Marie Laveau, la Regina del Voodoo di New Orleans

Marie Laveau, la Regina del Voodoo di New Orleans

(Marie Laveau) Articolo scritto da Amelia Settele per Persone e StorieFatti e società, Pagine Svelate.

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 5 – Marie Laveau, la Regina del Woodoo di New Orleans” su Spreaker.

New Orleans è considerata uno dei luoghi più affascinanti del mondo, epicentro di magia e mistero. La sua storia come la sua cultura e il suo folklore sono unici e a impreziosirli ci sono personaggi di notevole rilevanza documentata, come la protagonista di cui sto per raccontarvi: Madame Marie Laveau, la Regina del Voodoo.

SOMMARIO

Nel corso del tempo la Voodoo Queen è diventata l’emblema di avvenimenti pervasi di sortilegi e arcani segreti che continuano a stregare e sedurre.

Ambasciatrice di una religione che da sempre ammalia e intimorisce.

Una donna tanto atipica per i suoi tempi quanto – sotto molti aspetti – pioniera dei nostri, che della Religione Voodoo resta ancora oggi una delle sue più grandi divulgatrici.

Marie Laveau. La Religione Voodoo

Il Voodoo (o Voudu, Vudù) è una delle religioni più antiche al mondo.

La parola Voodoo deriva da “Vodu”, termine africano che significa “Spirito” o “Divinità”.

Siamo abituati ad associare a questo culto immagini tetre e ambigue, ma il Voodoo è a tutti gli effetti una Religione con i propri liturgie, divinità e riti.

Nasce in Africa e viene diffusa in America con l’arrivo degli schiavi, prendendo piede soprattutto nel Sud.

Ha caratteri esoterici e sincretici.

Per culti sincretici s’intendono tutte quelle confessioni tradizionali che con l’arrivo del colonialismo, entrano in contatto con il cristianesimo, unendo e mescolando elementi tradizionali con i riti cristiani.

Il Voodoo è un culto che si basa sulla venerazione della natura e dei propri antenati.

Vi è una profonda convinzione che il mondo dei vivi coesista con quello dei morti, in un connubio perfetto per il quale fanno da tramite i “Loa” – Spiriti guida che agevolano la convivenza.

Le cerimonie Voodoo sono riti intrisi di gesti e ricordi primitivi, mentre l’idea del peccato è molto semplice.

Chi pratica questo credo dovrebbe sempre compiere buone azioni, qualora non se ne compissero si verrà puniti.

Il Voodoo nato e praticato in Africa “sfuma” e si differenzia da quello che viene professato in America.

È meno contaminato dalla cultura colonialista per cui è stato boicottato e tacciato come un credo volto solo alla stregoneria e alla magia nera.

Ma non è così, infatti il Voodoo ha divinità solari e pacifiche da adorare, che prendono il nome di Loa Rada.

Mentre il Voodoo maggiormente conosciuto è quello nato dalla sofferenza che accomuna e si manifesta nella corrente americana, influenzata dal dolore degli schiavi neri deportati negli Stati Uniti.

La disperazione causata dalle deportazioni e dalla schiavitù generò il culto oscuro, le cui divinità prendono il nome di Loa Petro e sono vendicativi, dispotici e furiosi.

Marie Laveau. I tre elementi principali del Voodoo

Il Sacrificio: è la base di ogni rito e pratica.

Ogni sacrificio è volto a dare energia utile al Loa prescelto, per arrivare a manifestarsi sulla terra.

Nella maggior parte dei casi, il sacrificio si compie con carne animale, ma sono bene accetti anche elementi come tabacco e caffè.

I Veve: sono i simboli attraverso i quali si contattano i Loa.

La Possessione: avviene da parte del Loa verso il Sacerdote (o Sacerdotessa) che l’ha invocato.

A seconda delle esigenze e richieste si deve invocare il Loa specifico.

Quelli più comunemente conosciuti sono:

Papa Legba: Custode dei due mondi.

È una divinità che viene dal culto Rada (quindi solare) e spesso viene raffigurato come un vecchietto con cilindro per cappello e un bastone.

È colui che “apre la porta” e permette ai vivi di parlare con le divinità.

È patrono della stregoneria.

Baron Samedi: Signore della Morte. Re dell’aldilà e della vita oltre la vita.

A lui, prima o poi tutti si prostreranno.

È il Signore della magia nera e il mito degli zombie è legato al suo nome.

È in assoluto il Loa più temuto e rispettato.

Maman Brigitte: La Regina del Cimitero. Moglie di Baron Samedi, è l’unica Loa di carnagione chiara.

È un Loa potente e la tradizione narra che ami cantare e ballare nei cimiteri, dove protegge solo determinati sepolcri contraddistinti da croci particolari.

Met Kalfou: la traduzione del suo nome in Creolo è Signore dei Crocicchi.

Questo Loa è la parte oscura di Papa Legba. Entrambi sono l’uno complementare all’altro.

È lui il vero padrone della magia e governa tutti gli spiriti della notte e le anime perse.

Se Papa Legba è luce, lui è tenebra.

Se Met Kalfou è guerra, Papa Legba è pace.

Se Papa Legba è un anziano arzillo, Met Kalfou è un giovane sfacciato e affascinante.

Erzulie: Signora dell’amore, del fascino e della sensualità.

Protegge i sogni e le speranze di ognuno, ha tre mariti ma conserva la sua verginità in quanto il suo amore trascende la fisicità.

La lista dei Loa è in continua evoluzione e cambiamento.

A parte le principali Divinità – alcune appena citate- anche le anime degli uomini e delle donne meritevoli, possono essere elevati a divenire Loa.

Madame Marie Laveau, Regina del Voodoo è una di loro.

Marie Laveau. La storia

Madame Laveau è stata una maga, religiosa e praticante del Voodoo della Louisiana.

Nata a New Orleans probabilmente il 10 Settembre 1784 – anche se alcune fonti, dichiarano che fosse il 1801 – da una fugace relazione tra il ricco proprietario terriero Charles Laveau e Margherite H. D’Arcantel, una schiava liberata.

Le informazioni più concrete sulla vita di Madame Marie non sono molte e non tutte troppo attendibili, ma di sicuro si sa che la giovane è la prima persona della sua famiglia a nascere libera.

Vive con i suoi parenti nel Vieux Carrè – il quartiere francese – una delle zone più antiche della città.

Ha un carattere forte, risoluto e volitivo.

Sguardo incisivo, occhi d’ebano, pelle ambrata e lunghi capelli neri e ricci a incorniciarle il volto.

Capelli che crescendo amerà raccogliere in eccentrici e colorati ritagli di stoffa, trasformando queste acconciature in un vero e proprio segno di riconoscimento.

Grazie al supporto del padre riesce a imparare a leggere e scrivere.

Viene Battezzata con Rito Cristiano, ma sin da bambina la madre la indottrina alla pratica dei riti Voodoo, che Marie professerà per tutta la vita.

Marie Laveau

Si sposa giovanissima, appena diciottenne, convola a nozze con un uomo creolo haitiano di nome Jacques Paris.

Dal 1824 dell’uomo si perdono le tracce, pur non essendoci nessun certificato di morte a confermare la sua fine, Jacques sembra essere letteralmente svanito nel nulla.

Marie inizia a farsi chiamare Vedova Paris.

Della loro relazione resta solo il certificato di matrimonio, conservato nella Cattedrale di San Luigi.

Marie e Jacques hanno avuto due figlie, anch’esse scomparse inspiegabilmente.

Dopo la misteriosa fine del suo primo matrimonio, inizia una lunga relazione con Louis Cristophe Dumesnil de Gliapon uomo statunitense di origini francesi che commercia terre e schiavi.

I due staranno insieme per tutta la vita, ma non potranno mai sposarsi a causa delle dure leggi contro la mescolanza razziale.

Leggi introdotte nel XVII secolo nell’America Settentrionale e rimaste in vigore in molti Stati sino al 1967.

Imponevano attraverso una serie di atti legislativi la segregazione razziale e l’impossibilità di unirsi in matrimonio, come ad avere rapporti sessuali, tra persone appartenenti a razze diverse.

Si narra che Marie e Louis Cristophe insieme hanno quindici figli.

Solo due di loro, Marie Eloise Eucharistie e Marie Philomène raggiungeranno l’età adulta e avranno un ruolo nell’eredità religiosa post mortem della Regina del Voodoo.

Anche la scomparsa di Louis Cristophe, come quella del primo compagno di Marie, è avviluppata nel più totale mistero.

Madame Laveau è una donna che non si dedica solo alla famiglia e alle pratiche del Voodoo, ma è anche un’imprenditrice.

Avvia un’attività di parrucchiera a New Orleans che, sin da subito, riscuote particolare consenso.

Tra le sue clienti non mancano le donne benestanti e più influenti della città che, si sussurra, non richiedano solo acconciature o trattamenti di bellezza, ma anche servizi extra come: pozioni e incantesimi.

Marie accetta le richieste sia dalle persone meno abbienti che dagli esponenti più in voga di New Orleans.

Leggenda vuole che nel retrobottega della sua attività offrisse tali servigi, concretizzando la sua figura di Sacerdotessa Voodoo.

Il deposito adibito a tali pratiche è anche il luogo dove custodisce le sue formule e i suoi ingredienti utili per creare gli amuleti e le pozioni, come: erbe, pietre, capelli e ossa.

Svolge i suoi riti Voodoo non solo nel retrobottega, ma anche in altri tre ambienti distinti e specifici:

  • La sua casa a St. Anne Street, dove officia cerimonie e riceve i clienti.
  • Sulle rive del Lago Pontchartrain – a Bayou St. John– dove si svolgono le cerimonie d’iniziazione ai nuovi adepti del Voodoo. Eventi importanti e affollati nei quali Madame Marie viene sempre affiancata da un Re Voodoo.
  • Congo Square, una piazza pubblica divenuta nel tempo ritrovo domenicale per schiavi ed ex schiavi, dove Marie Laveau incontra la sua gente per pregare.

In ogni occasione, Madame Marie manifesta il suo carisma e le sue capacità tanto che le voci inerenti alla sua magia definiscono i suoi sortilegi talmente potenti, da riuscire ad arrivare a colpire non solo il malcapitato, ma anche le sue future generazioni!

Ad accompagnarla nei suoi riti c’è sempre l’amato serpente Zombie (in onore di una divinità Voodoo Africana).

La storia sussurra che a darle le giuste competenze e ad accrescere le sue capacità nella magia nera sia stato un ex schiavo, personaggio inquietante ed enigmatico passato alla storia con l’appellativo di Dottor John o “Re Voodoo” di New Orleans.

Marie Laveau. La Regina di New Orleans

Marie Laveau è una donna capace di divenire punto di riferimento di un’intera comunità, formata in maggior numero da creoli ed ex schiavi.

In lei vedono forza e capacità di aiutare il prossimo bisognoso, non tirandosi mai indietro.

Indubbio il suo fascino e la sua empatia soprattutto nei confronti degli ultimi, di cui ne diventa la paladina.

È rispettata e temuta in egual misura da tutta la comunità cittadina e lei sfrutta questa sua posizione anche per aiutare i più disagiati.

Riuscendo a tessere una rete concreta di supporto e aiuto per schiavi, ex schiavi e condannati a morte.

Madame Laveau è una Sacerdotessa fiera e preparata, che nasconde un animo nobile e volenteroso.

In molti però la paventano e cercano di ucciderla.

Si vocifera che persino il suo secondo compagno tentò di assassinarla, ma Marie riuscì a sventare l’attentato, lanciando una terribile maledizione:

[…] Durante la notte decine di persone affermarono di aver visto in strada un “branco di ombre mostruose” penetrare negli alloggi dove erano ospitate le guardie e la mattina seguente i 15 uomini furono trovati massacrati e con il collo spezzato; […] l’unica giustificazione che riuscirono a fornire le autorità della Louisiana fu che un orso fosse entrato nella stanza chiusa a chiave, al secondo piano e li avesse uccisi. Gli abitanti di New Orleans non ebbero dubbi: era opera della magia nera di Madame Laveau.

Marie Laveau. La morte

Come molti aspetti e periodi della sua vita, anche la morte di Madame Marie è avvolta nell’oscurità.

Alcune fonti ci dicono che sia morta nel 1835, a soli 41 anni.

Tesi mai del tutto accertata per la mancanza di documenti che ne attestino la veridicità.

Mentre secondo altri il trapasso delle Regina del Voodoo è databile il 15 Giugno 1881.

Fatto comprovato da un certificato di morte che attestava il decesso di Madame Marie Glapion Laveau alla veneranda età di 86 anni.

Ma anche dall’obituario pubblicato il giorno seguente sul quotidiano The New Orleans Daily Picayune che recitava queste parole: donna di grande bellezza, intelletto e carisma, che era anche devota, caritatevole e un’abile guaritrice con le erbe”.

In molti dichiararono di aver incontrato Madame Laveau nei giorni successivi alla sua (presunta) morte, alimentando il suo mito e il suo mistero.

Certo è che ancora oggi la sua tomba – che si presume possa essere quella sita nel più antico cimitero cattolico di New Orleans – al Saint Louis Cemetery numero 1, attiri migliaia di visitatori da tutto il mondo.

Anime inquiete che rendono omaggio al suo mito, lasciando segni concreti del loro passaggio come le tre X sulle pareti della Cappella, sperando che la Regina del Voodoo ascolti ed esaudisca le loro richieste.

Purtroppo non possiamo negare che la storia spesso releghi ai confini donne di questa caratura.

Madame Laveau, forse, ne è l’esempio più concreto.

Nata donna in un’epoca in cui la società, le influenze religiose e di costume non permettevano alle ragazze di poter immaginare un futuro diverso da quello già scritto, ghettizzandole tra obblighi e doveri.

Lei è un grido di libertà e di forza che neppure la storia è riuscito ad azzittire.

Permettendo all’eco che mescola e richiama ai canti di un culto atavico e immortale come quello di cui la Laveau fu fiera Sacerdotessa, di continuare a vibrare insieme al suo nome.


Fonti:

  • Site.Unibo: “L’anima mistica di New Orleans: Marie Laveau la Regina del Voodoo”
  • Satanisti la nostra verità: “Voodoo, storia e origine”
  • National Geographic: “Marie Laveau, la Regina Vudù di New Orleans”
  • Vanilla Magazine: “Marie Laveau, la vera storia della Regina del Voodoo di New Orleans”
  • Britannica: “Marie Laveau, Regina Vodou Americana”
AMELIA SETTELE

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Dyatlov, A Mystery Pass That Has Never Been Solved

(Dyatlov) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura

Russia, versante orientale dei Monti Cholatčachl’ – che in lingua Mansi (lingua obugrica parlata in Russia, nel distretto autonomo degli Hanti e dei Mansi) significa “Montagna dei Morti” – è nel freddo e nel silenzio di questo luogo che si dipanano gli inspiegabili eventi che vedono protagonisti nove escursionisti ritrovati privi di vita, nel 1959.

SOMMARIO

Solo più tardi il valico di montagna, palcoscenico della drammatica sciagura, verrà rinominato: Passo di Dyatlov”, in memoria del capo della spedizione Igor Dyatlov.

Quella che doveva essere un’escursione impegnativa e bellissima, si è tramutata in uno dei cold-case più inquietanti che la storia dell’alpinismo mondiale ricordi.

Dyatlov. Come inizia l’enigmatica storia

Il 23 Gennaio 1959 inizia il viaggio. 

Le notizie certe registrate prima dell’incidente, annotano che il 25 Gennaio la compagnia arriva in treno sino a Ivdel (città della Russia Siberiana Nordoccidentale).

Per poi spostarsi in camion fino a Vizhaj – l’ultimo distaccamento abitato.

Il 27 Gennaio il gruppo coordinato da Igor Dyatlov, prosegue l’escursione.

La comitiva è composta da esperti sciatori di cui otto sono uomini e due sono donne.

Dyatlov

Tutti provenienti dall’Istituto Politecnico degli Urali di Ekaterinburg (nove studenti e un professore di sport).

Affrontano un’escursione importante e ostica che li avrebbe dovuti condurre sino al Monte Otorten.

Il percorso scelto per quel periodo dell’anno è classificato di terza categoria ovvero, il più difficile.

Tra tutti i partecipanti solo uno si salva, in quanto un improvviso malore lo costringe a ritirarsi.

Il suo nome era Jurij Efimovič Judin, aveva 22 anni.

Si allontanerà dal gruppo il giorno dopo e sarà l’unico superstite.

Da quel momento la compagnia sarà formata da 9 membri.

Dyatlov. Un’esplorazione che sembrava tranquilla

Le macchine fotografiche, le cineprese e i diari ritrovati sul luogo del massacro sembrano dire qualcosa.

Testimoniano che il gruppo di escursionisti durante i primi cinque giorni di viaggio, aveva esplorato in totale tranquillità luoghi bellissimi e magnetici come: foreste e laghi ghiacciati.

Circondati da una natura vigorosa e polare. 

Il clima tra i viaggiatori era sereno e goliardico.

Nulla sembrava presagire quello che sarebbe accaduto.

Il 31 Gennaio arrivano sul bordo di un altopiano dove si preparano per iniziare la salita.

Organizzati al meglio, depositano anche scorte di cibo ed equipaggiamento validi da utilizzare durante il ritorno.

Il 1° Febbraio iniziano a percorrere il passo, ma una tempesta di neve intensa e minacciosa capace persino di disorientarli, li obbliga a deviare verso Ovest…

Verso la Montagna dei Morti.

Una tormenta che interromperà per sempre ogni tipo di comunicazione e notizia sul e dal gruppo.

Dyatlov. Le ricerche

Dyatlov aveva dichiarato che appena rientrati a Vizhaj avrebbe telegrafato alla loro associazione sportiva e alla famiglia.

Per rendere noto che la spedizione stava proseguendo senza problemi.

Mentre i giorni passavano, nessuno nell’immediato – vista la difficoltà dell’itinerario intrapreso e gli scarsi mezzi di comunicazione presenti a quel tempo- si allarmò.

Ma quando l’assenza di trasmissioni superò i giorni di ritardo accettabili e consueti, la preoccupazione portò anche i parenti dei ragazzi a sollecitare l’intervento dei soccorsi.

Interventi che vennero organizzati e fatti partire 25 giorni dopo. 

Inizialmente parteciparono alle ricerche solo volontari tra studenti e professori.

Più tardi vennero coinvolti l’esercito e la polizia che integrarono e supportarono le ricerche della comitiva anche con aeromobili.

Dyatlov. Il ritrovamento

È il 26 Febbraio quando viene ritrovata la tenda della comitiva, pesantemente compromessa e squarciata dall’interno.

Sin da subito si denota una anomalia in quanto l’accampamento – senza ragione logica alcuna – è collocato su un pendio ghiacciato e non nella foresta.

Come invece sarebbe stato più ideale e consono alle necessità del team.

Seguendo le numerose impronte che conducono verso il bosco – a pochi metri di distanza dal campo, sotto un albero di cedro – i soccorritori ritrovano i resti di un fuoco e i primi due cadaveri.

Sono quelli di Jurij Nikolaevič Dorošenko e Jurij Alekseevič Krivoniščenko.

Entrambi i corpi sono privi di vestiario (indossavano solo la biancheria intima) e sembrano essere deceduti per ipotermia.

Sui due poveri ragazzi non si evidenziano tracce di traumi o ferite visibili a occhio nudo.

Poco tempo dopo vengono rinvenuti anche i corpi di Igor Alekseevič Djatlov, Zinaida Alekseevna Kolmogorova e Rustem Vladimirovič Slobodin.

Vengono ritrovati tra il campo base e l’albero di cedro che ha custodito i corpi delle prime vittime. 

Dagli esami autoptici effettuati sui cadaveri, i medici dichiarano che la morte per ipotermia sembra essere la diagnosi più plausibile. 

Sposando questa tesi, i medici declassano l’importanza della frattura cranica rinvenuta su uno dei cadaveri ritrovati.

Gli inquirenti decidono anche che la carne ritrovata sulla corteccia del cedro, come alcuni suoi rami spezzati fino ad un’altezza di 4 metri, non abbiano necessità di trovare spiegazione e connessione valida, che possa far luce sull’incidente.

Dyatlov. Il disgelo restituisce altri corpi

Si dovranno attendere lo sciogliersi della neve e del ghiaccio – per un tempo utile di due mesi – affinché la montagna restituisca i corpi degli altri componenti del gruppo.

Ovvero quelli di Nikolaj Vasil’evič Thibeaux-Brignolles, Aleksandr Aleksandrovič Zolotarëv, Ljudmila Aleksandrovna Dubinina e Aleksandr Sergeevič Kolevatov.

I resti vengono ritrovati il 4 maggio in un burrone dentro il bosco, tutti completamenti vestiti.

Al contrario dei primi, quello che raccontano i cadaveri degli ultimi è impressionante e angosciante perché i corpi riportano importanti fratture craniche e costali.

Sul cadavere di una delle due ragazze era stata divelta la lingua e strappati via gli occhi…

Una scena da brividi che narra una storia angosciante, intrisa di violenza e mistero.

Una vicenda che capovolge e annulla le tesi finora espresse sia dagli investigatori impegnati nelle indagini che dai medici coinvolti nelle necroscopie.

Dyatlov. Ma chi o cosa ha ucciso i ragazzi?

La natura ha restituito i corpi di tutti i membri della spedizione.

Gli elementi raccolti provano che quanto accaduto sulla Montagna della Morte si tinge di un mistero difficile da chiarire.

Eppure le indagini aperte dalle autorità russe si chiuderanno in un tempo veramente breve, vista la complessità dell’evento e il mistero che aleggia.

L’inchiesta ufficiale attribuisce la causa della tragedia del Passo Dyatlov a “Una Forza Naturale Misteriosa e Sconosciuta”.

Gli indizi raccolti provano che i ragazzi hanno tagliato la tenda dall’interno per fuggire come se qualcuno (o qualcosa) di estremamente pericoloso, fosse lì con loro e dal quale dovevano allontanarsi il più in fretta possibile.

Inoltre il vestiario della comitiva presenta un alto tasso di radioattività e sulla scena dell’incidente sono stati rinvenuti pezzi di metallo, mai ufficialmente identificati. 

I medici, per cercare di spiegare cosa abbia massacrato il gruppo, paragonano le ferite riportate dai cadaveri a quelle dei coinvolti negli incidenti stradali.

Una forza d’impatto mostruosa, ma che non ha lasciato segni evidenti.

Niente ematomi, escoriazioni o ferite lacero contuse.

L’impeto dell’urto ha procurato traumi interni irreversibili.

Dyatlov

Solo il volto di una delle due ragazze è stato brutalizzato con la rimozione degli occhi e l’estirpazione della lingua – l’autopsia non riuscirà mai a stabilire se la violenta rimozione fu effettuata pre o post-mortem.

Si pensa anche che i cadaveri ritrovati senza indumenti siano stati colpiti dal fenomeno dell’undressing paradossale.

Ovvero: l’irragionevole svestizione che vede protagonisti i soggetti in ipotermia i quali spogliandosi, avvertono una (illogica quanto illusoria) sensazione di riscaldamento. Percezione in realtà prodotta dall’alternarsi della vasocostrizione e della vasodilatazione che conducono il soggetto in ibernazione a percepire calore restando senza vestiti, mentre in realtà la temperatura corporea continua a precipitare.

Dopo il fenomeno dell’undressing paradossale, le vittime di ipotermia assumono la posizione a quattro zampe per strisciare sul terreno, per poi finire in posizione fetale e morire. 

Forse anche i primi corpi ritrovati sono stati colpiti da questo fenomeno?

Si è infatti arrivati a supporre che gli altri ragazzi della compagnia abbiano poi utilizzato i vestiti di cui si sono liberati i propri compagni per cercare calore e riparo.

Perché, dalla posizione del ritrovamento dei corpi, si è presupposto che una parte del gruppo stesse provando a rientrare all’accampamento, prima di rimanere ucciso.

Il mistero che avvolge questa storia si amplifica con elementi che sfiorano il surreale e trascinano l’incidente al Passo di Dyatlov verso racconti oscuri e teorie naturalistiche.

Dyatlov. Tesi, supposizioni e leggende

Con l’archiviazione (frettolosa) dell’inchiesta, si solleva sempre più curiosità e desiderio di conoscere una verità che non sembra assolutamente essere stata chiarita dalle indagini.

Indagini che assumono agli occhi del mondo i contorni sbiaditi di un “segreto di Stato”.

Gli anni passano, ma la tragedia del Passo di Dyatlov non viene dimenticata, anzi…

Si moltiplicano le teorie più disparate che vanno da una valanga, fino all’attacco alieno.

Vengono ipotizzati pericolosi esperimenti militari clandestini.

Testimonianze di altri esploratori coinvolti in escursioni in quella stessa zona e periodo, focalizzarono le teorie sull’avvistamento di “sfere arancioni” nei cieli dei Monti Urali.

Altri non erano se non missili balistici R-7 sparati come esercitazione speciale dall’esercito.

Non si può dimenticare la supposizione che vede protagonisti un gruppo d’indigeni Mansi.

Responsabili di aver aggredito il gruppo di ragazzi in modo efferato e brutale perché colpevoli di aver sconfinato nella loro terra.

Dyatlov

Si ipotizza addirittura che dietro alla morte dei giovani ci sia Almas, il mostruoso uomo delle nevi.

Insomma si moltiplicano le tesi, le storie sussurrate e si favoleggiano misteri e incredibili dinamiche.

Ma ai caduti e ai rispettivi familiari continua a mancare una concreta verità, plausibile e meritevole tanto da poter far riposare in pace le vittime e dare tregua ai loro cari. 

Intorno agli anni ’90 i fascicoli dell’inchiesta vennero desegretati facendo emergere nuovi indizi utili a perorare un’altra ipotesi che vede coinvolto l’utilizzo di una potentissima quanto ignota arma segreta russa. 

Nell’Ottobre del 2013 Donnie Eichar pubblica il suo romanzo “Dead Mountain: The Untold True Story of the Dyatlov Pass Incident” nel quale ripercorre il tragico incidente del Passo di Dyatlov.

Nel libro suggerisce la tesi della “tempesta perfetta”- un raro fenomeno naturale di una potenza talmente tanto devastante da essere in grado di creare numerosi micro-tornado e generare ultrasuoni impercettibili da orecchio umano.

Ultrasuoni in grado di alterare lo stato psico-motorio dei ragazzi, fino a compromettere la loro stabilità e lucidità inducendoli di fatto, a fuggire dalla tenda verso l’oscurità e la morte.

Dyatlov. Nel 2019 si riapre l’inchiesta

Gli studiosi chiamati a cercare di fare (finalmente) luce sulle vere cause della vicenda sono Johan Gaume, professore alla Scuola Politecnica Federale di Losanna e Alexander Puzrin del Politecnico di Zurigo. 

Attraverso i moderni strumenti a loro vantaggo e ricreano il possibile scenario di quella famosa notte del 1° Febbraio.

I due esperti dichiarano che solo una valanga di enormi proporzioni, può considerarsi la vera causa della tragedia sul Passo di Dyatlov.

Teoria che venne subito presa in considerazione anche dagli esperti, 63 anni fa. 

Quello che Gaume e Puzrin portano in evidenzia è che i giovani – pur essendo degli esperti alpinisti – vennero ingannati dalla conformazione del territorio dove decisero di accamparsi.

Picconando la tenda in quel luogo e tagliando la neve per poter fissare il proprio campo base, hanno dato inconsapevolmente inizio allo smottamento che si è trasformato dopo poco in una slavina che li travolse e uccise.

 “Se non avessero tagliato il pendio, questa tragedia non si sarebbe consumata” (Alexander Puzrin).

Quest’ultima ipotesi non è stata accolta con molto clamore o giubilo:

Le persone non vogliono credere che sia stata una valanga. È una spiegazione troppo normale” (Johan Gaume)

Dopo tutti questi anni intorno all’incidente del Passo Dyatlov continuano ad aleggiare mistero e supposizioni.

Come se niente e nessuno fosse capace di spiegare in modo concreto, cosa capitò veramente:

La verità è che nessuno sa cosa accadde davvero quella notte. Ma quanto abbiamo scoperto indica che l’ipotesi valanga è assolutamente plausibile” (A. Puzrin)

L’incidente del Passo di Dyatlov consolida e conferisce alla natura il ruolo di unica e imperitura testimone e (forse) carnefice delle infauste sorti di:

Igor Alekseevič Djatlov , capospedizione, 23 anni, Zinaida Alekseevna Kolmogorova, 22 anni

Ljudmila Aleksandrovna Dubinina, 23 anni , Aleksandr Sergeevič Kolevatov, 24 anni

Rustem Vladimirovič Slobodin, 23 anni , Jurij Alekseevič Krivoniščenko, 23 anni

Jurij Nikolaevič Dorošenko, 21 anni , Nikolaj Vladimirovič Thibeaux-Brignolles, 23 anni e

Aleksandr Aleksandrovič Zolotarëv, 35 anni.

Relegando le loro vite spezzate al freddo silenzio di una morte senza colpevoli.

Fonti:

  • Midnight Factory: “La vera storia che ha ispirato il Passo del Diavolo”
  • Wikipedia: “L’incidente sul Passo di Dyatlov”
  • Montagna.tv: ”La storia horror del Passo di Dyatlov. Un mistero mai risolto”
  • National Geographic: ”Il mistero del Passo di Dyatlov: la scienza può spiegare il tragico incidente?”
  • Animali e Animali: ”L’incidente del Passo Dyatlov, una storia vera. Uno Yeti killer”
  • Corriere.it: “Mistero del Passo Dyatlov…”
  • Focus: ”La tragedia del Passo Dyatlov: fu davvero (solo) una valanga”
AMELIA SETTELE

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Centralia: la vera Silent Hill brucia da 60 anni

(Centralia) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 4 – Centralia: la vera Silent Hill brucia da 60 anni” su Spreaker.

Tra gli amanti dei videogiochi a tema horror survival, Silent Hill rappresenta uno delle serie videoludiche più apprezzate di sempre.

Il prodotto immesso sul mercato nel 1999 è riconosciuto come un vero e proprio Cult e viene ritenuto anche il perfetto antagonista di un altro classico del genere: Resident Evil, un ulteriore successo nel settore dei videogiochi.

Nel corso degli anni entrambi i titoli, hanno avuto trasposizioni cinematografiche di successo, l’ultima in ordine di tempo è il reboot di “Resident Evil” uscito al cinema nel 2021.

Mentre dal videogioco di Silent Hill sono stati prodotti e commercializzati oltre ai film anche: fumetti, libri e romanzi. Insomma, un vero e proprio multimedia franchise.

Centralia. Ma cosa ha decretato il successo di Silent Hill?

Prodotto da Konami, è una delle poche serie in cui il protagonista è una “persona qualunque”.

Il giocatore ne prende il dominio, facendolo muovere tra le strade, le morti e le maledizioni della nefasta cittadina di Silent Hill.

Il gameplay di Silent Hill è molto semplice.

Si deve cercare di sopravvivere in questa ambientazione profondamente horror-gotica, provando a risolvere enigmi mentre si lotta per non farsi uccidere dalle forze del male che albergano tra gli edifici di questo lugubre centro urbano.

Uno degli elementi fondamentali che hanno decretato il successo della serie è, senza ombra di dubbio, la scenografia.

Centralia

L’ambientazione infatti regala al giocatore (come allo spettatore del lungometraggio) uno scenario degno dei peggiori incubi.

Una tipica cittadina americana abbandonata e costantemente avviluppata nella nebbia più fitta che cela mistero, morte, segreti ed esecrazioni.

Centralia. E se Silent Hill esistesse davvero?

Ebbene sì cari lettori, Silent Hill non è solo frutto della fantasia degli ideatori del videogame! Si trova nello stato della Pennsylvania – più precisamente nella Contea di Columbia – e porta il nome di Centralia.

Ha una particolarità che l’ha resa spettrale e unica allo stesso tempo, Centralia è avviluppata nelle spire di un incendio che divampa e la consuma da 60 anni.

Centralia. La storia di Centralia

Centralia venne fondata intorno al 1750 da un gruppo di coloni, con il nome di Centerville. Essendo già presente nella zona un villaggio omonimo si decise – anche per ovviare a problemi di natura burocratica – di modificare il nome della cittadina in Centralia.

Durante la sua costruzione, i giacimenti minerari furono subito rilevati, ma le miniere iniziarono a essere aperte e sfruttate solo intorno al 1850.

È in questo periodo, infatti, che Centralia inizia a crescere e a fiorire a livello economico e demografico.

La capienza dei giacimenti minerari è molto estesa e importante tanto da autorizzare la costruzione di ben due linee ferroviarie per il trasporto del carbone estratto.

Nel corso dei decenni la città cresce, sino ad arrivare al 1960 con un conteggio demografico di circa 2000 abitanti.

Si poteva usufruire di un servizio postale, almeno due istituti bancari avevano le rispettive sedi in città.

Molti anche i negozi e gli Enti scolastici utili per la crescita e la formazione dei giovani -ad eccezione dell’Università.

Tre cimiteri, Chiese di culti diversi e ben due teatri.

Si sviluppa un centro cittadino di tutto rispetto che – grazie alle miniere – garantisce lavoro e prosperità.

Centralia

Di pari passo all’accrescimento sociale e urbano di Centralia, si estende anche il suo sottosuolo. Epicentro del vero tesoro che la contraddistingue.

Si fa sempre più consolidata e ben collegata la rete di tunnel in grado di unire i diversi giacimenti aperti, per l’estrazione del carbone.

Centralia rappresenta la tipica cittadina americana degli anni 60 che assicura occupazione, servizi e tranquillità.

Sino al 1962, quando divampa un incendio in una delle miniere ormai in disuso che comprometterà per sempre la storia di questo luogo.

Centralia. L’incendio

Dell’incidente che modificò e compromise ineluttabilmente le sorti di questa cittadina, si conosce solo la datazione: 1962.

La storia narra che, su autorizzazione del comitato cittadino, un gruppo di volontari dei vigili del fuoco gettò dell’immondizia all’interno di una miniera chiusa e desueta, appiccando un incendio per poter smaltire il materiale.

Quello che non venne valutato fu che la portata delle fiamme all’interno di una miniera in disuso sì – ma comunque collegata alle altre – poteva alimentare senza sforzo un imponente incendio nel sottosuolo, adibito all’estrazione del carbone e ai tunnel di collegamento per il trasporto in superficie del minerale.

Una combustione che inizialmente sembrò essere domata dai pompieri cittadini, ma che in realtà continuò a fiammeggiare, arrivando anche nelle altre gallerie e nelle altre miniere.

Tutto il sottosuolo di Centralia fu investito dal calore alimentato dal suo stesso tesoro minerario.

Il terreno inizialmente coinvolto dalle fiamme raggiunse le zone adiacenti, ricche di antracite.

L’antracite è un carbone puro, con una presenza minima di acqua, zolfo, ossigeno e azoto.

Ha un elevato stadio di carbonizzazione, con una cospicua presenza di carbonio al suo interno).

                          …Una conflagrazione che aprirà voragini alle fiamme dell’Averno

Le strade iniziarono ad aprirsi con crepe e baratri, eruttando fumo e calore.

Vennero inghiottite nel sottosuolo case private, edifici pubblici e auto. La vegetazione iniziò a seccarsi e morire, rendendo il paesaggio della cittadina sempre più tetro.

Molti abitanti fuggirono da quello che sembrava essere uno scenario spettrale. Centralia ardeva dalle sue fondamenta, modificando per sempre il suo aspetto e la sua storia.

Centralia. Due tentativi per spegnare l’incendio

Tentarono in diversi modi e in molte occasioni di spegnere l’incendio, ma non ci riuscirono in nessun modo. 

Non tutti i cittadini decisero di lasciare subito le proprie abitazioni.

Alcuni resistettero fino a quando anche i fumi esalati dalla terra violata e sconquassata dall’incendio sottostante, non divennero tossici e pericolosi per i pochi abitanti rimasti. 

Ma due vicende distinte e separate portarono alla fuga degli ultimi abitanti rimasti:

  • La prima, nel 1979 quando: il proprietario di una pompa di benzina, avvertì un significativo aumento del calore del carburante dentro una delle cisterne di conservazione sotterranee. Misurandolo, arrivò a costatare che la temperatura del liquido sfiorava i 77°!!!
  • La seconda, nel 1981 quando: il dodicenne Todd Tomboski, residente a Centralia, sprofondò dentro una voragine apertasi proprio sotto i suoi piedi. Fortunatamente le sue grida vennero ascoltate da un passante che riuscì a tirarlo fuori, giusto in tempo. Se Todd fosse rimasto ancora per pochi minuti incastrato in quel gorgo, sarebbe sicuramente deceduto per le esalazioni tossiche e l’estremo calore sprigionato dal terreno.

Queste due particolari cronache riportate nella storia della città, ci annunciano che di lì a poco, la cittadina rimase praticamente deserta.

Le autorità imposero l’evacuazione rendendo a tutti gli effetti Centralia inesistente. 

Gli ultimi abitanti rimasti non superano la decina e nel corso degli anni, hanno avuto un permesso speciale per continuare a vivere lì; con l’obbligo di non poter lasciare in eredità a niente e nessuno, né la propria abitazione né la propria terra.

Centralia. La morte della città

Centralia è destinata a morire, ammantata tra i fumi densi e nocivi. Le voragini sul terreno hanno continuato a proliferare come ferite aperte in un paesaggio che è sempre più desolato e spaventoso. 

Gli studi effettuati hanno dichiarato che l’incendio si protrae su 1600 mq di terreno e potrebbe continuare a rimanere vivo per oltre 250 anni!

Centralia

C’è un’unica strada accessibile – che funge da entrata e uscita- la “Graffiti Highway” (denominata così per i disegni e le incisioni colorate lasciate dai turisti a ricordo del loro passaggio) che continua a condurre avventurieri e curiosi a visitare una delle città fantasma più famose d’America.

Tutte le altre vie di comunicazioni sono state chiuse e gli altri percorsi serrati con cumoli di terra.

Oltre alle poche abitazioni ancora in piedi, sopravvive alla tempra del calore una Chiesa, utilizzata tutt’oggi per le funzioni religiose. 

Dal 2002 Centralia non ha più un proprio codice d’assegnazione postale, in pratica NON ESISTE!

Centralia. Misteriose presenze

Aleggiano su Centralia non solo i fumi di un incendio perennemente vivo, ma anche molte storie che la vedono protagonista di inquietanti vicende come quella narrata nel 1998 da Ruth Edderson, il quale dichiarò di aver visitato la città insieme ad alcuni suoi amici e di aver avvistato due bizzarri individui vestiti da minatori, apparire e svanire dinnanzi ai loro occhi, avvolti in un fumo denso e pesante.

Altri ancora affermano con sicurezza di aver avvertito presenze inquietanti durante il loro passaggio a Centralia, riportando sensazioni di turbamento e smarrimento.

Quel che è certo, è che la storia di questa cittadina opprime e ammalia nello stesso tempo. E mentre risuona l’eco del fuoco che brucia e del silenzio che aleggia, posso solo sussurrare:

Benvenuti a Centralia…Benvenuti a Silent Hill…

Fonti:

  • Paesi Fantasma: Centralia, la vera Silent Hill
  • GreenMe: Centralia, la città di Silent Hill esiste davvero
  • Travel 365: L’incendio perenne di Centralia: la vera Silent Hill
  • Orgoglio Nerd: La città di Silent Hill esiste davvero in Pennsylvania
  • La scimmia pensa: La vera Silent Hill che brucia perennemente da 60 anni
  • Wikipedia: Centralia
AMELIA SETTELE

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Dia de Los Muertos. La festa Messicana che celebra la vita

(Dia de Los Muertos) Articolo scritto da Amelia Settele per Pillole di Cultura e Misteri e Leggende incredibili

Ascolta “Misteri e leggende incredibili. Puntata 1 – Il Dia de Los Muertos” su Spreaker.

Il Dia de Los Muertos – il Giorno dei Morti – è la festa Messicana che per eccellenza è conosciuta e riconosciuta in tutto il mondo, come una tra le celebrazioni più affascinanti e sentite che accompagnano i giorni a cavallo tra la fine del mese di ottobre e i primi giorni di novembre.

SOMMARIO

Periodo destinato al culto e al ricordo dei defunti, in gran parte del mondo. Il Dia de Los Muertos è la notte delle Anime, le quali attraverso un antico rituale tornano dal mondo dei morti per far visita ai propri cari.

Le famiglie infatti si riuniscono e i cimiteri, le case si adornano con candele, cibo e allegria. Si festeggia la morte che è sacra come la vita.

Ma ora andiamo a conoscere nel dettaglio questa festa millenaria e magnetica, caro lettore, e partiamo subito.

Dia de Los Muertos. È come la festa di Halloween?

Mi preme subito fugare questo dubbio che spesso può sopraggiungere visto il tema che accomuna le due celebrazioni.

A tal proposito è opportuno evidenziare che, a differenza delle atmosfere gotiche e cupe di Halloween ricorrenza tipicamente Americana – anche se ormai la globalizzazione l’ha resa comune a molte altre aeree del mondo lontane dagli Stati Uniti per storia e cultura, divenendo di fatto quasi un fenomeno globale – o della Festa dei Morti tipica della religione Cristiana essenzialmente più spirituale e riservata, il Dia de Los Muertos rappresenta una vera e propria festa che onora la periodicità perfetta e ineluttabile tra due elementi come: l’inesorabile morte e la forza tangibile della vita.

Un rito che si concretizza con del buon cibo, altari adorni di fiori, ceri e tanta musica popolare.

Durante i giorni del Dia de Los Muertos non si celebra la morte nei suoi toni oscuri e macabri, ma la si avvicina ancora di più alla vita stessa; entrambe infatti sono facce della stessa medaglia che contraddistingue l’esistenza di tutti gli esseri umani.

Nelle celebrazioni del Dia de los Muertos, chi festeggia cerca concretamente un modo per permettere alle anime ospiti nel “mondo dei morti” di tornare tra i vivi, almeno per una notte l’anno, per ritrovarsi di nuovo insieme.

Dia de los Muertos. Cosa rappresenta davvero per i Messicani?

Il Dia de Los Muertos nell’America Latina, ma soprattutto in Messico, è un vero e proprio rito che travalica la religione e si mescola alla vita sociale e culturale del Paese, diventandone l’emblema del folklore stesso. 

È la festa che più esprime il sincretismo tra il culto pagano preispanico e la religione Cattolica importata dai Conquistadores. 

La passione con cui il popolo organizza, vive e affronta ogni anno tale ricorrenza ha oltrepassato i confini nazionali fino a diventare un fenomeno agli occhi del mondo, tanto che l’Unesco nel 2008 l’ha dichiarato: “Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità”.

Dia de los Muertos. Da dove nasce questa festività? tra storia e leggenda

Le origini del Dia de los Muertos si perdono nella notte dei tempi.

Elementi storici concreti ci dicono che ancor prima dell’arrivo dei Conquistadores Spagnoli, i popoli: Inca, Maya e Totonaca veneravano il legame imprescindibile che si cela tra la vita e la morte.

E i festeggiamenti organizzati già quei tempi volgevano al desiderio di far sentire i defunti ancora parte integrante della comunità.

Elemento ancora ben tangibile nelle commemorazioni moderne.

Sicuramente l’arrivo dei Colonialisti ha alterato le sfumature di tali riti, amalgamandole con materiale religioso e culturalmente diverso.

Ma a ben vedere, questo mix non ha fatto perdere il fascino al Dia de los Muertos anzi, l’ha spinto e concretizzato a tal punto da riuscire a cavalcare i secoli, permettendo ai Messicani di continuare ancora oggi a festeggiarlo e al resto del mondo di rimanere sempre più ammaliato da tale celebrazione.

Dia de los Muertos. Ma cosa accade?

Durante il Dia de los Muertos non si piange la morte, la si festeggia con rispetto, allegria e colore.

Generalmente i festeggiamenti hanno inizio il 28 Ottobre e terminano il 2 Novembre. Ogni singolo giorno è dedicato a una celebrazione particolare, ad esempio, il 28 Ottobre è la giornata in ricordo di chi è morto suicida o per incidente.

Mentre il 31, nella maggior parte delle comunità vengono onorate le morti dei bambini le cui anime, si crede, volino direttamente in cielo.

I restanti due primi giorni del mese di novembre, vengono consacrati per tutti gli altri defunti. L’attesa è talmente elevata che di solito le preparazioni alle celebrazioni, possono iniziare anche settimane prima.

Dia de los Muertos

Nel corso della notte delle anime i cimiteri “prendono vita”, i sepolcri vengono decorati con fiori dagli intensi profumi e dai colori caldi e decisi. 

I fiori più usati sono quelli della Tagete, pianta erbacea appartenente alle graminacee che nasce e cresce in Messico e in America Centrale. Ai fiori di Tagete – chiamati anche Cempasuchil– dai brillanti petali arancioni e il profumo intenso e vibrante è legata una storia molto significativa, nella quale si sussurra siano proprio questi due elementi visivi e olfattivi talmente forti e impossibili da dimenticare da essere percepiti addirittura dalle anime stesse, le quali li utilizzano per seguire il sentiero tracciato dai vivi per far ritorno a casa.

In ogni abitazione che rispetti e festeggi il Dia de los Muertos, viene allestito un vero e proprio altare dedicato, che prende il nome di Ofrenda.

Dia de los Muertos. Cos’è l’Ofrenda?

L’Ofrenda (che tradotto, significa: Offerta, n.d.a.) è l’elemento cardine del Dia de Los Muertos, perché viene considerata il “portale” che permette al mondo dei vivi d’incontrare quello dei morti. 

Sull’Ofrenda vengono posizionate ed esposte le foto dei defunti che s’intendono commemorare, ed è anche grazie a questo che le anime possono ritrovare la via di casa.

Ad arricchire l’altare ci sono sempre elementi simbolici che racchiudono significati specifici, come:

  • l’incenso e il suo fumo che pervadono le stanze delle case, a simboleggiare le preghiere e la purificazione degli ambienti.
  • le candele, che rappresentano il fuoco e la luce.
  • le caraffe d’acqua per far rifocillare i defunti dopo il lungo viaggio di ritorno dall’aldilà, insieme a cibo prelibato e altre bevande semmai amate in vita, dal defunto.
  • i semi di mais e cacao che interpretano sull’altare, la terra e i suoi frutti.
  • i papel picado – carta velina ritagliata a forma di teschi – prettamente di colore giallo e viola a rappresentare il vento. Le cui tinte rispecchiano la dualità tra la vita e la morte.
  • i fiori di Tagete.

In molte abitazioni oltre all’allestimento dell’Ofrenda, viene lasciata anche libera e pulita una camera da letto – nella maggior parte dei casi, quella padronale- dove le anime dei defunti possono riposare e riprendersi dalle fatiche del viaggio intrapreso.

I cibi e le bevande tipiche che si possono gustare sulle tavole imbandite sono:

i tradizionali Pan de los muertos” -Pane dei Morti- e i “Calaveras” – Teschi di zucchero, dolci tipici che portano anche incisi i nomi dei defunti che si vogliono commemorare.

Inoltre tra i piatti serviti si possono anche assaggiare le famose empanaditas – fagottini di sottile pasta farcita solitamente con la zucca e aromatizzata all’anice, e i tamales – involtini di foglie di mais ripieni di carne macinata – già apprezzati ai tempi dei Maya e degli Atzechi.

Si può sorseggiare cioccolata calda, caffè e amaranto, degustare tequila e la famosa bevanda Mezcal meno conosciuta a livello internazionale della tequila, ma sicuramente più apprezzata e utilizzata dai messicani.

Quest’ultimi l’amano a tal punto da definirla, così: “el mezcal no te emborracha, te embruja”, ovvero: “il mezcal non ti ubriaca, ma ti strega”. Per secoli definita la “bevanda dei poveri”, è uno dei liquori più utilizzati durante le celebrazioni.

Anche la carismatica e iconica pittrice messicana Frida Kahlo si narra fosse molto amante del Mezcal, come della ricorrenza del giorno dei morti, tanto da celebrarla in modo solenne ogni anno.

Dia de los Muertos. Le città si vestono a festa

Le strade e i cimiteri delle grandi metropoli, come dei piccoli paesini, si popolano di colori, abiti eleganti e cappelli fantasiosi.

Copricapi che adornano i volti dei partecipanti spesso dipinti ad arte come se fossero delle “Calaca“(teschi), tornati a festeggiare.

Le Calacas inoltre sono figure da sempre presenti nella cultura Messicana, ce ne sono traccia già nelle incisioni dei Maya.

I Teschi vengono ritenuti simboli spirituali molto forti, messaggeri gioiosi e non funerei che testimoniano con il loro “sorriso” la pace e la serenità delle anime dopo il trapasso.

Un’altra figura a cui va tutta la nostra attenzione è la Calavera Catrina – la donna scheletro, Signora dei Morti- icona ufficiale del Dia de los Muertos.

Dia de los Muertos. La Catrina

Il personaggio della Calavera Catrina prende ispirazione dalla Signora dei Morti Atzeca. La sua creazione si deve al vignettista e illustratore messicano Jose Guadalupe Posada che, nel 1913, ne tratteggiò le iconiche sembianze per inserirla come soggetto nelle litografie di stampo satirico e politico.

La Calvera Catrina è rappresentata come un teschio ghignante e agghindato con un grande cappello appoggiato sul cranio e abiti sfarzosi in stile francese.

L’ispirazione da cui nasce questo personaggio ormai folkloristico, porta con sé un messaggio profondo e concreto, di stampo sociale e politico perché la Catrina inizialmente era stata disegnata come caricatura di una donna messicana dei primi dell’900 che rifiuta le sue origini native per cercare di omologarsi allo sfarzo e alle abitudini dell’aristocrazia europea.

Diventando di fatto una vera e propria provocazione satirica nei confronti di tutti quei Messicani che tentavano di imitare gli Europei.

C’è stato anche un altro messaggio che l’artista Jose G. Posada s’impegnò a promuovere attraverso la Calavera Catrina ovvero che: dinnanzi alla morte siamo tutti uguali e “Siamo tutti Teschi” (Cit.).

Dopo di lui anche il grande pittore Diego Rivera – marito di Frida Kahlo – dipinse in primo piano la Catrina. La inserì proprio tra lui e Frida, su uno dei murales più famosi di sempre: Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central (sogno di una domenica pomeriggio nel parco di Alameda – 1948)

“La morte è democratica, perché alla fine, la madre, la bruna, i ricchi o i poveri, tutte le persone finiscono per essere teschi”

José Guadalupe Posada

Attualmente la Calavera Catrina risulta essere la maschera più amata e utilizzata dalle donne messicane durante i festeggiamenti.

Al Dia de Los Muertos sono legate anche bellissime ballate e poesie spensierate che vengono insegnate ai bambini sin dalla più tenera età.

Aiutandoli così sin da piccoli a comprendere che la morte non va temuta, ma rispettata e amata tanto quanto la vita.

Quello che contraddistingue il Dia de los Muertos dalle altre celebrazioni simili o similari è il coinvolgimento umano e sociale volto alla condivisione più pura di un messaggio che sconfigge il tempo e rende immortale l’amore e la morte con la stessa entità e potenza.

Permettendoci di non dimenticare che dinnanzi al trapasso siamo tutti uguali, come diventiamo unici e indimenticabili agli occhi di chi ci ha amato davvero sia in vita che dopo la morte.


Fonti:

  • Pimp my trip: “10 curiosità sulla festa dei morti in Messico”
  • Mi prendo e mi porto via: ”Dia de los Muertos: storia e significato di una bellissima tradizione messicana”
  • Esquire.com: ”Il Dia de los Muertos è molto più di un Halloween messicano”
  • Wikipedia: ”Il giorno dei morti (America)”
  • Stories.weroad: ”Dia de los Muertos: 8 curiosità sul giorno dei morti in Messico e dove festeggiarlo”
  • Mame – estetica metropolitana: ”Il Dia de los Muertos, un momento di gioia e colori ricorda la meraviglia di essere vivi”
  • Il Giornale del cibo: ”Mezcal ancestrale distillato messicano: origini, riti e differenze con la tequila”
  • Il Giardino del tempo: ”Tagate: storia, simbologia e tradizioni popolari”
  • Dubitinsider.com: ”La Catrina è il simbolo della Morte”
  • SpazioFeu: ”Calavera Catrina volto del Dia de Los Muertos, Simposio morte e rinascita”
AMELIA SETTELE, Bolivia

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