30 dicembre 2011, il giorno che non è mai esistito

30 dicembre 2011, il giorno che non è mai esistito

(30 dicembre 2011) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 30 dicembre 2011 non è mai esistito nelle isole Samoa e Tokelau a causa del passaggio a ovest dei due stati rispetto alla linea del cambiamento di data.

SOMMARIO

Quello delle isole Samoa e Tokelau non è stato il primo caso nella storia di giorni cancellati dal calendario.

Ma le motivazioni che hanno spinto i due arcipelaghi a questa scelta sono assai differenti a quelle del passato.

30 dicembre 2011. Il precedente del Calendario Gregoriano

Non capita spesso che dal calendario venga cancellato un giorno che di fatto risulta non essere mai esistito.

Il caso più clamoroso della storia riguarda l’adozione del Calendario Gregoriano nel 1582 che andò a sostituire il Calendario Giuliano.

Ci si era infatti accorti che c’era uno sfasamento di una decina di giorni fra il Calendario Giuliano e l’effettiva posizione astronomica della Terra.

Si decise quindi che dopo il 4 ottobre del 1582 anziché il 5 ottobre (giovedì) sarebbe seguito il 15 ottobre (venerdì).

Furono dunque cancellati tutti i giorni fra il 5 e il 14 ottobre del 1582 che di fatto non furono mai vissuti.

30 dicembre 2011. Il caso svedese

In Svezia le cose andarono un po’ diversamente e non senza qualche complicazione.

Come in molti paesi di fede protestante anche nell’Impero Svedese si fece resistenza all’adozione del Calendario Gregoriano.

La motivazione era semplice quanto ridicola ai giorni nostri: era considerato un calendario papista.

Sia come sia nel 1699 anche la Svezia decise di adottare il Calendario Gregoriano ma volle farlo a modo suo.

Anziché saltare tutti i giorni in fila come nel 1582 decisero di togliere tutti gli anni bisestili dal 1700 al 1740.

In pratica togliendo il 29 febbraio degli anni bisestili in quarant’anni il calendario svedese di sarebbe allineato a quello gregoriano.

Peccato che già nel 1704, anche a causa della guerra, gli svedesi si dimenticarono del loro proposito e l’anno fu bisestile.

Così come pure il 1708, con buona pace dell’allienamento al Calendario Gregoriano.

A quel punto gli svedesi decisero di ritornare al Calendario Giuliano, al quale però mancava un giorno.

Infatti il 29 febbraio del 1700 non era mai esistito.

Allora decisero che nel 1712 febbraio avrebbe avuto due giorni bisestili e infatti quell’anno febbraio ebbe anche il giorno 30.

Nel 1753 però cambiarono ancora idea e si allinearono al Calendario Gregoriano passando dal 18 al 28 febbraio.

30 dicembre 2011. Samoa e Tokelau

Le isole Samoa sono uno stato indipendente in mezzo all’Oceano Pacifico posizionate grosso modo a nord-ovest della Nuova Zelanda.

Sono famose per la bellezza dei luoghi e per le squadre di rugby che è considerato lo sport nazionale.

30 dicembre 2011

Le isole Tokelau sono un territorio dipendente della Nuova Zelanda dalla quale distano circa 1500 chilometri in linea d’aria.

Sono poste a nord delle isole Samoa e sono costituite da tre atolli abitati da meno di duemila persone.

Cosa hanno in comune questi due piccoli arcipelaghi oltre ad essere nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico?

La risposta è semplice, sono proprio sulla linea del cambiamento di data.

30 dicembre 2011. La linea del cambiamento di data

Sappiamo che la Terra è stata artificialmente suddivisa in 24 fasce orarie detti anche fusi orari.

Per convenzione internazionale è stato stabilito che il fuso orario dove inizia il giorno (ovvero dopo scattata la mezzanotte si cambia la data) doveva trovarsi nel posto meno abitato del pianeta.

Dunque logica la scelta di mettere questa linea immaginaria in mezzo all’Oceano Pacifico.

Pertanto se uno si trova a ovest della linea a mezzanotte e un minuto del 1 gennaio chi sta a est nello stesso istante vivrà invece le ventitré e un minuto del 31 dicembre.

Ovviamente si tratta di convenzioni necessarie perché le date possano essere uniche e riconoscibili in tutto il pianeta.

30 dicembre 2011. Il giorno che non c’è mai stato

Contriamente a quanto accaduto nel 1582 con l’introduzione del Calendario Gregoriano per le Isole Samoa e Tokelau non è trattato di uno sfasamento fra calendario e posizione astronomica della Terra.

Ciò che ha indotto i due arcipelaghi a cancellare una data dal calendario è stata unicamente la volontà politica di spostarsi a ovest della linea del cambiamento di data.

Per fare ciò i due arcipelaghi hanno dovuto rinunciare a vivere un giorno e dal 29 dicembre si è passati al 31 dicembre direttamente.

La causa di questa scelta drastica va ricercata nel mondo lavorativo.

Prima dello spostamento a ovest della linea del cambiamento dell’ora i due arcipelaghi erano un giorno indietro rispetto ad Australia e Nuova Zelanda.

Che di fatto rappresentano i maggiori partner commerciali per le piccole isole del pacifico.

Dunque quanto a Samoa e Tokelau era venerdì (lavorativo) in Australia e Nuova Zelanda era già sabato (festivo o semi-festivo).

Quando a Samoa e Tokelau era domenica (festivo) in Australia e Nuova Zelanda erà già lunedì (lavorativo).

Per eliminare questo sfasamento fra giorni festivi e lavorativi i due arcipelaghi hanno deciso di saltare a ovest della linea del cambiamento di data

Così si sono allineati ai loro partner commerciali (Australia e Nuova Zelanda) ed ora hanno gli stessi giorni.

Con un’ora di fuso orario con la Nuova Zelanda e da tre a cinque ore con l’Australia (che ha più di un fuso orario che l’attraversa).

Foto di Dean Moriarty da Pixabay

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Boxing Day. Santo Stefano in versione british

(Boxing Day) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Il 26 dicembre nei paesi storicamente a prevalenza cattolica è il giorno che commemora Santo Stefano mentre nei paesi anglosassoni è quasi sempre il Boxing Day.

SOMMARIO

Paese che vai usanza che trovi, citava un vecchio adagio.

Le differenze fra il mondo latino (cattolico) e quello anglosassone è evidente anche nel modo di festeggiare il giorno seguente a quello di Natale.

Santo Stefano per la tradizione cattolica, Boxing day per quella anglosassone.

Boxing Day. Cosa è

Ricorre sempre il giorno che segue il Natale (tranne quando cade di sabato o domenica).

Si tratta di un giorno in cui i popoli anglosassoni si dedicano a fare regali alle persone meno fortunate.

Di fatto è un proseguimento dello spirito natalizio rivolto al di fuori della cerchia familiare e amicale.

Un invito a non dimenticare che esistono anche persone meno fortunate e più bisognose anche vicine.

Boxing Day

Boxing Day. Le origini

Secondo alcune fonti trae origine dall’usanza di mettere in fondo alle chiese una cassetta per la raccolta di offerte.

Donazioni che venivano espressamente destinate per i meno fortunati.

Poiché in inglese scatola (cassetta) si dice “box” ecco spiegata l’origine del nome.

Secondo un’altra versione invece deriva dall’usanza di donare scatole alle persone meno fortunate.

Specialmente fra i nobili e i ricchi inglese che il giorno dopo Natale concedevano alla servitù un giorno di riposo.

Da trascorrere con le loro famiglie senza l’incombenza del lavoro quotidiano.

In quel giorno, il 26 dicembre, spesso alla servitù venivano donate delle scatole (box).

Scatole che contenevano doni e avanzi del pranzo di Natale che i domestici potevano consumare con le loro famiglie.

Quale che sia l’origine esatta della ricorrenza non vi è alcun dubbio che il nome deriva direttamente dalle scatole.

Boxing Day. Questione di saldi

Oggi la ricorrenza non è più sentita come un tempo anche per ovvie ragioni sociali.

Dare scatole con avanzi di cibo al personale di servizio (per chi ancora ce l’ha) non sarebbe ben visto.

E la raccolta fondi per i più bisognosi non è più, ahinoi, solo una questione natalizia ma di tutto l’anno ormai.

È rimasta l’usanza di scambiarsi scatole con i doni, specialmente al di fuori della cerchia più intima.

Ma ciò che ha preso piede nel XX secolo sono stati i saldi.

Nei paesi anglosassoni, solitamente, il 26 dicembre (o comunque quando cade il Boxing Day) è l‘avvio ufficiali dei saldi invernali.

Poiché il 26 dicembre non è un giorno di resta religiosa si capisce come mai i negozi vengano presi d’assalto.

Boxing Day. Giornata d’elezione per lo sport

Poiché questa giornata non è festiva dal punto di vista religioso è stata sfruttata per numerosi eventi sportivi.

La Premier League inglese (la serie A d’oltremanica) gioca sempre un turno di campionato il Boxing Day, in qualunque giorno capiti.

Vi sono eventi ippici di primo piano così come nel mondo del rugby.

Lo sport sfrutta infatti la disponibilità di un giorno libero, infrasettimanale, per permettere ai tifosi di assistere dal vivo agli eventi.

Foto di Kira auf der Heide su Unsplash

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Disinformatia (words to understand war)

(Disinformatia) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

La guerra in Ucraina ha riportato alla luce l’annoso problema delle minoranze etniche che spesso sono state usate a pretesto per scatenare crisi internazionali se non vere e proprie guerre.

SOMMARIO

Nonostante sia una parola tipicamente russa il suo significato non ci coglie impreparati: Disinformatia, ovvero l’arte della disinformazione come strumento di guerra.

Disinformatia. Arma senza scrupoli

Stando a quanto è accaduto con l’invasione russa in Ucraina sembrerebbe proprio di dover rispondere in modo affermativo e senza esitazione alla domanda.

La disinformazione è la miglior arma a disposizione di un governo senza scrupoli.

Per onestà di cronaca occorre ricordare che da sempre i governi usano l’arma della disinformazione.

Lo fanno per manipolare le folle e renderle più servili ai propri scopi.

Sia che si tratti dei propri cittadini, sia che si faccia riferimento alle persone che vivono in altri stati.

Fin dai tempi dell’Unione Sovietica l’allora governo comunista investiva notevoli quantità di denaro e di risorse per creare disinformazione nel mondo occidentale.

Il tutto affinché l’URSS fosse vista con occhi positivi dagli europei e dagli americani.

Ma soprattutto per mettere in luce le pecche dei sistemi democratici occidentali, logori e corrotti, secondo la propaganda del tempo.

Disinformatia. I limiti delle democrazie liberali

Occorre tener presente che mentre le democrazie liberali devono soggiacere al controllo della stampa indipendente.

Dunque hanno in effetti un limite per le loro azioni “scorrette”.

Le dittature e le autocrazie hanno margini di manovra ben più ampi, sopratutto al loro interno.

Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, a partire dalla Russia, passando per la Cina e la Corea del Nord.

Ma anche in altri angoli del mondo il controllo delle informazioni è così pressante da limitare la libertà di stampa.

Disinformatia. Come alterare la percezione della realtà

Sarebbe bello poter fare un sondaggio fra tutti i cittadini russi, specialmente quelli meno istruiti e quelli più lontani dai centri cittadini di Mosca o San Pietroburgo.

Probabilmente scopriremmo che gran parte degli intervistati sarebbero davvero convinti che l’intervento russo in Ucraina è stato fatto per evitare che l’Ucraina stessa invadesse la Russia.

Di conseguenza giustificherebbero le azioni di Putin senza grossi problemi.

Va da sé che pensare all’Ucraina che invade la Russia farebbe ridere anche i polli, come si suol dire.

Ma se le informazioni che arrivano ai cittadini sono a senso unico, filtrate e addomesticate allo scopo.

E se questo avviene da anni in un grande progetto di disinformazione come accade in Russia.

Ecco che allora l’impensabile diventa possibile se non addirittura probabile.

E anche le ipotesi più improbabili diventano possibili ed anzi credibili e dunque agli occhi del popolo veritiere.

Disinformatia. Anche nel mondo occidentale

Persino nel mondo occidentale abbiamo avuto casi eclatanti.

Prresunti intelletturali, politici, esperti militari o aspiranti tuttologi della geopolitica che sciorinavano tesi improbabili per giustificare l’intervento russo in Ucraina.

E hanno raccolto non poche adesioni.

Specialmente, ancora una volta, fra le fasce di popolazione meno pronte a un’analisi critica delle tesi fornite senza alcun supporto a riprova.

Disinformatia

Ovviamente, parlando del conflitto ucraino, anche i difensori, gli ucraini stessi, hanno operato almeno in parte disinformazione.

Celando numeri e dati sensibili sull’esercito, sulle perdite, sugli obiettivi, sui reali movimenti di truppe.

Oltre a dipingere il nemico come il male assoluto.

Ma almeno a loro parziale discolpa vi è il fatto che sono stati invasi e che devono difendere il suolo patrio.

Gli altri, i russi invece, devono ancora spiegarci le vere motivazioni della loro brutale aggressione!

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Toscana Gospel Festival 2023: “I have a Dream”

(Toscana Gospel Festival 2023) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Dal 15 al 28 dicembre torna il consueto appuntamento con il Toscana Gospel Festival con 12 concerti tutti da ascoltare.

SOMMARIO

Giunto ormai alla 27ª edizione il Toscana Gospel Festival torna ogni anno nel periodo natalizio.

Per regalare ai tantissimi ascoltatori 12 appuntamenti con una tradizione musicale d’oltreoceano che ha messo radici anche in Italia.

Toscana Gospel Festival 2023. I have a Dream

Quest’anno gli organizzatori hanno voluto omaggiare i 60 anni dal famoso discorso di Martin Luther King.

Quello del 28 agosto 1963 quando nel parco del Lincoln Memorial il pastore King pronunciò la sua frase più celebre: “I have a Dream”.

Nel segno di quel momento storico per gli USA e per il mondo 12 concerti di grande musica gospel allieteranno il pubblico toscano e non solo.

Nelle 26 edizioni precedenti si sono esibiti circa 350 cori gospel con oltre 3000 artisti coinvolti.

In decine di città e borghi della Toscana coinvolgendo un pubblico via via sempre più numeroso.

Toscana Gospel Festival 2023
Toscana Gospel Festival 2023

Toscana Gospel Festival 2023. I cori che si esibiranno

Per l’edizione 2023 saranno 7 i cori gospel provenienti da oltre oceano che si esibiranno nei borghi della Toscana.

I New Millennium Gospel Singers apriranno il festival il 15 dicembre a Montalcino e si esibiranno anche il 18 dicembre a Castelfranco Piandiscò.

Il Gospel Voices Family sarà a Montepulciano il 16 dicembre.

Il 16 dicembre a Massa e Cozzile invece si esibirà il Nehemiah Brown and the Gospel Spirit.

Appuntamento con Roderick Gils and Grace ll 17 dicembre ad Arezzo

Triplo appuntamento con The Voices of Victory, il 19 dicembre a San Giovanni Valdarno, il 20 dicembre a Calenzano e il 28 dicembre a Cortona per la chiusura del festival.

Il 20 dicembre a Calenzano appuntamento con il Pastor Ron Gospel Show mentre i Serenity Singers saranno di scena il 22 dicembre a Torrita di Siena.

Infine il duplice appuntamento del Florida Fellowship Gospel Superchoir il 26 dicembre ad Anghiari e a Marciano della Chiana.

Toscana Gospel Festival 2023
Toscana Gospel Festival 2023
Toscana Gospel Festival 2023

Toscana Gospel Festival 2023. Il programma dei 12 concerti

Venerdì 15 dicembre presso il Teatro degli Astrusi di Montalcino appuntamento con i New Millennium Gospel Singers.

Sabato 16 dicembre nella Chiesa del Gesù di Montepulciano esibizione della Gospel Voices Family.

Sempre sabato 16 dicembre ma a Massa e Cozzile, presso la Chiesa di Santa Maria Assunta, appuntamento con Nehemiah Brown and the Gospel Spirit.

Domenica 17 dicembre ad Arezzo, all’Auditorium Caurum Hall Guido d’Arezzo, appuntamento con Roderick Gils and Grace.

Il 18 dicembre, lunedì, al Teatro Wanda Capodaglio di Castelfranco Piandiscò ancora i New Millennium Gospel Singers.

Martedì 19 dicembre a San Giovanni Valdarno, al Teatro Masaccio, The Voices of Victory.

Mercoledì 20 dicembre al Teatro Moderno di Agliana ancora The Voices of Victory.

Sempre il 20 dicembre ma al Teatro Manzoni di Calenzano appuntamento con Pastor Ron Gospel Show.

Venerdì 22 dicembre a Torrita di Siena, al Teatro degli Oscuri, i Serenity Singers.

Nel giorno di Santo Stefano due appuntamenti distinti per i The Florida Fellowship Gospel Superchoir.

Ad Anghiari, al Teatro dei Ricomposti, prima e poi a Marciano della Chiana presso la Torre di Marciano.

Chiuderà il festival il 28 dicembre a Cortona presso il Teatro Signorelli The Voices of Victory.

Toscana Gospel Festival 2023
Toscana Gospel Festival 2023
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Legnanesi in scena con “7°… non rubare”

(Legnanesi) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Pillole di Cultura

Ascolta “Il crogiulo. Puntata 2 – Legnanesi in scena con “7°… non rubare”” su Spreaker.

Dal 30 dicembre 2023 al 18 febbraio 2024 presso il Teatro Repower di Assago (Milano) la storica compagnia de I Legnanesi propone il nuovo spettacolo dal titolo “7°… non rubare”.

SOMMARIO

Campioni d’incasso al botteghino teatrale dal lontano 1949, anno di fondazione della compagnia, i Legnanesi tornano con un nuovo spettacolo.

Legnanesi. 7°… non rubare

A partire del 30 dicembre 2023 presso il Teatro Repower di Assago appuntamento con “7°… non rubare”.

Il nuovo spettacolo di una tra le più popolari e longeve compagnie dialettali d’Europa.

Questa volta la famiglia Colombo sarà alle prese con la beneficenza.

Legnanesi

La Mabilia vincerà un concorso di beneficenza che le darà il privilegio di poter adottare temporaneamente un ragazzo problematico.

Carmine (Maicol Trotta) farà così il suo ingresso nel cortile dando vita a uno spettacolo tutto nuovo ma nel solco della tradizione.

In scena sino al 18 febbraio 2024 presso il Teatro Repower ad Assago.

Legnanesi. Un successo che arriva da lontano!

La compagnia fondata nel 1949 da Felice Musazzi e Tony Barlocco.

Da quel lontano dopoguerra di tempo ne è passato ma il successo per la compagnia non è mai mancato, anzi!

Con un repertorio di spettacolo da far invidia a Broadway, la compagnia dialettale regala ogni anno un nuovo spettacolo garanzia di successo.

Legnanesi

Prova ne sia che anche quest’anno le date previste per il suo debutto ad Assago coprono quasi due mesi!

Senza contare gli spettacoli che poi si terranno in giro per l’Italia a riempire teatri un po’ ovunque.

E non solo in Italia, peraltro!

Legnanesi. Un cast consolidato

Come ormai da tradizione la Mabilia sarà interpretata da Enrico Dalceri.

Teresa sarà impersonata da Antonio Provasio.

Italo Giglioli invece vestirà i panni di Giovanni.

Legnanesi

E come già accennato Carmine avrà il volto di Maicol Trotta.

La regia è di Antonio Provasio mentre il testo è di Mitia Del Brocco e le coreografie di Valentina Bordi.

Legnanesi. Omaggi alla canzone d’autore

A chiudere il primo atto un omaggio a Giorgio Gaber e alla sua “Barbera e Champagne” con scenografie da lasciar di stucco.

Mabilia aprirà il secondo atto interpretando “La vita” di Antonio Amurri e Bruno Canfora, nel 1968 interpretato da Elio Gandolfi e Shirley Bassey al Festival di Sanremo.

Legnanesi

E tanto altro ancora, tutto da gustare e da vedere a partire dal 30 dicembre 2023 presso il Teatro Repower di Assago.

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Minoranze Etniche (parole per capire la Guerra in Ucraina)

(Minoranze Etniche) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

La guerra in Ucraina ha riportato alla luce l’annoso problema delle minoranze etniche che spesso sono state usate a pretesto per scatenare crisi internazionali se non vere e proprie guerre.

SOMMARIO

A causa di una scellerata politica di spostamenti di intere popolazioni dai territori di origine ad altre zone dell’allora URSS gli ex stati della disciolta Unione Sovietica devono quasi tutti fare i conti con l’ingombrante problema delle minoranze etniche.

Specialmente quelle di lingua e cultura russa che aspirano sempre a ricongiungersi alla madrepatria, la Grande Russia di Mosca.

Minoranze Etniche. Il precedente della ex Jugoslavia

Chi ha già passato gli “anta” ricorderà senza dubbio la terribile guerra dei Balcani che sconvolse l’Europa nel pieno degli anni ’90.

Guerra scaturita dallo scioglimento della Federazione Jugoslava e la contemporanea nascita degli stati nazionali, primi fra tutti Serbia e Croazia.

E fu proprio per questioni etnico religiose che Serbia e Croazia si trovarono in conflitto.

Con l’aggiunta di quel crogiuolo di etnie e religioni che è la Bosnia-Erzegovina con la città martire di Sarajevo prima fra tutte.

Frutto della storia, del crocevia di conquiste e di dominazioni stratificatesi nei secoli.

Ma anche frutto, il mescolarsi di popoli ed etnie, di precise scelte politiche dell’allora dittatore della ex-Jugoslavia, Tito.

Minoranze Etniche. Divide et Impera

Divide et Impera è sempre stato un buon adagio per chi comanda.

Spostare gruppi di popolazioni in territori occupati da altri popoli è stato ritenuto dalla dirigenza jugoslava un buon sistema per tenere insieme un paese che non era una nazione.

Minoranze Etniche

Almeno finché non è crollato tutto, finché il regime comunista non si è sfaldato e ha lasciato il posto alle istanze nazionalistiche-religiose che hanno portato inevitabilmente al conflitto.

Anche nell’ex Unione Sovietica Stalin, dittatore de facto se non di nome, utilizzò lo stesso sistema.

“Deportò” milioni di persone da un territorio all’altro con le stesse modalità che Tito aveva operato in Jugoslavia.

Oppure spostando i confini delle Repubbliche Socialiste che componevano l’URSS inglobando porzioni di territorio che storicamente erano appartenute ad altri popoli.

Ecco dunque che la Crimea, da sempre legata alla Russia, diventa parte dell’Ucraina.

Mentre la Transnistria, sconosciuta regione orientale della Moldavia, viene popolata da genti russi.

Finché resse il regime sovietico cambiava poco, tanto tutto il potere era centralizzato a Mosca e nell’Organo del Partito Comunista.

Ma dopo la dissoluzione dell’URSS e la nascita degli stati nazionali ecco che le questioni etniche hanno cominciato a esplodere.

In Ucraina la questione più spinosa è sempre stata il Donbass.

Territorio all’estremo orientale dell’Ucraina, abitato da popolazioni russofone e russofile in gran parte, e dunque fonte di contesa fra Russia e Ucraina per questioni etniche.

Minoranze Etniche. Le vere ragioni dei russi

Anche se a dire il vero le ragioni ultime della contesa sono soprattutto economiche, ovvero le miniere di cui il Donbass è ricco.

Tanto che nella città di Mariupol, ormai completamente distrutta dai russi, esisteva la più grande acciaieria d’Europa.

L’Azovstal è divenuta tristemente famosa per l’eroica resistenza del Battaglione Azov.

Là asserragliatosi per settimane nel vano tentativo di difendere quel presidio ucraino accerchiato da soverchianti forze armate russe.

La difesa delle popolazioni russe in ucraina ha dato modo a Putin di trovare una scusante, almeno per la sua opinione pubblica interna, per invadere l’Ucraina.

Quando si arriverà a trattare la pace occorrerà tener presente la tutela delle minoranze etniche.

In Ucraina ma non solo, il tema dovrà essere posto in cima alla lista per evitare nuove guerre future.

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Ugo Iginio Tarchetti, scapigliatura and more

(Tarchetti) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Persone e Storie e Pillole di cultura

Tarchetti breve biografia dello scrittore. Iginio (a volte chiamato anche Igino) Ugo Tarchetti nacque a San Salvatore Monferrato, nei pressi della città di Alessandria, il 29 giugno del 1839.

Morì a Milano il 25 marzo del 1869 a nemmeno trent’anni compiuti.

Fu scrittore e poeta, nonché giornalista e imprenditore editoriale, attività per la quale si trovò a proporre al pubblico un proprio periodico, Il Piccolo giornale, ma senza successo.

Come giornalista collaborò con testate come Il gazzettino rosaIl giornale per tuttiIl pungoloLa settimana illustrata e Rivista minima.

All’anagrafe venne registrato con il nome di Igino (o Iginio) Pietro Teodoro Tarchetti ma si firmava con il nome Igino.

Dal 1864 aggiunse anche lo pseudonimo Ugo in onore del Foscolo.

Compì il suo corso di studi fra Casale Monferrato e Valenza Po, arruolandosi assai presto nell’esercito.

Partecipò già dal 1861 ad alcune campagne contro il brigantaggio nel Sud Italia nel neonato Regno d’Italia.

Del Tarchetti si narra, nelle cronache dell’epoca, che fosse un bell’uomo, alto oltre un metro e ottanta (una statura ragguardevole per quei tempi), dal volto ovale, naso dritto e intensi occhi azzurri.

Sicuramente un uomo che si faceva notare per il suo aspetto fisico e che era capace di attirare l’attenzione del gentil sesso scatenando non di rado grandi passioni nei suoi confronti.

Prova ne sia che nel 1863, in quel di Varese, il Tarchetti ebbe una relazione sentimentale con Carlotta Ponti che ci è stata tramandata dalle lettere del suo epistolario.

Nel 1864 Iginio Tarchetti si trasferì a Milano dove ebbe modo di entrare in contatto con l’ambiente della Scapigliatura.

In particolar modo con Salvatore Farina di cui divenne un grande amico, quasi un fratello si narrava.

Alla fine del 1865 venne inviato a Parma a seguito del suo incarico di impiegato al commissariato militare.

Nella città ducale conobbe una parente di un suo superiore (tale Carolina o Angiolina, le fonti sono discordi in merito).

Carolina era una donna malata di epilessia e che si diceva fosse ormai prossima alla morte.

Tarchetti si invaghì subito di questa donna, sebbene non fosse particolarmente bella, forse attratto dai grandi occhi neri e le trecce color ebano.

O più probabilmente, com’egli ebbe a scrivere, il desiderio di consolarla e di rendere meno miserevole la sua fine lo spinse verso la donna.

La relazione che s’instaurò fra tale Carolina (o Angiolina) e il Tarchetti creò grande scandalo all’epoca.

Pare certo che fu proprio ispirandosi a lei che tratteggiò il personaggio di Fosca nell’omonimo romanzo del 1869.

Proprio alla fine di quell’anno (il 1865) Iginio Tarchetti abbandonò la vita militare per problemi di salute e si trasferì in modo definitivo a Milano.

Città dove aveva già risieduto l’anno precedente e dove aveva scritto Idee minime sul romanzo e il romanzo (di scarso successo) Paolina.

Entrambi i testi furono pubblicati sulla Rivista minima in quell’anno.

Sino alla sua morte, avvenuta nel 1869, il Tarchetti visse e lavorò a Milano, frequentando gli ambienti culturali meneghini.

In particolar modo il salotto culturale della Contessa Clara Maffei.

Sebbene il soggiorno milanese sia durato davvero poco (poco più di tre anni in definitiva), fu davvero intenso dal punto di vista letterario e giornalistico nonostante fosse malato di tisi.

Tarchetti morì il 25 marzo del 1869 in seguito a una febbre tifoide nella casa del suo amico fraterno Salvatore Farina.

Amico con il quale aveva condiviso già dal 1864 gli ambienti della Scapigliatura milanese.

Fu sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano e solo in un secondo tempo la salma venne trasferita e tumulata nel cimitero di San Salvatore Monferrato.

Le cronache dell’epoca narrano che la donna malata di epilessia di cui si era perdutamente innamorato a Parma nel 1865.

Carolina o Angiolina quale che fosse il suo nome, non solo gli sopravvisse, ma onorò la sua memoria recapitando fiori sulla sua tomba il 1° novembre di ogni anno.

Tarchetti

Tarchetti. Attività letteraria

Tarchetti fu sicuramente uno dei più importanti esponenti della Scapigliatura milanese.

Movimento che cominciò a frequentare dal 1864 durante il suo primo soggiorno milanese quando conobbe l’amico fraterno Salvatore Farina.

Il Tarchetti fu senza dubbio un anticonformista, malinconico e preda di fantasie macabre (che hanno poi dato vita ai racconti fantastici).

I suoi scritti spaziano dai romanzi ai racconti, dalle poesie agli articoli giornalistici.

Scrisse opere di critica sociale (spesso a supporto dell’antimilitarismo) ma anche racconti ispirati ai grandi del tempo come Edgar Allan Poe e Ernst Thomas Amadeus Hoffmann.

Autori dai quali attinse il gusto per il macabro, l’abnorme e il patologico (oggi noi lo chiameremmo horror).

Il suo capolavoro fu però il romanzo Fosca (ispirato alla sua amata Carolina/Angiolina) che venne terminato postumo.

Fu infatti ultimato dopo la sua morte dall’amico fraterno Salvatore Farina.

Tarchetti. Fra i romanzi ricordiamo

  • Paolina. Mistero del coperto del Figini: romanzo di critica sociale pubblicato sulla Rivista minima dal 1865 al 1866.
  • Una nobile follia (Drammi di vita militare), romanzo antimilitarista pubblicato su Il sole dal 1866 al 1867.
  • Fosca, romanzo incompiuto, terminato poi dall’amico Salvatore Farina, pubblicato prima sul Pungolo dal febbraio all’aprile del 1869 e poi in volume sempre nel 1869.

Tarchetti. Fra i racconti citiamo

  • Amore nell’arte, racconti sul tema dell’arte, della musica e dell’amore (1869)
  • Racconti fantastici, raccolta di racconti (1869)
  • Racconti umoristici, raccolta di racconti (1869)
  • Storia di una gamba, racconto lungo (1869)

Tarchetti. Altre pubblicazioni

  • Idee minime sul romanzo, pubblicato su Rivista minima nel 1865
  • L’innamorato della montagna, Impressioni di un viaggio (1869)
  • Disjecta, raccolta postuma di poesie (a cura di Domenico Milelli, 1869)

Romanze

  • L’amore sen va – L’amore sen viene, versi di Iginio Ugo Tarchetti, musica di Francesco Paolo FrontiniA. Tedeschi.
  • Non me lo dir, versi di Iginio Ugo Tarchetti, musica di Francesco Paolo Frontini (1878)

Traduzioni

  • L’amico comune (Our Mutual Friend) di Charles Dickens, 1868 (prima traduzione italiana)

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Pacifismo ipocrita sulla pelle degli ucraini

(Pacifismo) Articolo scritto da E.T.A. Egeskov per Politica e Geopolitica

La guerra in Ucraina ha riportato alla luce un annoso dibattito fra i pacifisti senza se e senza ma e chi invece sostiene che la pace la si garantisce anche attraverso un’adeguata preparazione militare (si vis pacem para bellum).

SOMMARIO

Se i primi, i pacifisti, rifiutano l’uso delle armi e nello specifico caso dell’Ucraina rifiutano la possibilità di inviare anche armamenti difensivi al governo di Kiev, i secondi vorrebbero aumentare le spese militari e investire in armamenti almeno il 2% del PIL nazionale.

Vista da questa prospettiva sembrerebbe una battaglia ideologica senza alcuna possibilità di trovare un punto d’incontro, una soluzione reale.

Pacifismo, possibilità o utopia?

Vi è però un altro modo di guardare le cose, magari slegandosi dall’emotività del momento e ragionando con il metro della storia più che della cronaca.

Partiamo con il dire che siamo tutti d’accordo nell’affermare che l’uso delle armi dovrebbe essere escluso a priori, che nessuno dovrebbe trovarsi nella condizione di doversi difendere perché nessuno dovrebbe poter attaccare, aggredire militarmente altri paesi o territori o popolazioni.

Detto questo, che come aspirazione è senz’altro molto alta e condivisibile, c’è la realtà dei fatti.
Allo stato attuale delle cose nel mondo non è pensabile che ciò possa capitare e dunque occorre accettare il fatto che qualcuno, stato o gruppo terroristico che dir si voglia, sta usando le armi o ha intenzione di usarle o minaccia l’uso della forza.

Preso atto di questa realtà la questione è come ci si comporta con tali stati o gruppi terroristici?

Si segue l’idea del pacifismo a tutti i costi e si resta inermi?

Nel caso dell’Ucraina vuol dire restare a guardare mentre i russi massacrano anche i civili senza alzare un dito.

È giusto, è eticamente giusto?

Pacifismo. Il vero senso della non violenza

Fin da piccolo ho sempre ammirato la figura del mahatma Gandhi e ne ho fatte mie le idee di non violenza anche nelle battaglie per la giustizia e la verità.

Ma ricordo anche che Gandhi non ha mai detto che non violenza significa subire la violenza altrui senza far nulla.

Non violenza è rifiutare l’uso della forza come mezzo di risoluzione dei problemi, ma se è qualcun altro ad aggredirti tu hai tutto il diritto di difenderti, né più né meno di quanto dicono la maggior parte dei codici penali di quasi tutto il mondo, stando attenti alla proporzionalità della risposta rispetto all’offesa ricevuta.

Nel caso di un’aggressione personale se uno mi minaccia con una pistola e gli tiro un cazzotto è senz’altro legittima difesa per la legge, ma lo è anche moralmente.

Non è più legittima difesa se uno mi da uno spintone e io gli sparo un un fucile mitragliatore.

Se poi uno mi minaccia di farmi del male non sono mai autorizzato a “farmi giustizia” da solo.

Ancor meno se sono io a pensare che lui mi stia minacciando ma in realtà l’altro non ha fatto nulla in tal senso (il riferimento alla Russia di Putin è voluto!).

Pacifismo

Chiarito questo e tornando al problema ucraino che cosa dovrebbero fare gli stati democratici di fronte a un’ingiusta aggressione russa nei confronti dell’Ucraina?

Lasciare che i missili russi devastino le città e uccidano non solo i soldati ma anche i civili indifesi?

Non commento le affermazioni di chi, anche in ambito politico-istituzionale, afferma che gli ucraini dovrebbero arrendersi altrimenti il prezzo della benzina arriverà alle stelle.

Come se la liberà di un popolo fosse sacrificabile per una tanica di carburante in più!

Essere pacifisti non significa essere rinunciatari e lasciare al più forte campo libero.

Perché non agire, non intervenire, anche militarmente, questo significa: lasciare campo libero a chi invece non ha remore a usare la forza, a chi se ne infischia del pacifismo e usa le armi per i suoi scopi, legittimi o meno che possano apparirgli.

Al contrario, essere pacifisti, veri pacifisti, significa costruire le condizioni perché un domani nessuno possa più usare la forza e, per esempio, invadere uno stato vicino con qualsivoglia scusante.

Come?

Pacifismo. Il mondo unificato

Io un’idea ce l’ho ed è forse un po’ prematura rispetto alle condizioni storiche ma sono sicuro che con il tempo sempre più persone concorderanno con me.

Che cosa ha impedito ai paesi europei di farsi la guerra per quasi ottant’anni e possibilmente per non scendere mai in conflitto fra di loro nemmeno nel futuro?

L’unione, che noi adesso chiamiamo Unione Europea, che prima l’abbiamo conosciuto come CEE e prima ancora come MEC.

Se vi è vera integrazione allora il rischio del conflitto si riduce drasticamente, non dico annullato del tutto, ma reso talmente improbabile da essere prossimo allo zero.

Perché gli interessi comuni scoraggerebbero comunque colpi di testa, perché ci sarebbero deterrenze interne, e non tanto militari quanto economiche, culturali, di interesse nelle più varie accezioni.

Pacifisimo

La soluzione sarebbe dunque un mondo unificato sotto un governo universale tipo film di fantascienza?

Sì, ritengo che questa è, e non dico sarebbe ma uso apposta il presente indicativo “è”, l’unica strada perché la pace possa regnare ovunque e sempre.

Qualunque altra soluzione non potrà che essere nella migliore delle ipotesi transitoria, parziale, fallace se non addirittura controproducente come nel caso dell’Ucraina.

Non fornire armamenti a chi si sta difendendo è un crimine, perché sarebbe un voltarsi dall’altra parte e dire in nome di un presunto pacifismo che non possiamo macchiarci di vite umane fornendo armi senza tener conto che ci stiamo macchiando di vite umane lasciando che la Russia uccida indiscriminatamente cittadini ucraini, militari e civili, che non non hanno chiesto di essere in conflitto, che non sono scesi in guerra ma che sono stati aggrediti.

Se mentre sto camminando per strada vedo qualcuno che picchia o violenta una persona e non intervengo, magari anche solo chiamando le forze dell’ordine, sono moralmente (e legalmente) responsabile di quella violenza.

Inviare armi agli ucraini che difendono la loro terra, le loro città, il loro popolo, la loro libertà non è solo giusto, ma è anche un dovere morale che abbiamo noi occidentali se vogliamo continuare a chiamarci democratici e civili.

Pacifismo. Non quando è sulla pelle degli altri

Non stupisce che a essere contrario all’invio di armi e a nuove spese militari sia il Vaticano e Papa Francesco in particolare.

Il Sommo Pontefice è una guida spirituale e tenta fino all’ultimo di riportare all’uso della ragione i potenti (purtroppo con ben poche possibilità di successo).

Quello che stupisce è che a pensare che non si debbano inviare armi siano molti rappresentanti politici ai quali verrebbe da chiedere loro: e se fossimo noi al posto degli ucraini?

E fosse stata invasa l’Italia e paesi come Francia e Germania si voltassero dall’altra parte invocando il pacifismo?

Personalmente sono rimasto colpito dalla posizione degli ex partigiani, contrari all’invio di armi. Trovo quantomeno strana la loro posizione, visto quanto hanno fatto i partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale per tentare di scacciare l’occupante nazista.

Tra l’altro c’è appena stata la ricorrenza delle Fosse Ardeatine, reazione assurda dei nazisti all’attentato di via Rasella del 1943 dove persero la vita trentatré soldati tedeschi.

A quei partigiani che oggi dicono no all’invio di armi in Ucraina verrebbe da chiedere perché allora fecero quell’attentato, e molti altri peraltro, che si sapeva avrebbero portato a ripercussioni anche sui civili da parte dei nazisti?

Pacifismo. Aumentare la spesa militare per avere più pace?

Tornando al tema di partenza, la dicotomia fra pacifismo e aumento delle spese militari in realtà non esiste.

Oggi, in questo frangente storico, l’aumento delle spese militari non è solo legittimo ma anche doveroso per preservare gli spazi di libertà e democrazia che troppe guerre e troppi morti nel secolo scorso ci hanno lasciato in eredità.

Come impone il Trattato Atlantico la forza militare deve avere solo scopo difensivo e mai offensivo e contemporaneamente occorre che attraverso la diplomazia ma anche tutto il soft power possibile si riducano nel mondo gli spazi per le autocrazie o le dittature vere e proprie e nel contempo si creino sempre più legami e vincoli reciproci fra gli stati in modo da rendere sempre meno conveniente, e dunque sempre più improbabile, la nascita di nuovi conflitti.

Un giorno, che purtroppo so già di non poterci essere per vederlo, l’umanità si renderà conto che solo unendosi potrà salvarsi e allora sì che le spese militari potranno essere ridotte se non addirittura annullate perché non ci sarà più nessuno contro cui combattere.

Ma sino ad allora non parliamo di pacifismo senza se e senza ma, piuttosto chiamiamolo con il vero nome: o martirio se ci tocca in prima persona e siamo disposti a pagarne il prezzo, o ipocrisia se a pagarne le conseguenze sono solo altri lontani da noi!

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