia di venire meno.

Proprio come in questa vicenda che non smette di stupire.

Messico

A seguito di una rapida urbanizzazione, di strutture idriche obsolete e di pericolosi cambiamenti climatici che ormai sono fautori di disastri immediati e a lungo termine, la cittadina di montagna ha visto diminuire vertiginosamente le scorte idriche utili alla vita quotidiana.

L’acqua potabile che confluisce nelle tubature della rete idrica cittadina, dev’essere sistematicamente razionata.

I pozzi non coprono il fabbisogno della popolazione, decretando una crisi che sembra possedere tutti i requisiti per avere un apogeo irreversibile.

Le condizioni che detta questa crisi idrica implicano e coinvolgono aspetti della vita sociale, politica e sanitaria dell’intera comunità di San Cristobal de las Casas tali da non poter essere sottovalutati.

L’acqua viene razionata anche perché gli impianti di depurazione non hanno le caratteristiche utili e conformi per filtrare l’approvvigionamento adeguato alle necessità del popolo.

La situazione è avversa a tal punto che gli abitanti di San Cristobal preferiscono attendere l’arrivo dei camion cisterna per avere un minimo di scorta nel proprio domicilio, mentre per dissetarsi acquistano bottiglie su bottiglie di… Coca Cola!

Messico. Ma non sarebbe più semplice acquistare – ma soprattutto bere – acqua confezionata, invece della Coca Cola?

Ebbene, NO! Perché l’acqua imbottigliata ha un costo maggiore rispetto alla famosa bevanda simbolo del capitalismo mondiale.

Messico

Le ripercussioni che agevolano (almeno all’apparenza) il budget familiare, si ripercuotono però su quello della salute.

Tant’è che le ricerche effettuate sul reale consumo di Coca Cola che dilaga tra gli abitanti di San Cristobal, hanno evidenziato un preoccupante aumento delle malattie metaboliche.

Soprattutto diabete e obesità.

Inoltre è estremamente inquietante il coinvolgimento dei bambini che sin dalla più tenera età compromettono le proprie condizioni fisiche sorseggiando Coca Cola, anziché limpidi e salutari bicchieri d’acqua.

Le stime sull’abuso della bevanda lasciano sgomenti.

La gran parte della popolazione di San Cristobal ingerisce un quantitativo giornaliero pari almeno a 2 lt di Coca Cola al giorno. 

Da uno studio effettuato sulla popolazione si è accertato che tra il 2013 e il 2016 l’aumento di casi di diabete è stato pari al 30%.

La maggior parte delle famiglie hanno al loro interno almeno un consanguineo affetto da questa patologia. Il diabete è la seconda causa di morte nel centro abitato nella zona meridionale del Messico.

È lecito e logico pensare subito: ma se c’è una crisi idrica tale da dover razionare la fornitura d’acqua alla popolazione, da dove arriva l’acqua utilizzata per preparare la Coke?

Messico. La risposta si racchiude in un’unica parola: Femsa.

La FEMSA – Fomento Económico Mexicano, S.A.B. de C.V. – è una multinazionale messicana fondata nel 1890 da cinque imprenditori (Isaac Garza, José Calderón Penilla, José A. Muguerza, Francisco Sada Gómez e Joseph M. Schnaider) che diedero inizio a quest’avventura, aprendo il birrificio “Cuauhtémoc Ice and Beer Factory”, a Monterrey, NL, Messico. 

Da quel momento in poi la FEMSA non si è più fermata. È diventata la multinazionale messicana che su scala mondiale vanta impegni nel settore della ristorazione e delle bevande.

È la seconda maggior azionista della Heinken International ed è la più grande azienda imbottigliatrice di Coca Cola al mondo.

Ora cari lettori, dopo aver compreso e chiarito in grandi linee cos’è l’azienda FEMSA, torniamo a dare il giusto spazio al vero protagonista di questa storia: il popolo assetato.

Un’intera comunità che – anche attraverso la divulgazione di pubblicità ingannevoli – continua a bere Coca Cola come se fosse acqua; mentre l’acqua continua a essere razionata e mal distribuita.

Messico

Ma se l’acqua scarseggia, come riesce la FEMSA ad imbottigliare galloni e galloni di Coca Cola da far arrivare in quantità decisamente importanti a San Cristobal de las Casas, risparmiando a tal punto da far diventare più economico una confezione di Coca Cola, rispetto a una d’acqua?

Semplice, l’impianto locale della Coca Cola – sempre di proprietà della FEMSA – ha autorizzazioni utili per accedere alle riserve d’acqua della zona da poter utilizzare per essere depurate, addolcite e alterate fino a trasformarsi nella bevanda dal leggendario marchio rosso e bianco.

Messico, l’acqua alla multinazionale ma non ai cittadini!

La multinazionale può e ha accesso all’acqua, arrivando a poter utilizzare circa 300.000 litri al giorno da fonti idriche locali. La comunità di San Cristobal no.

I residenti del paesino situato tra le Montagne della Sierra Madre contestano, si lamentano anche e soprattutto quando si parla della salute sempre più compromessa della loro comunità. La FEMSA attraverso i suoi rappresentanti legali nega ogni responsabilità.

Imputabilità che rigetta attraverso dichiarazioni come questa, pubblicate dal New York Times, attribuite a uno dei dirigenti della FEMSA: “ha respinto le critiche che le bevande della compagnia abbiano un impatto negativo sulla salute pubblica. I messicani, ha detto, possono avere una propensione genetica verso il diabete“.

È imperativo che non ometta quanto sia ormai diffuso l’utilizzo delle bevande gassate e zuccherate come la Coca Cola (chiamate refrescos) su tutto il territorio Nazionale Messicano.

Messico, solo la punta dell’iceberg

Sotto certi aspetti, la storia di San Cristobal de Las Casas è solo la punta dell’iceberg perché negli anni il Messico ha scalato in modo celere la triste classifica dei Paesi consumatori di Coca Cola.

È secondo solo agli Stati Uniti d’America.

Resta il fatto che mentre gli abitanti di San Cristobal continuano ad attendere che l’acqua torni a poter essere utilizzata in modo concreto e giusto, la FEMSA continua a imbottigliare e a distribuire la famosa bevanda – frutto di una ricetta ancora oggi segreta – in quantità anche superiori alle reali necessità del luogo, mixando al sapore dolciastro e frizzantino famoso in tutto il mondo, l’amaro retrogusto di un subdolo capitalismo.

Fonti:

  • Ciboserio: “Messico: intera città beve Coca Cola, perché manca l’acqua”
  • Ytali: ”Chiapas, senz’acqua ma con la Coca Cola”
  • L’Indro: “Il governo Messicano ha sete di Coca Cola”
  • Femsa.com
  • SBS News: This small town in Mexico is addicted to Coca-Cola. It also grapples with a deadly disease.
  • Voices: San Cristobal de las Casas, the Mexican town that drank more coke than water
AMELIA SETTELE

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Dia de Los Muertos. La festa Messicana che celebra la vita

(Dia de Los Muertos) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

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Il Dia de Los Muertos – il Giorno dei Morti – è la festa Messicana che per eccellenza è conosciuta e riconosciuta in tutto il mondo, come una tra le celebrazioni più affascinanti e sentite che accompagnano i giorni a cavallo tra la fine del mese di ottobre e i primi giorni di novembre.

SOMMARIO

Periodo destinato al culto e al ricordo dei defunti, in gran parte del mondo. Il Dia de Los Muertos è la notte delle Anime, le quali attraverso un antico rituale tornano dal mondo dei morti per far visita ai propri cari.

Le famiglie infatti si riuniscono e i cimiteri, le case si adornano con candele, cibo e allegria. Si festeggia la morte che è sacra come la vita.

Ma ora andiamo a conoscere nel dettaglio questa festa millenaria e magnetica, caro lettore, e partiamo subito.

Dia de Los Muertos. È come la festa di Halloween?

Mi preme subito fugare questo dubbio che spesso può sopraggiungere visto il tema che accomuna le due celebrazioni.

A tal proposito è opportuno evidenziare che, a differenza delle atmosfere gotiche e cupe di Halloween ricorrenza tipicamente Americana – anche se ormai la globalizzazione l’ha resa comune a molte altre aeree del mondo lontane dagli Stati Uniti per storia e cultura, divenendo di fatto quasi un fenomeno globale – o della Festa dei Morti tipica della religione Cristiana essenzialmente più spirituale e riservata, il Dia de Los Muertos rappresenta una vera e propria festa che onora la periodicità perfetta e ineluttabile tra due elementi come: l’inesorabile morte e la forza tangibile della vita.

Un rito che si concretizza con del buon cibo, altari adorni di fiori, ceri e tanta musica popolare.

Durante i giorni del Dia de Los Muertos non si celebra la morte nei suoi toni oscuri e macabri, ma la si avvicina ancora di più alla vita stessa; entrambe infatti sono facce della stessa medaglia che contraddistingue l’esistenza di tutti gli esseri umani.

Nelle celebrazioni del Dia de los Muertos, chi festeggia cerca concretamente un modo per permettere alle anime ospiti nel “mondo dei morti” di tornare tra i vivi, almeno per una notte l’anno, per ritrovarsi di nuovo insieme.

Dia de los Muertos. Cosa rappresenta davvero per i Messicani?

Il Dia de Los Muertos nell’America Latina, ma soprattutto in Messico, è un vero e proprio rito che travalica la religione e si mescola alla vita sociale e culturale del Paese, diventandone l’emblema del folklore stesso. 

È la festa che più esprime il sincretismo tra il culto pagano preispanico e la religione Cattolica importata dai Conquistadores. 

La passione con cui il popolo organizza, vive e affronta ogni anno tale ricorrenza ha oltrepassato i confini nazionali fino a diventare un fenomeno agli occhi del mondo, tanto che l’Unesco nel 2008 l’ha dichiarato: “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità”.

Dia de los Muertos. Da dove nasce questa festività? tra storia e leggenda

Le origini del Dia de los Muertos si perdono nella notte dei tempi.

Elementi storici concreti ci dicono che ancor prima dell’arrivo dei Conquistadores Spagnoli, i popoli: Inca, Maya e Totonaca veneravano il legame imprescindibile che si cela tra la vita e la morte.

E i festeggiamenti organizzati già quei tempi volgevano al desiderio di far sentire i defunti ancora parte integrante della comunità.

Elemento ancora ben tangibile nelle commemorazioni moderne.

Sicuramente l’arrivo dei Colonialisti ha alterato le sfumature di tali riti, amalgamandole con materiale religioso e culturalmente diverso.

Ma a ben vedere, questo mix non ha fatto perdere il fascino al Dia de los Muertos anzi, l’ha spinto e concretizzato a tal punto da riuscire a cavalcare i secoli, permettendo ai Messicani di continuare ancora oggi a festeggiarlo e al resto del mondo di rimanere sempre più ammaliato da tale celebrazione.

Dia de los Muertos. Ma cosa accade?

Durante il Dia de los Muertos non si piange la morte, la si festeggia con rispetto, allegria e colore.

Generalmente i festeggiamenti hanno inizio il 28 Ottobre e terminano il 2 Novembre. Ogni singolo giorno è dedicato a una celebrazione particolare, ad esempio, il 28 Ottobre è la giornata in ricordo di chi è morto suicida o per incidente.

Mentre il 31, nella maggior parte delle comunità vengono onorate le morti dei bambini le cui anime, si crede, volino direttamente in cielo.

I restanti due primi giorni del mese di novembre, vengono consacrati per tutti gli altri defunti. L’attesa è talmente elevata che di solito le preparazioni alle celebrazioni, possono iniziare anche settimane prima.

Dia de los Muertos

Nel corso della notte delle anime i cimiteri “prendono vita”, i sepolcri vengono decorati con fiori dagli intensi profumi e dai colori caldi e decisi. 

I fiori più usati sono quelli della Tagete, pianta erbacea appartenente alle graminacee che nasce e cresce in Messico e in America Centrale. Ai fiori di Tagete – chiamati anche Cempasuchil– dai brillanti petali arancioni e il profumo intenso e vibrante è legata una storia molto significativa, nella quale si sussurra siano proprio questi due elementi visivi e olfattivi talmente forti e impossibili da dimenticare da essere percepiti addirittura dalle anime stesse, le quali li utilizzano per seguire il sentiero tracciato dai vivi per far ritorno a casa.

In ogni abitazione che rispetti e festeggi il Dia de los Muertos, viene allestito un vero e proprio altare dedicato, che prende il nome di Ofrenda.

Dia de los Muertos. Cos’è l’Ofrenda?

L’Ofrenda (che tradotto, significa: Offerta, n.d.a.) è l’elemento cardine del Dia de Los Muertos, perché viene considerata il “portale” che permette al mondo dei vivi d’incontrare quello dei morti. 

Sull’Ofrenda vengono posizionate ed esposte le foto dei defunti che s’intendono commemorare, ed è anche grazie a questo che le anime possono ritrovare la via di casa.

Ad arricchire l’altare ci sono sempre elementi simbolici che racchiudono significati specifici, come:

  • l’incenso e il suo fumo che pervadono le stanze delle case, a simboleggiare le preghiere e la purificazione degli ambienti.
  • le candele, che rappresentano il fuoco e la luce.
  • le caraffe d’acqua per far rifocillare i defunti dopo il lungo viaggio di ritorno dall’aldilà, insieme a cibo prelibato e altre bevande semmai amate in vita, dal defunto.
  • i semi di mais e cacao che interpretano sull’altare, la terra e i suoi frutti.
  • i papel picado – carta velina ritagliata a forma di teschi – prettamente di colore giallo e viola a rappresentare il vento. Le cui tinte rispecchiano la dualità tra la vita e la morte.
  • i fiori di Tagete.

In molte abitazioni oltre all’allestimento dell’Ofrenda, viene lasciata anche libera e pulita una camera da letto – nella maggior parte dei casi, quella padronale- dove le anime dei defunti possono riposare e riprendersi dalle fatiche del viaggio intrapreso.

I cibi e le bevande tipiche che si possono gustare sulle tavole imbandite sono:

i tradizionali Pan de los muertos” -Pane dei Morti- e i “Calaveras” – Teschi di zucchero, dolci tipici che portano anche incisi i nomi dei defunti che si vogliono commemorare.

Inoltre tra i piatti serviti si possono anche assaggiare le famose empanaditas – fagottini di sottile pasta farcita solitamente con la zucca e aromatizzata all’anice, e i tamales – involtini di foglie di mais ripieni di carne macinata – già apprezzati ai tempi dei Maya e degli Atzechi.

Si può sorseggiare cioccolata calda, caffè e amaranto, degustare tequila e la famosa bevanda Mezcal meno conosciuta a livello internazionale della tequila, ma sicuramente più apprezzata e utilizzata dai messicani.

Quest’ultimi l’amano a tal punto da definirla, così: “el mezcal no te emborracha, te embruja”, ovvero: “il mezcal non ti ubriaca, ma ti strega”. Per secoli definita la “bevanda dei poveri”, è uno dei liquori più utilizzati durante le celebrazioni.

Anche la carismatica e iconica pittrice messicana Frida Kahlo si narra fosse molto amante del Mezcal, come della ricorrenza del giorno dei morti, tanto da celebrarla in modo solenne ogni anno.

Dia de los Muertos. Le città si vestono a festa

Le strade e i cimiteri delle grandi metropoli, come dei piccoli paesini, si popolano di colori, abiti eleganti e cappelli fantasiosi.

Copricapi che adornano i volti dei partecipanti spesso dipinti ad arte come se fossero delle “Calaca“(teschi), tornati a festeggiare.

Le Calacas inoltre sono figure da sempre presenti nella cultura Messicana, ce ne sono traccia già nelle incisioni dei Maya.

I Teschi vengono ritenuti simboli spirituali molto forti, messaggeri gioiosi e non funerei che testimoniano con il loro “sorriso” la pace e la serenità delle anime dopo il trapasso.

Un’altra figura a cui va tutta la nostra attenzione è la Calavera Catrina – la donna scheletro, Signora dei Morti- icona ufficiale del Dia de los Muertos.

Dia de los Muertos. La Catrina

Il personaggio della Calavera Catrina prende ispirazione dalla Signora dei Morti Atzeca. La sua creazione si deve al vignettista e illustratore messicano Jose Guadalupe Posada che, nel 1913, ne tratteggiò le iconiche sembianze per inserirla come soggetto nelle litografie di stampo satirico e politico.

La Calvera Catrina è rappresentata come un teschio ghignante e agghindato con un grande cappello appoggiato sul cranio e abiti sfarzosi in stile francese.

L’ispirazione da cui nasce questo personaggio ormai folkloristico, porta con sé un messaggio profondo e concreto, di stampo sociale e politico perché la Catrina inizialmente era stata disegnata come caricatura di una donna messicana dei primi dell’900 che rifiuta le sue origini native per cercare di omologarsi allo sfarzo e alle abitudini dell’aristocrazia europea.

Diventando di fatto una vera e propria provocazione satirica nei confronti di tutti quei Messicani che tentavano di imitare gli Europei.

C’è stato anche un altro messaggio che l’artista Jose G. Posada s’impegnò a promuovere attraverso la Calavera Catrina ovvero che: dinnanzi alla morte siamo tutti uguali e “Siamo tutti Teschi” (Cit.).

Dopo di lui anche il grande pittore Diego Rivera – marito di Frida Kahlo – dipinse in primo piano la Catrina. La inserì proprio tra lui e Frida, su uno dei murales più famosi di sempre: Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central (sogno di una domenica pomeriggio nel parco di Alameda – 1948)

“La morte è democratica, perché alla fine, la madre, la bruna, i ricchi o i poveri, tutte le persone finiscono per essere teschi”

José Guadalupe Posada

Attualmente la Calavera Catrina risulta essere la maschera più amata e utilizzata dalle donne messicane durante i festeggiamenti.

Al Dia de Los Muertos sono legate anche bellissime ballate e poesie spensierate che vengono insegnate ai bambini sin dalla più tenera età.

Aiutandoli così sin da piccoli a comprendere che la morte non va temuta, ma rispettata e amata tanto quanto la vita.

Quello che contraddistingue il Dia de los Muertos dalle altre celebrazioni simili o similari è il coinvolgimento umano e sociale volto alla condivisione più pura di un messaggio che sconfigge il tempo e rende immortale l’amore e la morte con la stessa entità e potenza.

Permettendoci di non dimenticare che dinnanzi al trapasso siamo tutti uguali, come diventiamo unici e indimenticabili agli occhi di chi ci ha amato davvero sia in vita che dopo la morte.


Fonti:

  • Pimp my trip: “10 curiosità sulla festa dei morti in Messico”
  • Mi prendo e mi porto via: ”Dia de los Muertos: storia e significato di una bellissima tradizione messicana”
  • Esquire.com: ”Il Dia de los Muertos è molto più di un Halloween messicano”
  • Wikipedia: ”Il giorno dei morti (America)”
  • Stories.weroad: ”Dia de los Muertos: 8 curiosità sul giorno dei morti in Messico e dove festeggiarlo”
  • Mame – estetica metropolitana: ”Il Dia de los Muertos, un momento di gioia e colori ricorda la meraviglia di essere vivi”
  • Il Giornale del cibo: ”Mezcal ancestrale distillato messicano: origini, riti e differenze con la tequila”
  • Il Giardino del tempo: ”Tagate: storia, simbologia e tradizioni popolari”
  • Dubitinsider.com: ”La Catrina è il simbolo della Morte”
  • SpazioFeu: ”Calavera Catrina volto del Dia de Los Muertos, Simposio morte e rinascita”
AMELIA SETTELE, Bolivia

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Gli stupri fantasma in Bolivia

(Bolivia) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie

Bolivia. La storia di cui narro in questo mio articolo si tinge di parole inequivocabilmente difficili, come: abuso sessuale, violenza e ingiustizia.

Bolivia. Sventurate protagoniste di questo caso sono più di 130 donne – ma il numero in realtà, potrebbe essere stato molto più alto – della comunità Mennonita di Manitoba in Bolivia, vittime di ripetuti e brutali stupri all’interno della loro confraternita religiosa, tra il 2005 e il 2009.

Bolivia. Chi sono i Mennoniti

Bolivia. I Mennoniti rappresentano tra le Chiese Anabattiste quella più numerosa. L’anabattismo – deriva dalla parola greca ἀνα (di nuovo) +βαπτίζω (battezzare) ovvero ribattezzatori, in tedesco Wiedertäufer – è un movimento religioso di formazione cristiana che nasce in Europa durante il XVI secolo, in seguito alla rivolta di Munster. Nello specifico i Mennoniti devono il nome al loro fondatore, l’Olandese Menno Simmons (1496 – 1561), figura di spicco tra gli anabattisti, considerato altresì un eretico dai Cattolici.

I Mennoniti fondamentalmente auspicano per un ritorno della Chiesa alle proprie origini, privata dal vero verbo lasciato da Cristo, perché “contaminata” da lotte intestine per il potere e la troppa teologia. Rifiutano il battesimo (soprattutto sui neonati) e per comprendere appieno la loro quotidianità dobbiamo immaginarci fermi al ‘500, infatti rifiutano: il progresso, l’elettricità e ogni forma di modernità.

Sono isolati il più possibile dal resto del mondo, ma l’approccio che riservano a chi non fa parte delle loro comunità è sostanzialmente molto pacifico. È loro scopo creare una collettività dove si viva rispettando criteri di sobrietà e carità, seguendo rigide regole comportamentali.

La musica come i giochi sono preclusi e non esistono passatempi. Non possono guidare auto o avere internet. Sono vietati alcool e contraccettivi. I pilastri della comunità si concentrano nel culto, nel lavoro e nell’accudire la propria famiglia.

La (triste) vicenda che ho deciso di narrare ha il proprio epicentro in Sud America, qui i Mennoniti – secondo un censimento del 2013 – sono più di 70.000 e in Paesi come la Bolivia appunto, ma anche in Paraguay e in Messico si sono insediate le più fiorenti, dogmatiche e conservatrici congregazioni di tutta l’America del Sud.

Principalmente discendono da Mennoniti Russi di origini fiamminga, tedesca e frisona. La lingua parlata è il plautdietsch – definita anche basso tedesco mennonita – è un groviglio tra Olandese, Tedesco e Frisone ed è classificata come una delle lingue minacciate di estinzione. All’interno delle Comunità tutti si esprimono solo in plautdietsch, inoltre molto spesso le donne mennonite conoscono solo questo lessico.

Bolivia. La comunità Mennonita e i suoi Demoni

Bolivia. Per molto tempo le vittime degli stupri hanno taciuto sulle aggressioni per pudore e paura. Ma il susseguirsi delle violenze carnali ha fatto sì che iniziassero a serpeggiare all’interno di Manitoba, inquietanti storie su potenti Demoni capaci di rapire e aggredire brutalmente le donne, nel cuore della notte.

Soprattutto quando le stesse perseguitate compresero di non essere le sole a vivere queste atroci esperienze, infatti condividendo i loro tormenti molte scoprirono che anche le proprie sorelle, madri e addirittura figlie celavano racconti agghiaccianti che non potevano più essere taciuti.

Le violenze carnali si svolgevano dopo il calar delle tenebre, quando il sole lasciava il posto all’oscurità che, grazie alla totale assenza di elettricità, si posava come un pesante manto nero e oscuro sulle abitazioni, permettendo ai Demoni di sopraggiungere e colpire come meglio volevano e quanto potevano, all’interno della Comunità.

Gli unici indizi che testimoniavano quanto accaduto si palesavano al risveglio. Le donne erano totalmente prive di validi ricordi, ma con segni tangibili e orrendi della notte appena trascorsa. Il loro corpo era l’unico messaggero che testimoniava in maniera inequivocabile quanto avveniva durante il sonno, privo di sogni.

C’è chi si risvegliava coperta di ematomi e nuda -pur essendosi coricata vestita- chi, invece, aveva sperma e sangue sul fisico e tra le lenzuola, come indizi che qualcosa, o qualcuno, le aveva profanate nel modo più vile e crudele. In alcuni casi, le vittime ricordavano di aver avuto incubi nei quali alcuni uomini le possedevano con forza in un campo buio per poi al mattino, ritrovarsi fili d’erba tra i capelli arruffati.

Molte di loro oltre alla completa assenza di memoria, si ridestavano con cefalee persistenti e dolori articolari, segni di legature sulle giunture e un intorpidimento pesante da smaltire, che le lasciava confuse per ore. Le vittime accertate sono state molte e variavano da giovani ragazze a donne più mature, e persino bambine.

Il corpo abusato più giovane in assoluto è stato quello di una bambina di appena 3 anni, a cui hanno rotto l’imene con un dito.

Gli stupri fantasma nella comunità hanno ferito l’anima e il fisico di molte donne, senza distinzione di età o aspetto. I Demoni che colpivano lo facevano per il gusto maledetto di profanare e abusare delle proprie vittime, senza rispetto alcuno e nella più completa libertà di sentirsi talmente tanto al sicuro da esser certi di non poter mai essere scoperti.

Bolivia. Chi ha violentato le donne?

Bolivia. Se la storia degli stupri fantasma iniziò ad avere voce con dei sussurri appena percettibili, l’insistenza con la quale i tragici eventi continuavano a susseguirsi costrinse molte famiglie delle vittime a chiedere aiuto al Consiglio Ecclesiastico della Comunità, formato da un gruppo di uomini che vigila sulla congregazione.

Purtroppo neppure questo gesto fu un significativo strumento che mise fine alle violenze o aiutò a far luce sulla verità, perché esaustive dichiarazioni come questa rilasciate dall’allora capo laico della Comunità Mennonita:

Sapevamo solo che di notte succedevano cose strane…Non sapevamo chi fossero. Come potevamo fermarli?” Abraham Wall Enns

lasciano poco spazio a dubbi su cosa e quanto si sia fatto per portare alla luce la verità e interrompere le aggressioni. È facile dedurre quindi che nessuno fece assolutamente nulla. Addirittura per giustificare questi assurdi fatti, si arrivò a ipotizzare che i Demoni colpissero per esempio chi non rispettava le austere regole all’interno della comunità. In alcuni casi si arrivò a pensare che la vittima avesse inventato tutto per coprire semmai una relazione clandestina; oppure ritennero più semplice additare le donne stuprate come soggetti con una “selvaggia immaginazione femminile”.

Nel Giugno 2009 venne finalmente scoperta l’identità dei Demoni di Manitoba. In realtà non avevano nulla di innaturale e mefistofelico! Erano due uomini della comunità colti in flagrante mentre tentavano d’introdursi in un’abitazione per compiere l’ennesima violenza carnale.

Durante l’interrogatorio iniziarono a confessare e anche grazie alle loro testimonianze, vennero arrestati altri nove uomini della comunità mennonita, di età compresa dai 19 ai 43 anni, che si dichiararono facenti parte del gruppo di stupratori seriali che dal 2005 colpiva nella comunità.

Durante le prime confessioni – che verranno in seguito ritrattate – raccontarono anche il modus operandi attraverso il quale riuscivano costantemente a rendere le vittime inermi e stordite a tal punto da non essere in grado di ricordare o di essere abbastanza attendibili da rilasciare valide testimonianze utili a una loro eventuale cattura, permettendogli di continuare a colpire indisturbati e a farla franca per così tanto tempo.

Il segreto era racchiuso in uno spray narcotizzante inventato da un veterinario di una comunità mennonita a loro vicina, prodotto per essere utilizzato sulle mucche, che gli aggressori usavano prima di colpire.

Dopo aver atteso che il buio calasse sulle abitazioni, entravano in azione spruzzando il composto chimico nelle finestre delle camere da letto dove dormivano la vittima prescelta e la sua famiglia. Attendevano che il potente rimedio facesse effetto per poi intrufolarsi nelle case e iniziare la mattanza. Potevano agire in gruppo o da soli, sempre col favore dell’oscurità.

La verità concreta e precisa venne palesata solo due anni dopo, nel 2011, quando ebbe inizio il processo che vedeva imputati questi uomini vili e meschini che diedero forma agli incubi peggiori, raccontando le nefandezze di cui si erano macchiati in tutti quegli anni.

Le deposizioni rilasciate furono orrende e dipinsero un quadro di violenze brutali. Anche se in via solamente ufficiosa, alcuni abitanti della colonia mennonita affermarono che a subire violenza carnale non furono solo le donne, ma anche uomini e ragazzi.

Gli imputati vennero ritenuti colpevoli e condannati a 25 anni di reclusione ciascuno, mentre il veterinario che li riforniva di spray anestetizzante fu condannato a 12 anni di prigione.

Come affermavo all’inizio del racconto, ufficialmente le vittime accertate sono state 130, ma si è sempre pensato che i numeri fossero più corposi e che la verità su cosa si celi dietro quest’inquietante storia non sia mai stata veramente svelata, visti i modi e i tempi di gestione della Comunità stessa, nei riguardi delle donne abusate.

Nessun supporto psicologico è stato offerto alle vittime, alle quali invece è stato imposto un impietoso silenzio disceso su tutta la comunità mennonita a seguito del verdetto di colpevolezza dei condannati:

Ci siamo lasciati tutto alle spalle… Preferiamo dimenticare, piuttosto che continuare ad averlo stampato in testa.”  Dichiarazione di Wall – leader civile della Colonia ai tempi dei processi.

Sono passati molti anni dagli eventi narrati eppure nell’incedere perenne del tempo, la storia ha più volte deciso di ricordare quest’angosciante vicenda, donando alle vittime degli stupri fantasma un vera e propria voce che inizialmente ha preso vita tra le pagine del bellissimo romanzo pubblicato nel 2018: “Donne che parlano”, di Miriam Toews – talentuosa scrittrice, nata in Canada in una comunità mennonita da cui fugge appena 18enne – nel quale l’autrice romanza la vicenda degli stupri fantasma nella setta mennonita boliviana; ispirando anni dopo il film: “Women Talking – il diritto di scegliere” candidato all’Oscar e già acclamato dalla critica e dal pubblico americano che esce nelle sale cinematografiche italiane, l’ 8 Marzo 2023.

Posso sinceramente suggerirvi di leggere il romanzo di Miriam Toews come di andare a vedere il lungometraggio ispirato dal libro, l’importante è non dimenticarsi di tutte le donne vittime degli stupri fantasma nella setta mennonita in Bolivia.

Il ricordo e l’attenzione permetteranno a questa storia di non ritornare ad essere solo sussurrata, perché è stata dannatamente reale tanto da non risultare così impossibile immaginare che quei Demoni siano ancora in mezzo a loro…

Siamo donne senza voce, afferma Ona, pacata.
Siamo donne fuori dal tempo e dallo spazio,
non parliamo nemmeno la lingua del paese in cui viviamo.
Siamo mennonite senza una patria.
Non abbiamo niente a cui tornare,
a Molotschna perfino le bestie sono più tutelate di noi.
Tutto quello che abbiamo sono i nostri sogni – per forza che siamo sognatrici”.

(Donne che parlano – Miriam Toews)

Fonti:

  • The Universal: “Come vivono i Mennoniti, la comunità religiosa che rifiuta l’elettricità”
  • Vice: “Gli stupri fantasma della Bolivia”
  • Wikipedia: “I Mennoniti della Bolivia”
  • Wikipedia: “I Mennoniti”
  • Marcos Y Marcos: “Donne che parlano” di Miriam Toews
  • La Repubblica: “Le figlie di Manitoba”
AMELIA SETTELE, Bolivia

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Spagna: quando i bambini venivano venduti in nome di Dio

(Spagna) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie

Spagna, quando i bambini venivano venduti in nome di Dio. La storia del “commercio” segreto dei neonati che ha coinvolto Suore e Personale Sanitario nel Paese Spagnolo.

SI SOSPECHAS QUE PUEDES HABER SIDO VÍCTIMA DEL ROBO DE RECIÉN NACIDOS CONTACTA CON NOSOTROS. Por cualquier mínima sospecha que tengas, ya sea como padres que perdieron a su bebé, o hijos que ha sido dados en adopción, puedes ser víctima del robo de recién nacidos que ha tenido lugar en toda España.

SE SOSPETTI DI ESSERE STATO VITTIMA DI UN FURTO NEONATALE, CONTATTACI. Per ogni minimo sospetto che hai, sia come genitori che hanno perso il loro bambino, o bambini che sono stati dati in adozione, puoi essere vittima del furto di neonati che ha avuto luogo in tutta la Spagna.

Spagna. Non lascia spazio a dubbi l’annuncio che accoglie il visitatore sulla pagina ufficiale del sito: sosbebesrobadosmadrid.com – finestra digitale gestita dall’Associazione omonima (SOS bambini rubati Madrid), senza scopo di lucro, fondata come luogo d’incontro e di ricerca tra persone che hanno avuto problemi inerenti a decessi neonatali dubbi e adozioni irregolari avvenuti negli ospedali e in alcune cliniche Spagnole, a partire dal periodo Franchista fino agli anni ‘90.

Ho citato solo una tra le associazioni più famose che continuano a cercare la verità, ma la lista è lunga come lo è purtroppo il numero degli sfortunati protagonisti di questa vicenda per la quale, ancora oggi, molte persone tentano di rintracciare e abbracciare il proprio figlio, fratello, o genitore da cui è stato forzatamente separato.

A tutti gli effetti questa è una storia che sembrerebbe la trama perfetta di un romanzo dai toni inquietanti e angosciosi. Invece è tutto insopportabilmente vero e ci trascina tra le pieghe profonde e viscose della triste compravendita di neonati avvenuta in Spagna a opera di una rete corrotta e ben consolidata tra Suore, Medici specialisti e personale infermieristico. Una vera e propria organizzazione in grado di guadagnare cifre da capogiro attraverso il rapimento e la vendita di neonati.

Secondo una stima approssimativa circa 300.000 bambini appena venuti al mondo, sono stati strappati in modo subdolo e meschino dalle braccia delle proprie madri, per essere donati – solo successivamente, il lucro divenne parte integrante di questo ignobile mercato- a famiglie ritenute idonee, consenzienti ed elargenti.

Spagna. Ma come e soprattutto perché, nasce questo vergognoso traffico di esseri umani?

Spagna. Tutto ha inizio durante la Dittatura Militare Franchista (1939-1975) instaurata dal Generale Francisco Franco (Ferrol, 4 Dicembre 1892 – Madrid, 20 Novembre 1975) che guidò la Spagna sotto un regime dittatoriale di stampo fascista che prese il nome di Franchismo.

Il Generale Franco diede al suo governo un modello: autoritario, tradizionalista e clericale. Ripristinò anche la Monarchia, per la quale si autoproclamò:

Reggente – per reggenza s’intende la sovranità esercitata da una persona diversa dal Monarca – e Caudillo – parola spagnola il cui significato è: Capo Militare che assume poteri assoluti. Termine divenuto nel tempo oltre che sinonimo del Generale Franco anche appellativo conforme a Fuhrer e Duce conducendo il Paese in una spirale di terrore e totalitarismo.

Ad avviare la tratta di neonati fu proprio il Generale Franco che autorizzò un tale abominio, sfruttandolo come vera e propria forma di repressione politica.

Subivano infatti questa crudeltà solo le madri sospettate di avere ideologie Comuniste, Anarchiche, Repubblicane o comunque lontane da quelle del regime. Anche le donne la cui appartenenza a nuclei familiari considerati “oppositori” al Generale, venivano colpite in questo modo bieco e disumano. 

Il neonato sottratto veniva affidato a genitori “idonei” a crescerlo, essendo conformi e fedeli al regime Franchista, sotto tutti i suoi aspetti: politico, sociale e religioso.

Il Dittatore era anche supportato dalla “Tesi del Morbo Rosso” formulata e divulgata da uno dei suoi consiglieri più fidati, lo psichiatra Antonio Vallejo-Najera (1889-1960).

Lo psichiatra, dopo aver soggiornato in Germania, entrando in contatto con ambienti dove già si discuteva di pulizia etnica e di superiorità tra le razze, aveva pensato bene di formulare la bislacca teoria “del Morbo Rosso” nella quale farneticava di valenze scientifiche che comprovavano una trasmissione di virus, come di una malformazione cerebrale, che colpiva solo e soltanto le persone dissidenti e/o Comuniste (Los Rojos – I Rossi).

Un virus per cui non esistevano cure e da cui se si veniva contagiati, non si poteva guarire. Un morbo da cui i bambini dovevano essere allontanati e protetti per evitare il “contagio della Ribellione”.

Il 17 Ottobre 1941 il Dittatore Franco modifica la legge sulle adozioni: i figli dei dissidenti incarcerati devono essere trasferiti negli orfanotrofi gestiti dalla Chiesa, dove viene accertata la loro “adottabilità” per le famiglie dichiaratamente conformi al regime, ovvero: cattoliche praticanti, eterosessuali e politicamente fedeli al sistema.

Ha così inizio il coinvolgimento della Chiesa in questa pagina nera della storia spagnola.

L’organizzazione funziona bene e la collaborazione tra alcuni organi di Stato e le strutture religiose ospitanti, continua anche dopo la caduta del Regime Dittatoriale avvenuta nel 1975. Quella che era nata come una mostruosa e terrificante macchina di propaganda franchista, si trasforma in un vero e proprio affare sempre più redditizio.

Spagna. Perché donarli, quando si possono vendere e guadagnarci?

Spagna. Avendo la possibilità di lavorare sia negli Ospedali che negli Orfanotrofi, le Suore acquisiscono un ruolo di assoluta rilevanza all’interno del sistema vizioso in quanto ricoprono incarichi di notevole spicco in quest’ingranaggio diabolico, che le vede in grado sia di riuscire a falsificare i certificati di nascita e morte dei bambini rapiti, sia di ottenere la fiducia delle vittime più facili da irretire per avere neonati da vendere.

Le ragazze madri per esempio, rappresentano l’offerta migliore in quanto nella maggior parte dei casi sono fortemente indigenti e (spesso) profondamente credenti. Un connubio perfetto verso il quale porgere una mano nel momento più delicato.

Molte volte le giovani non hanno un’istruzione adeguata e sono completamente sole; le famiglie le allontanano per la vergogna di vederle generare un figlio fuori dal matrimonio. Ma anche quando accanto alla donna incinta non manca una figura maschile pronta a diventare padre, è sempre la bassa estrazione sociale a spingere le religiose a selezionarli per il proprio abominevole scopo.

È come se la penuria li rendesse prede più facili da colpire e gestire. Altresì i Medici specialisti sono coloro che spesso attirano alcune tipologie di coppie – soprattutto quelle dichiarate sterili- ad avvalersi del loro aiuto per poter avere un bambino da crescere e amare (ovviamente dopo aver elargito un lauto compenso).

La rete d’illusione e bugie – creata e supportata da medici e figure religiose corrotte e senza scrupoli- riescono a convincere le partorienti prescelte a recarsi nei centri ospedalieri da loro gestiti, dove poi poter sottrarre il bambino appena nato in tutta tranquillità, semmai fingendo un travaglio iniziato bene ma finito in tragedia per rivenderlo subito dopo alla coppia pagante che rimaneva in attesa di avere il piccolo tra le proprie braccia. 

Molte volte le partorienti venivano sedate per impedire loro di avere ricordi utili da sfruttare per comprendere cosa fosse accaduto realmente negli attimi concitati successivi alla nascita del figlio.

Subito dopo si dava alla giovane madre l’infausta notizia, ostentando un certificato di morte completamente falso e mostrato (qualora la partoriente riuscisse ad avere la forza di vederlo) il corpo di un neonato sì deceduto, ma nella realtà non suo.

Durante lo scandalo e le inchieste molte tombe di bambini di cui si sospettava una dichiarazione di morte falsa, vennero fatte riesumare. In molti casi i sepolcri hanno restituito bare vuote, oppure con dei resti umani che non erano del bambino seppellito lì ufficialmente. Addirittura furono rinvenuti mucchi di pietre al posto dei corpi e persino l’arto inferiore di un soggetto adulto!!

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Spagna. Le voci “mute” delle madri dei “ninjos rubados”.

Spagna. Per molto tempo le voci delle madri dei “ninjos robados” (bambini rubati) hanno cercato di farsi sentire. Con forza, caparbietà e lungimiranza queste donne hanno provato a capire cosa fosse davvero successo subito dopo il parto, ma hanno sempre trovato un muro di silenzio e omertà. 

Non dimentichiamo che la Dittatura Franchista anche dopo la sua caduta lasciò impresse dietro di sé per molto tempo, l’eco della paura e del silenzio agevolando di fatto, situazioni abominevoli come questa.

Complice anche la “Ley de Amnistia” (Legge dell’Amnistia) approvata nel 1977, il commercio dei ninjos robados non trova forze giuridiche utili, per riuscire a essere fermato e condannato.

Intanto il tempo passa, altri bambini spariscono dalle culle per essere adagiati tra le braccia di sconosciuti che li hanno comprati.

C’è inoltre da sottolineare che attraverso alcune testimonianze dei genitori adottivi, si è scoperto che di frequente quest’ultimi venivano convinti che il bambino affidato loro, era stato dato in adozione perché la madre era una prostituta o entrambi i genitori erano tossici ed eroinomani; e che la quota versata era da ritenersi una “semplice” donazione. Sotto certi aspetti, sia i genitori adottivi che quelli biologici hanno subìto lo stesso trattamento fondato su falsità e puro profitto.

Di tutta la fitta rete di personaggi angoscianti che popolano questa triste vicenda risaltano tra gli altri, due nomi chiave che si sono fatti strada tra le oscure trame che avvolgono la vendita dei bambini in Spagna, e sono: il medico Eduardo Vela e Suor Maria Gomez Valbuena.

Il dottor Eduardo Vela, medico ed ex ginecologo della Clinica San Ramon di Madrid.

Durante la dittatura franchista diventa miliardario non lavorando solo in campo sanitario, ma facendo affari e fondando società vicinissime al regime.

Il suo nome campeggia tra gli altri perché – ancora oggi – rimane l’unico medico ad essere finito davanti a un Tribunale con l’accusa di sottrazione di minore. Quando nel 1982 partono le prime inchieste, Vela intesta tutto alla moglie che risulta essere milionaria mentre lui diventa nullatenente, autorizzando anche il cambio di nome alle società a lui intestate.

Nel 2010 inconsapevolmente, dichiara a dei giornalisti de ElmundoTV che si sono finti bambini adottati, di aver distrutto gli archivi nei quali venivano conservati i nomi delle madri biologiche e di quelli dei genitori adottivi. Eliminando di fatto, una delle possibilità più concrete per dare volti e abbracci alle vittime di questa tratta. Solo nel 2018, ormai 85enne, è stato accusato da Ines Madrigal – 49enne, dipendente delle ferrovie – di averla strappata dalle braccia della madre biologica, falsificando il suo atto di nascita.

Accuse inoltre supportate dalla testimonianza sconvolgente della madre adottiva della Madrigal, Ines Perez (ormai scomparsa). Quest’ultima dichiarò che: dopo aver scoperto di non poter avere figli naturali seguì il suggerimento del Dott.re Vela, il quale le propose d’inscenare una gravidanza nell’attesa di poter abbracciare un neonato che le avrebbe fornito lui stesso, con tanto di certificazione di nascita adeguata e conforme alla legge.

In sede processuale Vela depose dicendo di non ricordare molto dell’accaduto, visto che i fatti risalirebbero al 1969 e di non riconoscere neppure la sua firma sul certificato di nascita della Madrigal. 

“Non è la mia firma, non ricordo” poche parole che di nuovo spingono prepotentemente la verità verso recessi troppo oscuri da illuminare per rendere giustizia non solo alla storia di Ines Madrigal, ma anche a quella di tutti gli altri bambini passati tra le mani del ginecologo in questione che ha anteposto il suo giuramento, alla cupidigia del vile denaro.

Suor Maria Gomez Valbuena, definita il braccio destro di Vela.

Arrestata nel 2012 e ritenuta un elemento cardine nell’organizzazione che orchestrava i furti dei neonati, non ha mai contribuito alle indagini perché si è costantemente avvalsa della facoltà di non rispondere. Le Figlie della Carità di San Vincenzo Paolo II dichiarano che Suor Maria Valbuena – 87enne e già gravemente malata – muore il 22 Gennaio 2013.

Il certificato di morte della religiosa viene firmato dal Dott.re Enrique Berrocal Valencia, ma arriva in Tribunale con anomalie significative e inspiegabili ritardi. Le irregolarità di stesura e convalida del certificato di morte fanno insospettire molte persone sul reale decesso della Suora.

In finale sarebbe l’ennesimo certificato alterato e falsificato che condurrebbe al suo nome. Nonostante i sospetti e le reali incongruenze sulle certificazioni presentate, il processo contro Suor Maria viene chiuso e archiviato, lasciando però lo spiraglio di una riapertura qualora nuovi indizi conducessero all’acquisizione di prove e di indagati.

Quello che rimane impresso accanto ai nomi del dottor Vela e di Suor Maria è che la compromissione di tutta questa narrazione non macchia solo la sfera religiosa, ma anche quella etica e morale.

Spagna. La storia non si ferma e travalica i confini spagnoli

Spagna. Nel 2011 lo sconvolgente documentario targato BBC conduce la storia a un’altra verità agghiacciante: molti neonati sono stati ceduti a coppie residenti all’estero, portando di fatto la storia ad allargarsi a macchia d’olio, anche fuori dai confini del Paese Spagnolo.

La legge sulle adozioni:
Solo nel 1987 con la Legge sull’adozione viene garantita ai bambini la giusta e doverosa protezione dello Stato e della Pubblica Amministrazione, durante tutto l’iter utile al processo d’adozione. Inoltre nel 1996 una legge che attua una protezione giuridica del minore decreta il diritto del bambino adottato, di poter conoscere i propri genitori biologici. Autorizzando di fatto tutte quelle persone che, nel dubbio, vogliono provare a scoprire se sono stati sottratti alle proprie famiglie biologiche o meno.

Sotto molti aspetti il silenzio continua ad aleggiare su questa storia infame. A tutt’oggi la Conferenza Episcopale Spagnola non rilascia alle autorità preposte le agende personali di Suor Maria, dove sarebbe facilmente possibile ricollegare ai nomi dei genitori biologici e adottivi quella dei bambini rubati, così da poter finalmente districare molta di questa matassa, ponendo fine alla crudeltà dell’opera perpetrata anche in nome di Dio.

Dopo aver narrato il genocidio culturale attuato nelle Residential Schools in Canada (articolo qui), speravo fosse difficile incontrare di nuovo nella narrazione di avvenimenti storici di tale complessità e portata queste figure religiose. Mi sbagliavo…

Tra i sinonimi della parola Madre c’è quello di Mamma, ma anche quello di Sorella – come appellativo evocativo che si premette ai nomi delle Suore.

L’accostamento in questo caso, mette i brividi. Non si può pensare di commettere crimini simili, accostandoli al nome di Dio.


Fonti:

  • The Vision: “La storia segreta di come le suore abbiano nascosto la vendita di migliaia di bambini in Spagna”
  • El Diario Vasco: ”El certificado de defunción de sor María levanta sospechas sobre su muerte”
  • La Stampa: ”Spagna, inchiesta BBC: migliaia di neonati rubati durante il franchismo”
  • Prealpina: ”Spagna, al via primo processo sui “neonati rubati” del franchismo”
  • L’indro: “ Spagna: il business dei bambini rubati”
  • Il Giornale.it: “Il medico che rapiva i bambini, così la Spagna processa i fantasmi del suo regime”
AMELIA SETTELE

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Ugo Iginio Tarchetti, scapigliatura and more

(Tarchetti) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Persone e Storie e Pillole di cultura

Tarchetti breve biografia dello scrittore. Iginio (a volte chiamato anche Igino) Ugo Tarchetti nacque a San Salvatore Monferrato, nei pressi della città di Alessandria, il 29 giugno del 1839.

Morì a Milano il 25 marzo del 1869 a nemmeno trent’anni compiuti.

Fu scrittore e poeta, nonché giornalista e imprenditore editoriale, attività per la quale si trovò a proporre al pubblico un proprio periodico, Il Piccolo giornale, ma senza successo.

Come giornalista collaborò con testate come Il gazzettino rosaIl giornale per tuttiIl pungoloLa settimana illustrata e Rivista minima.

All’anagrafe venne registrato con il nome di Igino (o Iginio) Pietro Teodoro Tarchetti ma si firmava con il nome Igino.

Dal 1864 aggiunse anche lo pseudonimo Ugo in onore del Foscolo.

Compì il suo corso di studi fra Casale Monferrato e Valenza Po, arruolandosi assai presto nell’esercito.

Partecipò già dal 1861 ad alcune campagne contro il brigantaggio nel Sud Italia nel neonato Regno d’Italia.

Del Tarchetti si narra, nelle cronache dell’epoca, che fosse un bell’uomo, alto oltre un metro e ottanta (una statura ragguardevole per quei tempi), dal volto ovale, naso dritto e intensi occhi azzurri.

Sicuramente un uomo che si faceva notare per il suo aspetto fisico e che era capace di attirare l’attenzione del gentil sesso scatenando non di rado grandi passioni nei suoi confronti.

Prova ne sia che nel 1863, in quel di Varese, il Tarchetti ebbe una relazione sentimentale con Carlotta Ponti che ci è stata tramandata dalle lettere del suo epistolario.

Nel 1864 Iginio Tarchetti si trasferì a Milano dove ebbe modo di entrare in contatto con l’ambiente della Scapigliatura.

In particolar modo con Salvatore Farina di cui divenne un grande amico, quasi un fratello si narrava.

Alla fine del 1865 venne inviato a Parma a seguito del suo incarico di impiegato al commissariato militare.

Nella città ducale conobbe una parente di un suo superiore (tale Carolina o Angiolina, le fonti sono discordi in merito).

Carolina era una donna malata di epilessia e che si diceva fosse ormai prossima alla morte.

Tarchetti si invaghì subito di questa donna, sebbene non fosse particolarmente bella, forse attratto dai grandi occhi neri e le trecce color ebano.

O più probabilmente, com’egli ebbe a scrivere, il desiderio di consolarla e di rendere meno miserevole la sua fine lo spinse verso la donna.

La relazione che s’instaurò fra tale Carolina (o Angiolina) e il Tarchetti creò grande scandalo all’epoca.

Pare certo che fu proprio ispirandosi a lei che tratteggiò il personaggio di Fosca nell’omonimo romanzo del 1869.

Proprio alla fine di quell’anno (il 1865) Iginio Tarchetti abbandonò la vita militare per problemi di salute e si trasferì in modo definitivo a Milano.

Città dove aveva già risieduto l’anno precedente e dove aveva scritto Idee minime sul romanzo e il romanzo (di scarso successo) Paolina.

Entrambi i testi furono pubblicati sulla Rivista minima in quell’anno.

Sino alla sua morte, avvenuta nel 1869, il Tarchetti visse e lavorò a Milano, frequentando gli ambienti culturali meneghini.

In particolar modo il salotto culturale della Contessa Clara Maffei.

Sebbene il soggiorno milanese sia durato davvero poco (poco più di tre anni in definitiva), fu davvero intenso dal punto di vista letterario e giornalistico nonostante fosse malato di tisi.

Tarchetti morì il 25 marzo del 1869 in seguito a una febbre tifoide nella casa del suo amico fraterno Salvatore Farina.

Amico con il quale aveva condiviso già dal 1864 gli ambienti della Scapigliatura milanese.

Fu sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano e solo in un secondo tempo la salma venne trasferita e tumulata nel cimitero di San Salvatore Monferrato.

Le cronache dell’epoca narrano che la donna malata di epilessia di cui si era perdutamente innamorato a Parma nel 1865.

Carolina o Angiolina quale che fosse il suo nome, non solo gli sopravvisse, ma onorò la sua memoria recapitando fiori sulla sua tomba il 1° novembre di ogni anno.

Tarchetti

Tarchetti. Attività letteraria

Tarchetti fu sicuramente uno dei più importanti esponenti della Scapigliatura milanese.

Movimento che cominciò a frequentare dal 1864 durante il suo primo soggiorno milanese quando conobbe l’amico fraterno Salvatore Farina.

Il Tarchetti fu senza dubbio un anticonformista, malinconico e preda di fantasie macabre (che hanno poi dato vita ai racconti fantastici).

I suoi scritti spaziano dai romanzi ai racconti, dalle poesie agli articoli giornalistici.

Scrisse opere di critica sociale (spesso a supporto dell’antimilitarismo) ma anche racconti ispirati ai grandi del tempo come Edgar Allan Poe e Ernst Thomas Amadeus Hoffmann.

Autori dai quali attinse il gusto per il macabro, l’abnorme e il patologico (oggi noi lo chiameremmo horror).

Il suo capolavoro fu però il romanzo Fosca (ispirato alla sua amata Carolina/Angiolina) che venne terminato postumo.

Fu infatti ultimato dopo la sua morte dall’amico fraterno Salvatore Farina.

Tarchetti. Fra i romanzi ricordiamo

  • Paolina. Mistero del coperto del Figini: romanzo di critica sociale pubblicato sulla Rivista minima dal 1865 al 1866.
  • Una nobile follia (Drammi di vita militare), romanzo antimilitarista pubblicato su Il sole dal 1866 al 1867.
  • Fosca, romanzo incompiuto, terminato poi dall’amico Salvatore Farina, pubblicato prima sul Pungolo dal febbraio all’aprile del 1869 e poi in volume sempre nel 1869.

Tarchetti. Fra i racconti citiamo

  • Amore nell’arte, racconti sul tema dell’arte, della musica e dell’amore (1869)
  • Racconti fantastici, raccolta di racconti (1869)
  • Racconti umoristici, raccolta di racconti (1869)
  • Storia di una gamba, racconto lungo (1869)

Tarchetti. Altre pubblicazioni

  • Idee minime sul romanzo, pubblicato su Rivista minima nel 1865
  • L’innamorato della montagna, Impressioni di un viaggio (1869)
  • Disjecta, raccolta postuma di poesie (a cura di Domenico Milelli, 1869)

Romanze

  • L’amore sen va – L’amore sen viene, versi di Iginio Ugo Tarchetti, musica di Francesco Paolo FrontiniA. Tedeschi.
  • Non me lo dir, versi di Iginio Ugo Tarchetti, musica di Francesco Paolo Frontini (1878)

Traduzioni

  • L’amico comune (Our Mutual Friend) di Charles Dickens, 1868 (prima traduzione italiana)

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