Il telefono del vento. The phone online with Death!

Il telefono del vento. The phone online with Death!

(telefono del vento) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

In Giappone – nel giardino privato di Bell Gardia – c’è una cabina telefonica per “parlare” con i morti.

Esistono molti luoghi nel mondo dove commemorare i defunti.

Uno dei posti più inconsueti e originali si trova in Giappone, nella città di Ōtsuchi.

Un centro abitato a Nord Est dell’isola, nella prefettura di Iwate e più precisamente in un giardino privato chiamato Bell Gardia.

Il monumento si chiama 風の電話 kaze no denwa, il cui significato è Telefono del Vento.

SOMMARIO

È una cabina telefonica che spicca tra la bellezza naturalistica del giardino.

Cabina al cui interno è installato un vecchio modello di telefono in bachelite, privo di linea, attraverso il quale si può “dialogare” con i morti.

Il visitatore che decide di entrare nella cabina, può intrattenere una chiacchierata onirica o rimanere nel più assoluto silenzio.

Cullato dall’abbraccio del vento che sferza e rafforza l’atmosfera preziosa e unica dell’opera.

La cabina è di legno bianco e pannelli di vetro, mentre il telefono è sistemato sopra una mensola.

Accanto vi è un quaderno, dove gli ospiti possono lasciare un segno del loro passaggio: una firma, un pensiero.

Il telefono del vento. Ma chi ha ideato il Kaze no Denwa e perché?

Il Telefono del Vento è stato progettato nel 2010 da Itaru Sasaki, progettista di giardini che ha creato l’opera dopo la scomparsa di suo cugino.

La cabina telefonica è diventata, col tempo, una sorte di portale immaginario.

Dove poter parlare con i defunti, in un dialogo chimerico e profondamente commovente.

Alzando la cornetta si può immaginare di colloquiare con chiunque si desideri, anche con sé stessi, come e soprattutto con chi non è più con noi.

Sognare di dialogare attraverso quel telefono privo di linea è come pregare e sperare.

Ponendosi dinnanzi a uno dei sentimenti più profondi e laceranti che caratterizzano l’essere umano: il dolore del lutto.

Il Telefono del Vento permette di credere almeno per un istante di poter essere in contatto con chi non ci è più accanto.

il telefono del vento

Il telefono del vento. La storia del Telefono del Vento è intensa, importante e nasce perché

Itaru Sasaki dopo il grave lutto che colpì lui e i suoi parenti, immaginò un luogo dove poter continuare a “parlare” col suo familiare deceduto.

E per farlo pensò a due elementi soltanto: il telefono e il vento.

Poiché i miei pensieri non potevano essere trasmessi su una normale linea telefonica, volli che fossero portati dal vento.” (I. Sasaki)

Il Signor Sasaki era sicuro che la sua opera l’avrebbe aiutato a metabolizzare il dolore.

Ma quello che non poteva minimamente immaginare, accadde appena un anno dopo.

Un evento di tali proporzioni da cambiare le venture – e le vite – di migliaia di persone come della storia stessa del Telefono del Vento.

Tanto da trasformandolo in un vero e proprio luogo di pellegrinaggio, ancora più toccante e mistico.

L’evento che modifica per sempre la storia che vi sto narrando avviene l’11 Marzo 2011, quando un potentissimo terremoto colpisce il Giappone.

Il telefono del vento. Il terremoto e maremoto di Tōhoku

Nord del Giappone – Isola di Honshū – 11 Marzo 2011, ore 14:46 (le 6:46 in Italia).

La terra inizia a tremare.

Un terremoto di magnitudo 9.1 matura e deflagra a largo delle coste dell’isola più grande della nazione nipponica.

Dopo pochi minuti sopraggiunge un mostruoso tsunami che colpisce e devasta soprattutto le coste della regione di Tōhoku

Il sisma avvertito, risulta essere da subito violentissimo e viene catalogato come uno dei cinque più potenti mai registrati nella storia del mondo dal 1900.

Oltre a essere, ancora oggi, quello più forte mai rilevato in Giappone.

La scossa è intensa ma lontana dalla terra ferma pertanto, l’elemento che porta distruzione e morte è il maremoto generatosi pochi istanti dopo.

Onde alte più di 10 metri si abbattono sulla costa con una tale violenza da spazzare via ogni cosa.

Oltre 15.000 vittime

Solo a Tōhoku le vittime sono più di 15.000… trasportati via da un’onda irrefrenabile che ha lacerato vite, sogni e realtà.

La centrale nucleare di Fukushima esplode.

L’enorme onda creatasi a seguito del terremoto, arriva a danneggiare la struttura in modo irreparabile.

La tragedia verrà ricordata proprio con il nome della regione più colpita, Tōhoku.

La conta delle vittime lascia il mondo attonito, dinnanzi agli occhi dei sopravvissuti si palesa la potenza di una natura devastante e distruttrice.

Un terremoto che scuote letteralmente il mondo e ferisce pesantemente il Giappone.

Morte, disastro e dolore restano le conseguenze più tangibili di questa catastrofe.

È proprio a seguito di questo evento che Itaru Sasaki decide di aprire il suo giardino privato ai familiari e agli amici delle vittime dello tsunami.

telefono del vento

Dialogare con i cari scomparsi

Mette a loro disposizione la cabina e lascia che utilizzino il Telefono del Vento per cercare un dialogo non solo con i propri cari scomparsi.

Ma anche con quel dolore sordido e martellante che li stringe ormai in una morsa senza fine e che lui conosce bene.

Da quel momento, grazie anche al passaparola, il Telefono del Vento diventa una vera e propria meta.

In più di 12 anni, le persone che hanno visitato il luogo sono state davvero molte, le stime ne dichiarano circa 30.000!

Il telefono del vento. Silenzioso cordone umano a Bell Gardia

Un rispettoso e silenzioso cordone umano ha continuato ad andare a Bell Gardia, oramai ribattezzata “la collina del telefono del vento”.

Per potersi immergere in quell’atmosfera profondamente toccante che si annida tra le sferzate di vento e il bianco candore della cabina.

Chi ha visitato l’opera di Sasaki ha intrapreso un viaggio personale intenso e significativo.

L’opera del garden designer è stata ripresa in altre parti del mondo.

Con lo stesso significato e lo stesso rispetto verso il dolore di chi deve convivere con la pesante assenza di una persona cara che non c’è più.

Cercando rifugio e sollievo tra i fili di un telefono privo di linea e l’ascendente della natura.

Non posso chiudere quest’articolo senza citare il bellissimo romanzo di Laura Imai Messina: “Quel che affidiamo al vento” (edito da Piemme).

Romanzo grazie al quale ho conosciuto questa storia e che vi suggerisco di leggere almeno una volta nella vita.

In fondo era quanto ci si augurava per tutti, che un posto dove curare il dolore e rimarginarsi la vita, ognuno se lo fabbricasse da sé, in un luogo che ognuno individuava diverso.” Laura Imai Messina

Ricordatevi sempre che il tempo batte ritmi incessanti e non arresta mai il suo scorrere.

Mentre il Telefono del Vento continua a custodire migliaia di parole, lacrime e ricordi, cullato e protetto da una natura maestosa. E da sentimenti che non muoiono mai.


Fonti:

  • Sempre dire Banzai: “Il telefono del vento: in Giappone esiste una cabina per “parlare” con i morti
  • Internazionale: “Il telefono del vento per parlare con le vittime dello tsunami”
  • IO Donna: “In Giappone c’è una cabina telefonica per parlare con i defunti”
  • Wikipedia: “Telefono del vento”
  • Studio Bellesi: “Il giardino di Bell Gardia e il telefono del vento”
AMELIA SETTELE

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Hei Zhy Gou, la foresta del non ritorno

(Hei Zhy Gou) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

In Cina, nella regione del Sichuan, si trova uno dei luoghi più misteriosi e inquietanti del pianeta. È la foresta di Hei Zhy Gou, soprannominata anche: “Foresta del non ritorno”.

SOMMARIO

Gli abitanti delle zone limitrofe la chiamano “La terrificante valle della morte”.

Se tradotto, il suo significato dovrebbe essere: “La gola del Bambù nero”.

Hei Zhy Gou. La foresta del non ritorno

Immersa in una gola profonda, avvolta quasi perennemente da fitti banchi di nebbia la foresta del non ritorno”, è affascinante ma nefasta.

Sembra sospesa nel tempo, lontana dalla realtà e sprofondata in un mondo parallelo.

Da anni si narra che nessun essere umano sia capace di esplorarla e … di tornare indietro sano e salvo!

Hei Zhy Gou

Numerose sparizioni infatti, accompagnano la storia di questo labirinto di bambù.

Si ritiene che la “foresta del non ritorno” sia letteralmente in grado d’inghiottire uomini e veicoli.

Coraggiosi esploratori e persino alcuni aerei che sorvolavano la zona sono svaniti nel nulla, appena entrati in contatto con la foresta.

Sembra proprio che sia maledetta e non permetta a niente e nessuno di trovare la via del ritorno e di poter quindi, raccontare cosa (o chi) si celi al suo interno.

Hei Zhy Gou. La foresta non restituisce neppure i cadaveri

Quando il fitto fogliame viene inondato dal calore del sole, la foresta appare nei suoi ancestrali colori vivi ed intensi.

I profumi della natura rendono l’area un vero e proprio polmone verde, fulcro e culla di pace, spennellato di bruma e sinistro incanto.

Ma di notte tutto cambia.

Il buio padroneggia nelle sue tinte più cupe e impenetrabili, donando al luogo un’aurea spaventosa.

Antiche leggende e angoscianti storie hanno come protagonista proprio la foresta.

Hei Zhy Gou si trasforma infatti in un antro intricato e pericoloso.

Da anni, chi si addentra tra i suoi sentieri non fa più ritorno.

Hei Zhy Gou. Abitata da un enorme drago a due teste

La sua impenetrabilità non ha mai reso concrete e sicure le notizie inerenti la sua formazione e storia.

Alcune leggende locali giustificano i misteri che aleggiano sulla foresta raccontando che, sia abitata dal Grande Uccello”.

Uno spaventoso mostro mitologico descritto come un enorme drago a due teste.

Certo è che – essendo il Drago un importante simbolo della cultura cinese, protagonista da millenni di storie e miti – nessuno ha mai cercato di scoprire cosa dominerebbe davvero “la foresta del non ritorno”, anteponendo a qualsiasi spiegazione logica, il rispetto della forza della natura e delle antiche tradizioni che hanno reso questo lembo di terra, uno dei luoghi più sventurati e maledetti che l’uomo conosca.

Fonti:
  • Travelglobe: La foresta di Hei Zhy Gou, tra bambù e misteri
  • Urban Post: Cina: Foresta di Hei Zhy Gou, la valle dei bambù dalla quale nessuno torna
  • Curiosando708090.altervista: Luoghi misteriosi: Foresta di Hei Zhy Gou (Cina)
AMELIA SETTELE

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Mangia Peccati, una figura storica tra leggenda e oblio

(Mangia Peccati) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

Chi tra di voi è senza peccato scagli la pietra per primo.” Vangelo secondo Giovanni: 8.3

Tra il XVIII e il XIX secolo si concretizzò la figura simil-religiosa del Mangia Peccati – Sin Eater – che aveva il compito di assorbire le colpe del defunto, attraverso l’assunzione di cibo sul letto del moribondo.

SOMMARIO

Irrimediabilmente quando si narra del Mangia Peccati si è costretti a pensare agli ultimi istanti di vita di una persona.

Perché per chi crede, i peccati commessi devono essere redenti prima di esalare l’ultimo respiro, così da permettere alla propria anima un sicuro viaggio per l’aldilà. 

Mangia Peccati. Le origini

Per molto tempo, in alcune parti del mondo il Mangia Peccati ne ha rappresentato un valido aiuto.

Figura emblematica e ormai dai contorni poco nitidi, ha preso principalmente piede nell’entroterra Inglese e in alcune zone del Galles e della Scozia.

Soprattutto nei luoghi più isolati e remoti.

Sulle origini del Mangia Peccati ci sono poche notizie, ma quelle più concrete datano la sua nascita nel periodo del basso medioevo.

Anche se alcune fonti sono portate a dichiarare che nasca insieme al Cristianesimo stesso.

Certo è che se la storia lo ha oramai relegato solo nelle nicchie dei ricordi.

In alcune zone del pianeta (come l’Alabama) rappresenta ancora oggi il protagonista di cupe storie folkloristiche.

Mangia Peccati. Chi era?

Il Mangia Peccati – o Sin Eater, in Inglese – la maggior parte delle volte, era un uomo che veniva chiamato dalla famiglia del moribondo sul letto di morte per praticare questo rito.

Rito nel quale le pietanze offerte al Sin Eater rappresentavano i peccati commessi dal defunto.

Mangia Peccati

Il Mangia Peccati assumeva quelle pietanze e l’anima del defunto si alleggeriva, permettendo un trapasso sereno.

Un rito e una figura quella del Sin Eater che incarnano in modo chiaro e tangibile l’importanza per gli uomini, di affrancarsi l’anima dai peccati, restando altresì coscienti di gravare su quella di un altro.

Sicuramente non era un lavoro ambito da molti. 

Nella maggior parte dei casi, erano uomini poveri ai margini della società che – davvero per fame – intraprendevano questo mestiere.

Mangia Peccati. Se non era possibile la confessione o l’estrema unzione

Quando l’estrema unzione o l’ultima confessione non erano possibili, ci si rivolgeva al Sin Eater.

Sicuramente nelle zone rurali era più facile usufruire dei servigi di un Mangia Peccati, rispetto alle grandi città dove, invece, era più facile reperire un sacerdote per una “classica” estrema unzione o ultima confessione.

La maggior parte delle volte il Sin Eater – veniva contattato dalla famiglia del morente – e sotto un minimo compenso raggiungeva l’uomo in fin di vita al suo capezzale, per ascoltare le ultime confessioni.

In quel lasso di tempo veniva anche preparato il pasto frugale, che il Mangia Peccati ingeriva o sul letto del defunto o addirittura sul suo petto. 

Ascoltando e mangiando, permetteva all’anima del morente di lasciare le spoglie terrene, alleggerita dalle colpe commesse e dichiarate e di trovare pace in eterno.

Il defunto aveva l’anima redenta, ma il Mangia peccati allo stesso tempo appesantiva la sua, aggravandola di oscure e impenetrabili memorie.

Qualora fosse arrivato troppo tardi, ad accoglierlo sul letto ci sarebbe stato solo il pasto simbolico e il silenzio.

Nella maggior parte dei casi, il pasto era composto dal pane in quanto simbolicamente associato all’anima dei defunti.

Anche se al Sin Eater si poteva offrire anche del sale e un piatto di stufato o minestra.

Mangia Peccati. Un reietto con l’anima pesante

La confessione come il parco convivio erano fasi di un vero e proprio rituale, intervallato da preghiere sussurrate e arcaiche formule:

The ease and rest of the soul are gone” (La facilità e il riposo dell’anima se ne sono andati) Brand’s popular Antiquities of Great Britain

Un cerimoniale che ha i toni ancestrali, che si perdono nella notte dei tempi…

Intorno alla figura del Mangia Peccati, aleggia la costante comprensione di quanto sia stata dura ricoprire questo ruolo.

Solitamente era un uomo senza famiglia che per pochi penny (di solito non più di 4) e un tozzo di pagnotta, non esitava a venire a patti con i peccati degli altri, per poter avere lo stomaco pieno.

Era considerato un vero professionista, ma allo stesso tempo messo agli angoli dalla società del tempo. 

Un reietto con l’anima pesante e la solitudine come compagna.

Infatti il tempo e le superstizioni, avvicinarono la figura del Sin Eater alla stregoneria e al satanismo.

Un alone di mistero e maledizione aggravato anche dalla convinzione popolare che il Sin Eater fosse l’unico in grado d’impedire ai morti viventi di risorgere!!

Una figura storica e religiosa che è stata presente sino agli inizi del XX secolo.

Mangia Peccati. Richard Munslow l’ultimo

L’ultimo Mangia Peccati che la storia ci riporti è Richard Munslow (1838 – 1906) che onorò il suo compito nella Contea di Shropshire sino agli inizi del ‘900.

Il suo menù, contrariamente alla tradizione, prevedeva: torta alla ricotta, fondi di carciofi e trippa… senza mai dimenticare i sei pence previsti per la prestazione.

Al contrario di molti suoi colleghi e predecessori, ad avvicinare Munslow alla professione di Mangia Peccati, non fu l’indigenza o la fame, ma il lutto per la perdita di quattro suoi figli.

Di cui tre, nella stessa settimana.

Profondamente turbato da questa drammatica esperienza, scelse di diventare un Sin Eater per vivere questa professione, come forma di lutto.

Della figura enigmatica del Mangia Peccati restano poche concrete testimonianze.

Il silenzio e la solitudine che ne hanno rappresentato gli elementi più concreti, ci permettono di immaginarlo come un triste compagno che segue la Morte nelle sue peregrinazioni, tra un’anima e l’altra.

Capace ancora di accogliere il mistero degli ultimi istanti di vita dell’essere umano, tra sussurri e briciole di pane.

Fonti:

  • Blog. Necrologi: “Sin Eater: colui che mangia i peccati”
  • Altroevo: “Il Mangia Peccati, la storia e la leggenda del mangiatore di peccati”
  • The Weird Side: “Il Mangia Peccati e l’Accabador”
AMELIA SETTELE

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Messico: acqua potabile razionata, ma c’è sempre la Coca Cola!

(Messico) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e Storie

La città di San Cristobal de las Casas fu fondata nel 1528 e nel periodo coloniale spagnolo divenne capitale del Chiapas. Il Chiapas è uno dei 21 Stati che costituiscono la Repubblica Messicana e attualmente è una delle zone più povere della Nazione. 

A San Cristobal de las Casas in Messico l’acqua potabile è razionata, ma c’è sempre la Coca Cola!

SOMMARIO

Una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN

Messico. Una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN

San Cristobal spesso viene citato perché luogo dove il 1° Gennaio 1994 durante l’occupazione dei sette comuni, il Sub Comandantemarcos – rivoluzionario, ex portavoce dell’esercito Zapatista di liberazione nazionale (EZLN) movimento armato clandestino di stampo anarchico, indigenista e anticapitalista – lesse la prima dichiarazione della Selva Lacandona, attraverso la quale proclamava i diritti del proprio movimento e dichiarava guerra al Governo Messicano colpevole tra l’altro, di aver firmato il trattato TLC (Tractado de Libre Comercio – Trattato di libero commercio) con il Canada e gli Stati Uniti d’America.

Purtroppo oggi San Cristobal de las Casas risalta agli onori della cronaca per avvenimenti che la coinvolgono e che sotto alcuni aspetti rispecchiano una realtà preannunciata e combattuta dal movimento EZLN, il quale lottava con forza e vigore per la propria libertà e contro ogni forma di colonialismo e sfruttamento.

Messico

Noi siamo il prodotto di 500 anni di lotte: prima contro la schiavitù, poi, durante la Guerra d’Indipendenza contro la Spagna capeggiata dai ribelli, poi per evitare di essere assorbiti dall’espansionismo Nord Americano; poi ancora per promulgare la nostra costituzione ed espellere l’Impero Francese dalla nostra terra; poi la dittatura di Porfirio Diaz ci negò la giusta applicazione delle Leggi di Riforma, il popolo si ribellò e emersero i suoi leader come Villa e Zapata, povera gente proprio come noi, ai quali, come noi, è stata negata la più elementare preparazione; così possono usarci come carne da cannone e saccheggiare le risorse della nostra patria e non importa loro che stiamo morendo di fame e di malattie curabili, e non importa loro che non abbiamo nulla, assolutamente nulla, neppure un tetto degno, ne’ terra, ne’ lavoro, ne’ assistenza sanitaria, ne’ cibo, ne’ istruzione, che neppure abbiamo diritto di eleggere liberamente e democraticamente i nostri rappresentanti politici, ne’ vi è indipendenza dallo straniero, ne’ vi è pace e giustizia per noi e per i nostri figli. Ma oggi noi diciamo BASTA!”

Comando Generale dell’EZNL – Selva Lacandona, Dicembre 1993

Quello che di sicuro sta accadendo agli abitanti della cittadina è preoccupante e indica una forma di “colonialismo” silente e astuta, rendendo i motti del movimento sopracitato solo echi lontani e indistinti perché, nella cittadina esiste e persiste un grande problema, l’acqua potabile – un bene primigenio ed essenziale per la vita sulla terra. 

Della sua indispensabile importanza ne avevo già scritto nel mio articolo: Flint Town e i suoi eterni veleni”, ma purtroppo m’imbatto sempre più spesso in storie in cui questo elemento primordiale ed essenziale per tutti, rischia di venire meno.

Proprio come in questa vicenda che non smette di stupire.

Messico

A seguito di una rapida urbanizzazione, di strutture idriche obsolete e di pericolosi cambiamenti climatici che ormai sono fautori di disastri immediati e a lungo termine, la cittadina di montagna ha visto diminuire vertiginosamente le scorte idriche utili alla vita quotidiana.

L’acqua potabile che confluisce nelle tubature della rete idrica cittadina, dev’essere sistematicamente razionata.

I pozzi non coprono il fabbisogno della popolazione, decretando una crisi che sembra possedere tutti i requisiti per avere un apogeo irreversibile.

Le condizioni che detta questa crisi idrica implicano e coinvolgono aspetti della vita sociale, politica e sanitaria dell’intera comunità di San Cristobal de las Casas tali da non poter essere sottovalutati.

L’acqua viene razionata anche perché gli impianti di depurazione non hanno le caratteristiche utili e conformi per filtrare l’approvvigionamento adeguato alle necessità del popolo.

La situazione è avversa a tal punto che gli abitanti di San Cristobal preferiscono attendere l’arrivo dei camion cisterna per avere un minimo di scorta nel proprio domicilio, mentre per dissetarsi acquistano bottiglie su bottiglie di… Coca Cola!

Messico. Ma non sarebbe più semplice acquistare – ma soprattutto bere – acqua confezionata, invece della Coca Cola?

Ebbene, NO! Perché l’acqua imbottigliata ha un costo maggiore rispetto alla famosa bevanda simbolo del capitalismo mondiale.

Messico

Le ripercussioni che agevolano (almeno all’apparenza) il budget familiare, si ripercuotono però su quello della salute.

Tant’è che le ricerche effettuate sul reale consumo di Coca Cola che dilaga tra gli abitanti di San Cristobal, hanno evidenziato un preoccupante aumento delle malattie metaboliche.

Soprattutto diabete e obesità.

Inoltre è estremamente inquietante il coinvolgimento dei bambini che sin dalla più tenera età compromettono le proprie condizioni fisiche sorseggiando Coca Cola, anziché limpidi e salutari bicchieri d’acqua.

Le stime sull’abuso della bevanda lasciano sgomenti.

La gran parte della popolazione di San Cristobal ingerisce un quantitativo giornaliero pari almeno a 2 lt di Coca Cola al giorno. 

Da uno studio effettuato sulla popolazione si è accertato che tra il 2013 e il 2016 l’aumento di casi di diabete è stato pari al 30%.

La maggior parte delle famiglie hanno al loro interno almeno un consanguineo affetto da questa patologia. Il diabete è la seconda causa di morte nel centro abitato nella zona meridionale del Messico.

È lecito e logico pensare subito: ma se c’è una crisi idrica tale da dover razionare la fornitura d’acqua alla popolazione, da dove arriva l’acqua utilizzata per preparare la Coke?

Messico. La risposta si racchiude in un’unica parola: Femsa.

La FEMSA – Fomento Económico Mexicano, S.A.B. de C.V. – è una multinazionale messicana fondata nel 1890 da cinque imprenditori (Isaac Garza, José Calderón Penilla, José A. Muguerza, Francisco Sada Gómez e Joseph M. Schnaider) che diedero inizio a quest’avventura, aprendo il birrificio “Cuauhtémoc Ice and Beer Factory”, a Monterrey, NL, Messico. 

Da quel momento in poi la FEMSA non si è più fermata. È diventata la multinazionale messicana che su scala mondiale vanta impegni nel settore della ristorazione e delle bevande.

È la seconda maggior azionista della Heinken International ed è la più grande azienda imbottigliatrice di Coca Cola al mondo.

Ora cari lettori, dopo aver compreso e chiarito in grandi linee cos’è l’azienda FEMSA, torniamo a dare il giusto spazio al vero protagonista di questa storia: il popolo assetato.

Un’intera comunità che – anche attraverso la divulgazione di pubblicità ingannevoli – continua a bere Coca Cola come se fosse acqua; mentre l’acqua continua a essere razionata e mal distribuita.

Messico

Ma se l’acqua scarseggia, come riesce la FEMSA ad imbottigliare galloni e galloni di Coca Cola da far arrivare in quantità decisamente importanti a San Cristobal de las Casas, risparmiando a tal punto da far diventare più economico una confezione di Coca Cola, rispetto a una d’acqua?

Semplice, l’impianto locale della Coca Cola – sempre di proprietà della FEMSA – ha autorizzazioni utili per accedere alle riserve d’acqua della zona da poter utilizzare per essere depurate, addolcite e alterate fino a trasformarsi nella bevanda dal leggendario marchio rosso e bianco.

Messico, l’acqua alla multinazionale ma non ai cittadini!

La multinazionale può e ha accesso all’acqua, arrivando a poter utilizzare circa 300.000 litri al giorno da fonti idriche locali. La comunità di San Cristobal no.

I residenti del paesino situato tra le Montagne della Sierra Madre contestano, si lamentano anche e soprattutto quando si parla della salute sempre più compromessa della loro comunità. La FEMSA attraverso i suoi rappresentanti legali nega ogni responsabilità.

Imputabilità che rigetta attraverso dichiarazioni come questa, pubblicate dal New York Times, attribuite a uno dei dirigenti della FEMSA: “ha respinto le critiche che le bevande della compagnia abbiano un impatto negativo sulla salute pubblica. I messicani, ha detto, possono avere una propensione genetica verso il diabete“.

È imperativo che non ometta quanto sia ormai diffuso l’utilizzo delle bevande gassate e zuccherate come la Coca Cola (chiamate refrescos) su tutto il territorio Nazionale Messicano.

Messico, solo la punta dell’iceberg

Sotto certi aspetti, la storia di San Cristobal de Las Casas è solo la punta dell’iceberg perché negli anni il Messico ha scalato in modo celere la triste classifica dei Paesi consumatori di Coca Cola.

È secondo solo agli Stati Uniti d’America.

Resta il fatto che mentre gli abitanti di San Cristobal continuano ad attendere che l’acqua torni a poter essere utilizzata in modo concreto e giusto, la FEMSA continua a imbottigliare e a distribuire la famosa bevanda – frutto di una ricetta ancora oggi segreta – in quantità anche superiori alle reali necessità del luogo, mixando al sapore dolciastro e frizzantino famoso in tutto il mondo, l’amaro retrogusto di un subdolo capitalismo.

Fonti:

  • Ciboserio: “Messico: intera città beve Coca Cola, perché manca l’acqua”
  • Ytali: ”Chiapas, senz’acqua ma con la Coca Cola”
  • L’Indro: “Il governo Messicano ha sete di Coca Cola”
  • Femsa.com
  • SBS News: This small town in Mexico is addicted to Coca-Cola. It also grapples with a deadly disease.
  • Voices: San Cristobal de las Casas, the Mexican town that drank more coke than water
AMELIA SETTELE

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Alga Marimo e la sua leggenda. Discover the secrets in the world

(Marimo) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

La storia che sto per raccontarvi affonda – letteralmente – le sue radici in un lago. Protagonista di questa leggenda è una simpatica alga a forma sferica dall’intenso colore verde scuro, comunemente conosciuta col nome di Marimo.

SOMMARIO

Marimo in lingua giapponese significa biglia (Mari: biglia, Mo: pianta acquatica), appellativo datole intorno al 1820 dal botanico giapponese Tetsuya Kawakami.

Scientificamente appartiene alla famiglia delle Cladophoraceae, il cui nome per inciso è: Cladophora Aegagropila.

Marimo. Alga palla

L’alga palla oltre al suo intenso colore, è formata da sottilissimi e morbidi fusti che assorbono nitrati e nitriti presenti nell’acqua, convertendoli in ossigeno.

Proprio durante il processo di fotosintesi clorofilliana- se osservata alla luce – si possono notare piccole sfere di ossigeno attaccate ai fusti, che vengono emesse dall’alga.

Durante la fotosintesi l’alga palla si lascia fluttuare nell’acqua, come se danzasse. Questo ondeggiare ipnotico prende il nome di “Danza del Marimo”, particolare che la rende ancora più affascinante. 

Ha una crescita lentissima che non supera i 5mm l’anno e la grandezza dei suoi esemplari di solito si aggira tra i 3 e i 10 cm.

È una pianta acquatica davvero longeva, può arrivare a vivere oltre 200 anni!

Marimo. Tesoro Naturale Giapponese

Solo tre laghi al mondo, hanno l’habitat perfetto per ospitare le colonie di questa alga e si trovano in: Giappone, Estonia e Islanda. Vive sui fondali temendo la luce diretta del sole e non paventa le temperature fredde.

Marimo

Fu scoperta intorno alla prima metà del 1800.

Proprio dal botanico che le diede anche il nome – Tetsuya Kawakami – sulle sponde del lago Akan.

Il suo eccezionale rinvenimento, divenne ben presto d’interesse nazionale.

Nel 1921 il Governo Nipponico dichiarò il Marimo Tesoro Naturale Giapponese” e specie protetta.

Inaugurando anche un museo dedicato all’alga palla e alla sua storia.

Troppe persone spinte dalla curiosità e dalla leggenda ad esso legata, si riversarono sulle rive del lago per cercare di appropriarsi (anche in modo non legale) di un esemplare di questa alga.

Procurando di fatto, un grave danno all’ecosistema delle colonie, che vennero colpite duramente anche dalla costruzione di una centrale idroelettrica poco distante dallo specchio d’acqua, sempre in quegli anni dei primi del 900.

Intorno alla metà del secolo scorso invece, proprio gli abitanti del luogo compresero il grave pericolo in cui riversavano le colonie si attivarono per proteggerle e salvaguardarle il più possibile.

Venne così istituto anche il Festival del Marimo.

Famoso e celebrato, ancora oggi (pandemia permettendo).

Marimo. Simbolo di buon auspicio

Da sempre il Marimo oltre alla sua importanza nell’ecosistema dei luoghi dove si sviluppa, è simbolo di buon auspicio e di amore eterno.

Viene donato solo a chi si vuole bene – infatti vista la sua secolarità, le famiglie lo tramandato di generazione in generazione – come se fosse un talismano in grado di favorire la longevità e l’abbondanza.

È considerato un potente portafortuna e sembrerebbe riuscire a esaudire i desideri di chi lo dona e di chi lo riceve.

Marimo

Sopra ogni cosa, a quest’alga è legata una leggenda giapponese bellissima e struggente che voglio raccontarvi e inizia, così:

C’erano una volta due giovani perdutamente innamorati. Le famiglie di entrambi però, osteggiavano il loro rapporto. Un giorno la coppia decise di fuggire lontano, ritrovandosi sulle sponde del Lago Akan. Sulle rive del lago i due ragazzi si giurarono amore eterno e i loro cuori si trasformarono in due Marimo, così da poter vivere uno accanto all’altra per l’eternità…”

La leggenda dei due innamorati ha permesso a questa pianta di diventare il simbolo di chi si ama. 

Il Marimo infatti viene donato solo a chi si vuole veramente bene, perché emblema di un rapporto profondo e duraturo.

marimo

Marimo. Regole per il mantenimeno

Adottare o ricevere in dono un Marimo, comporta il rispetto di semplici e basilari regole:

  • Mantenerlo sempre in un recipiente rigorosamente di vetro e immerso nell’acqua
  • Non esporlo alla luce diretta del sole e ospitarlo in un luogo fresco
  • Cambiare l’acqua ogni due settimane circa, aggiungendo di tanto in tanto dell’acqua frizzante per agevolarne “la danza” e la fotosintesi clorofilliana.
  • Pulire il contenitore con attenzione per rimuovere (eventuali) residui di calcare
  • Rigirare saltuariamente e con delicatezza il contenitore come a simulare il ritmo delle onde.

Le semplici e basilari regole per una buona manutenzione del proprio Marimo, hanno facilitato l’arrivo dell’alga palla in molte case (compresa la mia!).

Certo è che questa pianta acquatica è entrata nell’immaginario collettivo per molteplici fattori, dalla leggenda a cui è legato, alla dolce e ammaliante danza che dona splendore al suo “abbraccio” con l’acqua e al perenne ricordo di un amore immortale.

Offrendo un tocco di originalità che cattura e incanta sia chi lo dona e chi lo riceve…


Fonti:
  • Casa Natura: L’alga degli innamorati
  • Inspirando: Marimo, l’alga palla che arriva dal Giappone
  • Fatti strani: La soffice alga marino si sviluppa…
AMELIA SETTELE

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Roopkund, il lago degli scheletri

(Roopkund) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

Per narrarvi i misteri di questa storia dovete accompagnarmi sull’Himalaya e più precisamente nello Stato Indiano di Uttarakhand. Qui si trova il Lago Roopkund, denominato anche il lago degli scheletri e dei misteri.

SOMMARIO

Situato nel ventre del massiccio di Trishul, è di origini glaciale e si trova a circa 5020 metri di altitudine.

Pur essendo stato classificato come lago, per la capienza e la profondità (che non supera i 3 metri) ha le caratteristiche più vicine a quelle di uno stagno. 

La zona è completamente disabitata e impervia, la natura domina il sito tra ghiaccio, rocce e … scheletri.

La particolarità del Lago è nell’essere custode di centinaia di ossa umane e arcani enigmi.

Quando il ghiaccio si scioglie, il Lago riporta alla luce centinaia di ossa.

È in questa capsula di ghiaccio, quasi perennemente abbracciata dalla neve, che riposano decine e decine di antichi resti umani.

Roopkund. La scoperta

Sebbene si abbiano notizie sullo Skeleton Lake – il lago degli scheletri – già dal IX secolo, l’ufficialità della scoperta viene datata nel 1942 quando il ranger Hari Kishan Madhwal scoprì i resti ossei che fluttuavano sul pelo dell’acqua.

Con il passar dei giorni e con il maggiore scioglimento del ghiaccio, il lago continuò a restituire altri resti umani, insieme a schegge di lance, manufatti in legno e anelli, brandelli di tessuto umano e capelli, vestiti e pantofole di cuoio.

Roopkund

Le autorità Britanniche – visto il periodo storico – inizialmente ipotizzarono che fossero cadaveri di soldati Giapponesi morti durante il tentativo di valicare i confini Indiani, per cercare di attuare una vera e propria invasione.

Terrorizzato da tale supposizione, il Governo Inglese avviò un’indagine inviando degli esperti sul luogo della scoperta.

Quest’ultimi decretarono che le ossa erano molto antiche e non potevano appartenere ai soldati nipponici.

Da quel momento il lago divenne il fulcro di misteriose storie, scarse prove concrete e la certezza della sua unicità.

Un cimitero tra i ghiacci che per circa 300 persone – senza un motivo apparentemente sensato – fu luogo di morte tra gelo e pietre.

Perché si erano recate in questo posto così proibitivo e pericoloso?

Come erano decedute?

Dal 1950 ai giorni nostri sono state diverse le spedizioni organizzate da team di studiosi sul lago Roopkund.

Esplorazioni volte ad analizzare i resti, per trovare risposte realistiche così da poter dissipare l’alone di mistero e folklore che aleggia su questo sito, così unico e particolare.

Roopkund. Le diverse supposizioni

All’inizio si ipotizzò che tutti i cadaveri rinvenuti fossero morti nello stesso momento e per la stessa causa. 

Poi si suppose che il lago Roopkund era stato per millenni una fossa comune, che aveva dato eterno riposo alle vittime di un’ipotetica epidemia, o di un suicidio collettivo.

Altri invece sostenevano che il Lago fosse un luogo sacro, utilizzato per sacrifici religiosi.

Le vittime di tali riti venivano condotte sin lassù per immolarsi durante le cerimonie.

Altre tesi spingono a credere che il Lago sia invece solo un luogo di passaggio per arrivare a compiere il pellegrinaggio al Nanda Devi – considerata una delle montagne più sacre dell’India.

Sin dalla notte dei tempi, a questa montagna sono legate storie demologiche e potenti energie, in grado di richiamare molti pellegrini per visitarla. 

L’atmosfera che aleggia sul Nanda Devi (in italiano: Dea dispensatrice di Beatitudine- Dea della Gioia) sembrerebbe donare concentrazione e vigore utili per la meditazione.

Il Governo Indiano non ha mai rilasciato facilmente autorizzazioni per scalarla e/o per compiere il pellegrinaggio alla montagna, a causa dei rapporti tesi con la Cina.

È necessario ricordare che questa barriera Himalayana è considerata un territorio molto delicato, perché confina a Nord con l’altopiano del Tibet e a Sud con la pianura del Gange.

Roopkund. Cosa scoprirono gli studiosi

Certo è che per i circa 300 resti umani ritrovati, poche erano le certezze e troppe le supposizioni. Utili e concreti sarebbero stati solo e soltanto gli studi e le ricerche sui reperti.

Purtroppo c’è da dire che oltre i ricercatori- in tutti questi anni – spesso si sono succeduti anche curiosi poco attenti che, per toccare i resti che l’acqua ha restituito alla storia, hanno alterato di fatto la zona dei ritrovamenti. 

Inoltre diversi scheletri sono stati utilizzati per creare delle inquietanti composizioni ossee (ancora visibili accanto alle sponde del lago) e altri, depredati. 

Queste alterazioni portate avanti da mani inesperte non solo hanno concretamente influenzato lo scenario originale del lago, ma anche influenzato negativamente il risultato su alcuni esami effettuati.

Roopkund

Analisi che sono emerse alterate proprio a causa di queste manipolazioni avvenute sulle spoglie.

Tanto da compromettere la conservazione naturale del sito stesso.

Dopo questa doverosa precisazione posso tornare a rivelarvi cosa gli studiosi sono riusciti a scoprire sugli scheletri.

Si è rinvenuto che in realtà nel lago riposavano due gruppi etnici distinti. Separati non solo per razza, ma anche per periodo storico, infatti:

  • sul primo gruppo di scheletri analizzati, gli studi hanno affermato che provenivano dall’Asia Meridionale (India, Bangladesh, Nepal) e incontrarono la morte nei pressi del Roopkund tra il VII e il X secolo. (Solo uno scheletro venne identificato come appartenente alla zona più Orientale dell’Asia – Giappone, Cina, Indonesia)
  • Mentre il secondo gruppo proveniente dal Mediterraneo (Grecia, Iran e Creta) sopraggiunse nei pressi del lago per incontrare il proprio triste destino, tra il XVI e il XIX secolo.

In entrambe le compagnie erano presenti sia donne che uomini.

Sono tutti morti nello stesso luogo, ma con uno “scarto temporale” di circa 1000 anni gli uni dagli altri.

Le analisi hanno rilevato anche l’assenza di agenti patogeni utili per confermare un’epidemia.

Quello che invece è sopraggiunto all’attenzione dei ricercatori sul “gruppo Asiatico” sono state delle lesioni riportate solo sul cranio e sulle spalle degli scheletri.

Compatibili con dei colpi “tondeggianti” sferrati dall’alto.

Una tesi che si è andata concretizzando nel tempo e ipotizza che la causa del decesso sia attribuibile a una violenta grandinata.

In pratica sulle teste di questi uomini, sarebbero letteralmente piovute dal cielo delle schegge di ghiaccio. 

Un profluvio di proporzioni impressionanti tanto fulmineo e veloce, da riuscire a ferirli fino a ucciderli.

Una tempesta di grandine che li avrebbe investiti e portati a una morte lenta e dolorosa.

Anche perché impossibilitati a trovare un rifugio utile per aver salva la vita.

Roopkund. La leggenda himalayana

A impreziosire questa teoria c’è un’antica leggenda tramandata tra le donne dell’Himalaya.

Leggenda che narra della furia di una Dea (Nanda Devi) che decise di castigare alcuni estranei che stavano profanando il suo Santuario.

Sussurrò l’anatema maledetto: “Farò piovere la morte su di loro”.

Scatenando così un temporale funesto con chicchi di pioggia duri come frammenti di ferro.

Casualità o strane coincidenze?

Quello che accomuna la leggenda con la tesi dichiarata dagli scienziati, non fa che rendere questo luogo ancora più enigmatico e oscuro.

Luogo dove il ghiaccio, il silenzio e il mistero custodiscono gli scheletri e le loro verità…


Fonti:

  • Storie Notturne Insieme: “Roopkund, il lago degli scheletri”
  • Fatti strani: “Il Lago Roopkund, l’inquietante specchio d’acqua colmo di scheletri…”
  • Focus: “I misteri di Roopkund”
  • Krishnadas: “Il Santuario del Nanda Devi”
  • Montagna.tv:” Roopkund. Il misterioso lago degli scheletri che non…”
AMELIA SETTELE

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Centralia: la vera Silent Hill brucia da 60 anni

(Centralia) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

Tra gli amanti dei videogiochi a tema horror survival, Silent Hill rappresenta uno delle serie videoludiche più apprezzate di sempre.

Il prodotto immesso sul mercato nel 1999 è riconosciuto come un vero e proprio Cult e viene ritenuto anche il perfetto antagonista di un altro classico del genere: Resident Evil, un ulteriore successo nel settore dei videogiochi.

Nel corso degli anni entrambi i titoli, hanno avuto trasposizioni cinematografiche di successo, l’ultima in ordine di tempo è il reboot di “Resident Evil” uscito al cinema nel 2021.

Mentre dal videogioco di Silent Hill sono stati prodotti e commercializzati oltre ai film anche: fumetti, libri e romanzi. Insomma, un vero e proprio multimedia franchise.

Centralia. Ma cosa ha decretato il successo di Silent Hill?

Prodotto da Konami, è una delle poche serie in cui il protagonista è una “persona qualunque”. Il giocatore ne prende il dominio, facendolo muovere tra le strade, le morti e le maledizioni della nefasta cittadina di Silent Hill.

Centralia

Il gameplay di Silent Hill è molto semplice: si deve cercare di sopravvivere in questa ambientazione profondamente horror-gotica, provando a risolvere enigmi mentre si lotta per non farsi uccidere dalle forze del male che albergano tra gli edifici di questo lugubre centro urbano.

Uno degli elementi fondamentali che hanno decretato il successo della serie è, senza ombra di dubbio, la scenografia.

L’ambientazione infatti regala al giocatore (come allo spettatore del lungometraggio) uno scenario degno dei peggiori incubi: una tipica cittadina americana abbandonata e costantemente avviluppata nella nebbia più fitta che cela mistero, morte, segreti ed esecrazioni.

Centralia. E se Silent Hill esistesse davvero?

Ebbene sì cari lettori, Silent Hill non è solo frutto della fantasia degli ideatori del videogame! Si trova nello stato della Pennsylvania – più precisamente nella Contea di Columbia – e porta il nome di Centralia.

Ha una particolarità che l’ha resa spettrale e unica allo stesso tempo, Centralia è avviluppata nelle spire di un incendio che divampa e la consuma da 60 anni.

Centralia. La storia di Centralia

Centralia venne fondata intorno al 1750 da un gruppo di coloni, con il nome di Centerville. Essendo già presente nella zona un villaggio omonimo si decise – anche per ovviare a problemi di natura burocratica – di modificare il nome della cittadina in Centralia.

Durante la sua costruzione, i giacimenti minerari furono subito rilevati, ma le miniere iniziarono a essere aperte e sfruttate solo intorno al 1850.

È in questo periodo, infatti, che Centralia inizia a crescere e a fiorire a livello economico e demografico.

Centralia

La capienza dei giacimenti minerari è molto estesa e importante tanto da autorizzare la costruzione di ben due linee ferroviarie per il trasporto del carbone estratto.

Nel corso dei decenni la città cresce, sino ad arrivare al 1960 con un conteggio demografico di circa 2000 abitanti.

Si poteva usufruire di un servizio postale, almeno due istituti bancari avevano le rispettive sedi in città.

Molti anche i negozi e gli Enti scolastici utili per la crescita e la formazione dei giovani -ad eccezione dell’Università.

Tre cimiteri, Chiese di culti diversi e ben due teatri.

Si sviluppa un centro cittadino di tutto rispetto che – grazie alle miniere – garantisce lavoro e prosperità.

Di pari passo all’accrescimento sociale e urbano di Centralia, si estende anche il suo sottosuolo. Epicentro del vero tesoro che la contraddistingue.

Si fa sempre più consolidata e ben collegata la rete di tunnel in grado di unire i diversi giacimenti aperti, per l’estrazione del carbone.

Centralia rappresenta la tipica cittadina americana degli anni 60 che assicura occupazione, servizi e tranquillità.

Sino al 1962, quando divampa un incendio in una delle miniere ormai in disuso che comprometterà per sempre la storia di questo luogo.

Centralia. L’incendio

Dell’incidente che modificò e compromise ineluttabilmente le sorti di questa cittadina, si conosce solo la datazione: 1962.

La storia narra che, su autorizzazione del comitato cittadino, un gruppo di volontari dei vigili del fuoco gettò dell’immondizia all’interno di una miniera chiusa e desueta, appiccando un incendio per poter smaltire il materiale.

Quello che non venne valutato fu che la portata delle fiamme all’interno di una miniera in disuso sì – ma comunque collegata alle altre – poteva alimentare senza sforzo un imponente incendio nel sottosuolo, adibito all’estrazione del carbone e ai tunnel di collegamento per il trasporto in superficie del minerale.

Una combustione che inizialmente sembrò essere domata dai pompieri cittadini, ma che in realtà continuò a fiammeggiare, arrivando anche nelle altre gallerie e nelle altre miniere.

Tutto il sottosuolo di Centralia fu investito dal calore alimentato dal suo stesso tesoro minerario.

Il terreno inizialmente coinvolto dalle fiamme raggiunse le zone adiacenti, ricche di antracite.

L’antracite è un carbone puro, con una presenza minima di acqua, zolfo, ossigeno e azoto.

Ha un elevato stadio di carbonizzazione, con una cospicua presenza di carbonio al suo interno).

                          …Una conflagrazione che aprirà voragini alle fiamme dell’Averno

Le strade iniziarono ad aprirsi con crepe e baratri, eruttando fumo e calore.

Vennero inghiottite nel sottosuolo case private, edifici pubblici e auto. La vegetazione iniziò a seccarsi e morire, rendendo il paesaggio della cittadina sempre più tetro.

Molti abitanti fuggirono da quello che sembrava essere uno scenario spettrale. Centralia ardeva dalle sue fondamenta, modificando per sempre il suo aspetto e la sua storia.

Centralia. Due tentativi per spegnare l’incendio

Tentarono in diversi modi e in molte occasioni di spegnere l’incendio, ma non ci riuscirono in nessun modo. 

Non tutti i cittadini decisero di lasciare subito le proprie abitazioni.

Alcuni resistettero fino a quando anche i fumi esalati dalla terra violata e sconquassata dall’incendio sottostante, non divennero tossici e pericolosi per i pochi abitanti rimasti. 

Ma due vicende distinte e separate portarono alla fuga degli ultimi abitanti rimasti:

  • La prima, nel 1979 quando: il proprietario di una pompa di benzina, avvertì un significativo aumento del calore del carburante dentro una delle cisterne di conservazione sotterranee. Misurandolo, arrivò a costatare che la temperatura del liquido sfiorava i 77°!!!
  • La seconda, nel 1981 quando: il dodicenne Todd Tomboski, residente a Centralia, sprofondò dentro una voragine apertasi proprio sotto i suoi piedi. Fortunatamente le sue grida vennero ascoltate da un passante che riuscì a tirarlo fuori, giusto in tempo. Se Todd fosse rimasto ancora per pochi minuti incastrato in quel gorgo, sarebbe sicuramente deceduto per le esalazioni tossiche e l’estremo calore sprigionato dal terreno.

Queste due particolari cronache riportate nella storia della città, ci annunciano che di lì a poco, la cittadina rimase praticamente deserta.

Le autorità imposero l’evacuazione rendendo a tutti gli effetti Centralia inesistente. 

Gli ultimi abitanti rimasti non superano la decina e nel corso degli anni, hanno avuto un permesso speciale per continuare a vivere lì; con l’obbligo di non poter lasciare in eredità a niente e nessuno, né la propria abitazione né la propria terra.

Centralia. La morte della città

Centralia è destinata a morire, ammantata tra i fumi densi e nocivi. Le voragini sul terreno hanno continuato a proliferare come ferite aperte in un paesaggio che è sempre più desolato e spaventoso. 

Gli studi effettuati hanno dichiarato che l’incendio si protrae su 1600 mq di terreno e potrebbe continuare a rimanere vivo per oltre 250 anni!

Centralia

C’è un’unica strada accessibile – che funge da entrata e uscita- la “Graffiti Highway” (denominata così per i disegni e le incisioni colorate lasciate dai turisti a ricordo del loro passaggio) che continua a condurre avventurieri e curiosi a visitare una delle città fantasma più famose d’America.

Tutte le altre vie di comunicazioni sono state chiuse e gli altri percorsi serrati con cumoli di terra.

Oltre alle poche abitazioni ancora in piedi, sopravvive alla tempra del calore una Chiesa, utilizzata tutt’oggi per le funzioni religiose. 

Dal 2002 Centralia non ha più un proprio codice d’assegnazione postale, in pratica NON ESISTE!

Centralia. Misteriose presenze

Aleggiano su Centralia non solo i fumi di un incendio perennemente vivo, ma anche molte storie che la vedono protagonista di inquietanti vicende come quella narrata nel 1998 da Ruth Edderson, il quale dichiarò di aver visitato la città insieme ad alcuni suoi amici e di aver avvistato due bizzarri individui vestiti da minatori, apparire e svanire dinnanzi ai loro occhi, avvolti in un fumo denso e pesante.

Altri ancora affermano con sicurezza di aver avvertito presenze inquietanti durante il loro passaggio a Centralia, riportando sensazioni di turbamento e smarrimento.

Quel che è certo, è che la storia di questa cittadina opprime e ammalia nello stesso tempo. E mentre risuona l’eco del fuoco che brucia e del silenzio che aleggia, posso solo sussurrare:

Benvenuti a Centralia…Benvenuti a Silent Hill…

Fonti:

  • Paesi Fantasma: Centralia, la vera Silent Hill
  • GreenMe: Centralia, la città di Silent Hill esiste davvero
  • Travel 365: L’incendio perenne di Centralia: la vera Silent Hill
  • Orgoglio Nerd: La città di Silent Hill esiste davvero in Pennsylvania
  • La scimmia pensa: La vera Silent Hill che brucia perennemente da 60 anni
  • Wikipedia: Centralia
AMELIA SETTELE

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